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Intervista. Guidi, i miei Comizi in jazz per Pasolini

Massimiliano Castellani sabato 5 marzo 2022

Il pianista jazz Giovanni Guidi

Giovanni si siede al piano, con l’aurea e la concentrazione dei grandi del jazz, e comincia a suonare la sua Suite, scritta apposta per il Maestro. «Come Virgilio fu per Dante, come Gramsci fu per Pier Paolo Pasolini... Così, Pasolini sarà la mia guida, il mio Maestro con cui dialogo da tempo, e lo faccio attraverso la storia: con l’amore, con il genio, con la passione, con la spregiudicatezza, con il moralismo, con la libertà, con i lati oscuri dell’uomo e con quelli della donna. Con la famiglia, con la fede, con la periferia... E anche con l’Aldilà, dove incrocio sempre anche mio padre». Così Giovanni Guidi, uno dei migliori talenti del pianismo jazz – figlio di Mario, manager e mentore dei migliori jazzisti italiani e internazionali, scomparso nel 2019 –, presenta il suo omaggio per il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (che cade oggi, 5 marzo) 100 Comizi d’amore.

Nonostante la giovane età, 37 anni, Giovanni Guidi è uno dei grandi solisti e compositori jazz, a partire dal suo disco d’esordioTomorrow Never Knows( 2006). A battezzarlo sul palco è stata la tromba magica di Enrico Rava che lo convocò nel suo gruppo Under 21, e da allora il sodalizio continua. Così, tra un concerto con Rava, in duo con Luca Aquino, una session sperimentale con il suo “gruppo giovane” Little Italy, Guidi, ispirato dai Comizi d’amore di Pasolini ha creato questo «progetto», un concerto con incursioni di voci e immagini, presentato in anteprima ieri, a Rai Radio 3, e questa sera davanti al pubblico della sua città, Foligno (al Teatro Zut, alle ore 21).

«Sono nato esattamente dieci anni dopo l’omicidio di Pasolini, ma in casa mia ho sempre respirato la presenza di questo straordinario intellettuale. Durante il lockdown ho cominciato a leggere qualsiasi scritto a sua firma, e più leggevo e più mi imponevo di andare a fondo alla sua poetica. Ma quella pasoliniana, si sa, è una produzione sterminata che a tratti mi ha anche messo in crisi. Ora però sono consapevole di quando Pasolini amasse ripetere che ogni forma d’arte, in cui si esprimeva, faceva comunque parte di un “blocco unico” del suo pensiero: l’idealismo di un preveggente appassionante e soprattutto sempre attuale». L’attualità di un eclettico del ’900. Un rabdomante di immagini, parole e anche di note, tanto che nel 1966 aveva confessato: «Vorrei essere scrittore di musica». «Nella mia esecuzione, per piano solo, vado alla ricerca di un suono che ritrovi il “Corpo” pasoliniano, una forza spirituale che per un non battezzato come il sottoscritto ha un significato umanamente profondo».

Guidi al piano conduce l’ascoltatore in un viaggio collettivo, attraverso le voci di chi ha conosciuto il Pasolini artista, come l’anima teatrale di Eduardo De Filippo, lo «scrittore-amico», per Dacia Maraini, o il professore di scuola «come è stato per il papà del mio fraterno amico sassofonista Francesco Bearzatti. Ma ripeto, è il Pasolini con tutto il suo bagaglio di esperienze umane, etiche, artistiche e filosofiche, quello che ho cercato di condensare dentro questo progetto, in cui spero si avverta anche quel suo senso di disperazione, di uomo e di figlio. La sua Supplica a mia madre è una poesia che avrei tanto voluto scrivere io». Quella stessa disperazione di cui parla e suona Guidi, si ritrova nella celebre omelia funebre di padre Davide Maria Turoldo che, altrettanto poeticamente, ricordava l’amico Pasolini come «un povero friulano, solo, senza patria e senza pace», la cui unica vera patria e anche l’unica fede, era stata la madre, mai tradita.

«La mia fede è una continua ricerca, che prima partiva e finiva nella musica, ma ultimamente ho trovato grande beneficio dall’incontro a Firenze con padre Bernardo Gianni, l’abate di San Miniato al Monte». È quel padre Bernardo chiamato telefonicamente da papa Francesco che gli chiedeva di guidarlo negli esercizi spirituali. «Considero papa Francesco l’unico leader mondiale e l’unica voce rassicurante di questo tempo assurdo – sottolinea Guidi – . Il Papa di recente ha lanciato un grande messaggio quando ha detto: “Bisogna toccarla, la sofferenza”. Pasolini per certi versi è andato a toccare le ferite della nostra società, fino a restarne ferito a morte. È stato il primo a denunciare il potere occulto dei media – ho rivisto cento volte l’intervista Rai con Enzo Biagi – e ha tracciato il solco della “responsabilità” degli uomini di comunicazione, invitandoli al rispetto nell’uso delle parole, perché queste hanno un peso. E quel peso, ora ho voluto alleggerirlo e tradurlo in musica nei 100 Comizi d’amore».

Un lavoro in cui alla parte musicale Guidi ha intarsiato un mosaico di lettere, canzoni, poesie, mail, sms, whatsapp, pensieri, dediche, dichiarazioni e rimproveri. «E poi sono le domande, quelle che ognuno di noi oggi vorrebbe tanto rivolgere a Pasolini, sperando di ricevere ancora risposte illuminanti, quelle che purtroppo gli intellettuali, i politici o i presunti saggi del nostro tempo non riescono più a darci». Il viaggio dei 100 Comizi d’amoreè cominciato a Napoli. La città dove Guidi, sotto pandemia, per un periodo si è rifugiato. Ed è stato lì, sotto il vulcano, che la sciara creativa gli ha donato il primo accordo della Suite «con la lettura delle Lettere luterane: la lettera a Gennariello mi ha riportato a quella dimensione pasoliniana della “sicurezza” che gli trasmise Napoli. La città della musica (nel concerto si ascolta Te voglio bene assaje) e porto di mare sempre aperto al mondo, che non conosce la chiusura e l’isolamento a cui ci ha portato questo nuovo secolo di distanze sociali e di ostilità verso chi arriva da altre sponde e prova ad attraccare sulle nostre coste».

Mettere Pasolini in jazz, per Guidi vuol dire dunque issare la bandiera della libertà, tornare a viaggiare e addirittura «pregare» con la musica. «Di recente sono stato a suonare in Iran e anche lì ho fatto la bellissima scoperta di quanto Pasolini sia amato. L’ambasciatore iraniano mi ha confessato che la sua poesia ha influenzato tantissimo i poeti del suo Paese, dove, nonostante il regime, viene letto liberamente. La preghiera mi aiuta a creare uno spazio di compresenza tra i vivi e i morti, a cominciare dalla figura fondamentale di mio padre. Ma anche con artisti per me imprescindibili, come Gato Barbieri – al quale ho dedicato il mio precedente lavoro Ojos de Gato – che aveva avuto la fortuna di conoscere Pier Paolo Pasolini, il quale, primo tra i nostri registi, colse le sonorità originali del suo jazz inserendole nel film Appunti per un’Orestiade africana. Era il 1970, io arrivo mezzo secolo dopo Gato, per onorare ancora la memoria del Maestro».