Agorà

L'intervista. Waheeb, archeologia tra le guerre

ALESSANDRO BELTRAMI giovedì 19 maggio 2016
«Ciò avvenne in Betania al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava ». L’annotazione geografica contenuta all’inizio del vangelo di Giovanni è stata a lungo interpretata dall’esegesi biblica in senso simbolico, oppure discussa sull’affidabilità della tradizione linguistica. In molti, tra pellegrini e santi, biblisti e studiosi, si sono chiesti dove fosse davvero il luogo in cui Cristo aveva ricevuto il battesimo. Ancora una volta, la Bibbia aveva ragione. Spettano all’archeologo giordano Mohammad Waheeb l’intuizione e gli scavi che hanno portato tra il 1996 e il 2002 alla scoperta del sito nell’area del torrente al-Kharrar, breve affluente sulla sponda est del Giordano. L’area archeologica, di epoca romana e bizantina, è composta da due siti: nella zona vicino al fiume si trovano piscine, resti di chiese e dimore di eremiti; su un collina, che per la tradizione è il luogo dove il profeta Elia è asceso al cielo, i resti di un monastero. «La scoperta mette in risalto il significato e la sacralità della sponda orientale del Giordano – afferma l’archeologo – in accordo con quanto attestano i testi sacri e le descrizioni trasmesse da pellegrini, viaggiatori e storici ». Il luogo e la sua storia sono raccontati dallo stesso Waheeb nel volume Betania oltre il Giordano. La scoperta del luogo dove fu battezzato Gesù (Edizioni Terra Santa, pagine 176, euro 17,00), arricchito in appendice da due testi di Michele Piccirillo. Professor Waheeb, perché è stato importante definire con certezza il luogo del battesimo di Gesù? «Si tratta di una delle più importanti scoperte archeologiche nella moderna Giordania. Quest’area era una parte delle rotte degli antichi pellegrini cristiani tra Gerusalemme e il monte Nebo. L’area è inoltre associata al racconto dell’ascensione al cielo di Elia su un carro di fuoco, dopo aver separato e attraversato le acque del Giordano insieme al suo successore, Eliseo. Il sito condensa su di sé un ampio valore, storico e religioso». Al di là di quello storico, c’è anche un valore contemporaneo? «Dopo essere stato perduto per secoli, ora il sito è meta di visitatori di nazioni e fedi differenti. L’area inoltre promette per la Giordania la possibilità di potenziare il settore e l’in- dustria del turismo religioso». Che ruolo ha la Giordania nella storia spirituale e religiosa di queste terre? «La riva orientale del Giordano era il rifugio solitario e selvaggio di profeti e patriarchi biblici, l’entroterra dove gli uomini entravano in comunione con il divino nel silenzio monastico e nella bellezza di una natura mozzafiato». Quali sono le differenze tra antichi e moderni pellegrini? «Gli antichi pellegrini, che affrontavano viaggi lunghi e difficili, spesso a rischio della vita, venivano qui per toccare la santità del luogo. I pellegrini di oggi, nonostante abbiano a disposizione tutte le comodità, sono intimoriti dalle notizie e dai conflitti, e hanno smesso di arrivare. Sembrano spaventati dal loro stesso patrimonio religioso e persino dalla necessità di proteggerlo dal rischio di distruzione. Per fortuna c’è ancora chi decide di venire fin qui». Quanto la guerra ha inciso e incide sulla storia di questi luoghi? «Per gran parte del secolo scorso, il conflitto tra Israele e il mondo arabo ha fatto sì che la riva orientale del Giordano fosse oscurata, proprio mentre gran parte della Terra Santa era esplorata in modo estensivo dagli archeologi biblici. Ma nel 1994 il trattato di pace tra Israele e Giordania ha aperto la strada alla ricerca in nuovi siti, iniziata non appena l’esercito ha sgombrato il bordo del fiume. Il nostro sguardo verso questo suolo ha rivelato la santità del luogo: che differenza rispetto allo sguardo di soldati e combattenti!» Cosa vuol dire essere archeologo in Medio Oriente, oggi? «In Giordania si hanno buone opportunità di lavoro, grazie al sostegno del governo, di Ong e delle comunità locali. Il sorgere della civiltà è iniziato qui ed è importante poter partecipare alla scrittura della storia più antica dell’umanità. Ebraismo, cristianesimo e islam hanno gli albori in quest’area, e ciò dà la possibilità di lavorare su luoghi particolarmente densi di significato. Ma il Medio Oriente sta entrando in un’immagine confusa, nebbiosa. Da una parte scavi e conservazione, dall’altra una distruzione sempre più totale. Si può dire che sia gli archeologi che il patrimonio del Medio Oriente siano sotto minaccia. Entrambi hanno bisogno di supporto continuo». Il libro si chiude con due testi di Michele Piccirillo. Ci può dare un ricordo del frate archeologo? «Dobbiamo ammettere che non si è fatto abbastanza per la memoria di quest’uomo che ha amato la Giordania e che ha chiesto di essere sepolto qui. A Michele Piccirillo si deve la scoperta di molti siti che costituiscono la pietra angolare del turismo religioso, come Madaba, il complesso di Umm al-Rasas e il Monte Nebo, dove è stato sepolto nel 2008. È l’archeologo universale che noi dobbiamo ricordare in questo libro, e i suoi risultati altrettanto universali nella promozione del patrimonio giordano attraverso i suoi numerosi scritti, scavi e lezioni».