Le mostre. Fabriano e Gubbio, linee gotiche sui crinali d'Appennino
Ottaviano Nelli, “Madonna del Belvedere”, affresco. Gubbio, chiesa di Santa Maria Nuova
C’è una “linea gotica” che attraversa l’Italia centrale – ed è decisamente più affascinante di quella bellica. Una cintura d’arte che collega Toscana, Umbria e Marche nella quale ogni nodo presenta, nella connessione con i vicini, una precisa identità. Due mostre a Fabriano e a Gubbio, entrambe fondamentali dal punto di vista degli studi, nate in collaborazione e accomunate dal motto “Oro e colore nel cuore dell’Appennino” e dalla curatela di Andrea De Marchi (e da Silvana per i cataloghi), consentono di approfondire due di questi nodi, collocati sul crinale che, tra Tre e Quattrocento, fa da cerniera tra gotico maturo e gotico internazionale.
Allegretto Nuzi a Fabriano
La città marchigiana celebra Allegretto Nuzi, il suo pittore più illustre prima di Gentile. De Marchi e Matteo Mazzalupi, coadiuvati dalla direttrice della Pinacoteca Molajoli Francesca Mannucci, sono riusciti nell’impresa, per nulla facile anche al di fuori della pandemia, di portare in città un nucleo di una trentina di opere, un terzo delle quali conservate nei principali musei internazionali – dai Vaticani a Berlino fino al Met di New York – dopo la dispersione nella seconda metà dell’Ottocento.
Documentato a Fabriano dal 1347 fino alla morte nel 1373, Nuzi esce dalla dimensione di pittore locale a cui era stato a lungo relegato per collocarsi tra coloro la cui opera è essenziale per seguire gli sviluppi della pittura tra Marche e Umbria. Allegretto, come osserva De Marchi, porta e diffonde sul versante adriatico quanto appreso nella sua educazione toscana, «un linguaggio pacato e monumentale, maturato sul confronto con la tenerezza espressiva dei Lorenzetti a Siena e con i volumi accarezzati di giotteschi come Maso di Banco e Bernardo Daddi».
Allegretto Nuzi, “Madonna col Bambino in trono tra san Bartolomeo e santa Caterina; Crocifissione”, tempera su tavola. Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie - Christoph Schmidt, SMB PK GG
Le innovazioni portate da Nuzi non riguardano solo questioni stilistiche ma anche tipologiche, come gli altaroli: piccoli dittici e trittici destinati la devozione individua-le, segni di una spiritualità ormai sempre più prossima alla devotio moderna. E proprio gli altaroli sono il terreno su cui si misura la felicità pittorica di Allegretto, come il magnifico dittico che arriva da Berlino, con i corpi solidi ma dolci ed eleganti, modellati e torniti da una luce che si lancia in preziosi effetti di cangiantismo. La preziosità, cifra propria del gotico, viene poi amplificata da Allegretto in una estrema varietà di punzoni (i motivi decorativi impressi sui fondi, i nimbi e le bordature in oro) ma anche nella ricchezza dei tessuti nelle cui fantasie si intrecciano uccelli e tartarughe.
Una «tenera imponenza» che Nuzi esprime anche su una scala più grande, come i polittici (alcuni dei quali ricostruiti qui per la prima volta) o la stessa Maestà del Musée du Petit Palais di Avignone, che all’interno di un’impostazione solidamente ieratica annida la nota più affettuosa del Bambino. Ma è soprattutto con la serie di grandi tavole dedicate alla Madonna dell’Umiltà, iconografia diffusa in area marchigiana proprio dall’artista e altra immagine indicativa delle linee su cui si muove la religiosità dell’epoca, che Allegretto Nuzi può allineare perfettamente registro e indole. Il pittore fabrianese è però capace anche di scene drammatiche. Il vertice del pathos è raggiunto dalla Crocifissione di Friburgo, che riprende e amplifica la composizione del dittico berlinese.
Il ricco percorso della mostra si completa con gli affreschi che decoravano la tribuna gotica della cattedrale di San Venanzio, radicalmente trasformata nel Seicento e ricostruita digitalmente in mostra. Nella chiesa è possibile visitare quanto resta delle cappelle di San Lorenzo e della Santa Croce, rimaste come stretti interstizi strutturali tra il nuovo muro del coro e quello dell’antica abside.
Ottaviano Nelli a Gubbio
Anche la mostra di Ottaviano Nelli vede una dinamica analoga tra museo e città, ma con proporzioni decisamente invertite. Palazzo Ducale e Palazzo dei Consoli ospitano infatti una manciata di opere ciascuno (nel primo le poche opere su tavola del pittore, nella seconda i suoi discepoli ed eredi) mentre l’asse portante è costituito dagli affreschi lasciati in pressoché tutte le chiese della città (Nelli a Gubbio pare ubiquo) – motivo per cui la mostra diventa un ottimo motivo per percorrere e scoprire il borgo medievale al di là della celebre piazza/terrazza affacciata sulla valle dell’Assino.
Ottaviano di Martino Nelli (1370 ca.-1448-49) è l’artista più importante che Gubbio, città umbra ma dal 1384 dominio dei duchi di Montefeltro, abbia avuto. Un pittore di una generazione successiva ad Allegretto Nuzi e che infatti si colloca con decisione sul versante del gotico internazionale, del quale ha lasciato un capolavoro paradigmatico, la Madonna del Belvedere: un affresco così terso e corrusco da apparire una pala d’altare.
La Madonna del Belvedere, come ricorda in catalogo Francesco Mariucci, «fu uno dei dei dipinti umbri più celebrati e ammirati del XIX secolo, quando, seguendo un fortunatissimo filone storiografico, veniva posta tra le opere più insigni della cosiddetta “scuola umbra” di pittura». Una “scuola” che voleva come fondatore Oderisi da Gubbio e si proiettava, con la consueta teleologia della storiografia ottocentesca, verso Perugino e il giovane Raffaello. Al di là delle letture superate, certamente la precoce fortuna critica del capolavoro di Santa Maria Nuova ebbe però la funzione di fare riemergere altrettanto precocemente il suo autore, fino a configurarne un vero e proprio mito locale. La mostra si propone di scavarne la vera essenza, che a De Marchi pare «la capacità di farsi interprete del suo tempo, della sua gente e dei suoi paesi, di una borghesia mercantile e artigiana in esuberante crisi di vitalità di cui lui era figlio, stretta fra le esibizioni precipitose di corti precarie e di smaniosi parvenus, l’attrazione fatale per lo sfarzo, la moda e l’araldica, e dall’altra il retroterra profondo di una civiltà di pastori transumanti e di ruvidi contadini, il senso arcano della terra e dei monti».
Un’“isola” di montagne tra due mari, e per questo ricca di attraversamenti: «E infatti vorace e quasi bulimico egli fu nell’assimilare spunti disparati e fin contrastanti, coniando un linguaggio loquace e multitasking, di facile presa e colorito, che ebbe un discreto successo e anzi, in patria, condizionò a lungo i pittori che seguirono, ben dentro la faticosa conversione rinascimentale, per quasi tutto il secolo. In altri tempi lo si sarebbe bollato con sprezzo come eclettico. In tempi di multiculturalismo siamo invece meglio disposti a capirne le ragioni e le specificità». Ottaviano Nelli riesce a essere alternativamente geniale e mestierante. A restare costante è un forte talento narrativo, capace di cogliere dettagli formidabili del reale e insieme imbastire fabulae dal racconto sacro, disporre visioni di cristallo ed episodi tinti nel grottesco e nel comico che cent’anni dopo o poco più avrebbero richiesto dei brachettoni, come il dannato che nel Giudizio in Sant’Agostino scoperchia a fatica un sarcofago mostrando ai fedeli impudentemente le terga.
Fabriano, Pinacoteca Bruno Molajoli
Allegretto Nuzi e il ’300 a Fabriano
Fino al 30 gennaio
Gubbio, sedi varie
Ottaviano Nelli e il ’400 a Gubbio
Fino al 9 gennaio