L'attore. Lino Guanciale: «Il teatro è un atto di coscienza»
Il regista Claudio Longhi e l'attore Lino Guanciale durante le prove di "Ho paura torero" al Piccolo di Milano
«La scelta di questo testo è colpa di mia moglie». Scherza Lino Guanciale, popolare attore di fiction e teatro che ha appena debuttato al Piccolo Teatro Grassi di Milano con la drammaturgia da lui stesso curata del romanzo Ho paura torero del cileno Pedro Lemebel. Romanzo regalatogli, appunto, dalla moglie Antonella appassionata di letteratura sudamericana, che lui ha fatto conoscere al regista Claudio Longhi.
Un lavoro che è il primo contributo da regista alla vita del teatro di Claudio Longhi - nominato direttore generale del Piccolo il primo dicembre 2020 – che ha aspettato oltre tre anni. Si intravede l’evoluzione di una collaborazione autorale sempre più stretta all’interno del Piccolo fra Longhi, già direttore dell’Ert, e Guanciale, che oltre ad essere stato presente in quasi tutti i suoi spettacoli dal 2003, collabora anche ai suoi progetti teatrali e alle sue attività di formazione del pubblico e di didattica teatrale nelle scuole o in Università. Ed oggi, a 44 anni, Guanciale diventa “dramaturg” per il Piccolo Teatro.
Per questo debutto è stato scelto un testo fortemente politico, ma anche provocatorio. Ho paura torero ambientato nella Santiago del 1986, nell'anno dell'attentato fallito a Pinochet, il racconto ha per protagonisti Carlos, uno studente militante del Fronte Patriottico (interpretato da Francesco Centorame), e La fata dell'angolo, un travestito appassionato di canzoni d'amore, interpretato da Lino Guanciale. In questa vicenda si intrecciano le storie del dittatore Augusto Pinochet (Mario Pirrello) e di sua moglie Dona Lucia (Arianna Scommegna).
Lino Guanciale come ha adattato il testo di Lemebel?
Ho intuito la chance di comunicare il nesso tra eros e politica, la necessità di trovare un equilibrio per costruire una società “impilastrata” decentemente. Nella stesura drammaturgica ho cercato di preservare il linguaggio dirompente di Lemebel, che fu anche voce radiofonica degli anni immediatamente successivi alla dittatura. Sono anche stati coinvolti i componenti della comunità cilena di Milano per aiutarci nel ricostruire quel mondo.
Con il suo passaggio a “dramaturg” l’impegno col Piccolo si sta stringendo sempre più a livello creativo?
E’ una cosa di cui sono molto felice. Che il sodalizio artistico con Claudio continui e resista agli anni, perché ormai sono 20 anni che lavoriamo insieme, scrivendo ora pagine di collaborazione in questo che è il teatro più importante per la storia del teatro del secondo 900 del nostro Paese è un onore. Il Piccolo ha fatto da modello per cosa un teatro pubblico dovrebbe essere nel nostro Paese. Questo è un luogo che è fiorito dalle macerie della Seconda guerra mondiale a Milano. C’è una grande analogia con quelli che sono i miei interessi culturali, letterari e teatrali. Ed anche sociali. C’è tutto un lavoro sulla città che fa parte della vocazione di questo teatro da sempre e che rientra nel background comune fra Longhi e me. Ovvero nel concepire l’attore come operatore culturale attivo all’interno del tessuto sociale della società.
Debuttate insieme con un testo sulla dittatura: è un segnale politico?
Il teatro che amo fare è un teatro politico, però anche un teatro saggio nelle scelte. Sulla necessità della democrazia come modello da difendere oggi più che mai, non si rivendicano scivolamenti autocratici nel nostro Paese, dove chi ha vinto le elezioni le ha vinte in perfetta legittimità, operando le proprie scelte che ovviamente, non sono sempre gradite a chi la pensa in modo diverso, come me. Bisogna lanciare l’allarme piuttosto davanti ai fatti di Acca Larentia, ma sono convinto che siano cose chiare anche a chi ci governa.
Quindi?
La ricapitolazione storica è quella che mi interessa, ma per mettere in guardia dal rischio di sottovalutare l’importanza che ha nella vita di ogni giorno avere memoria. Sono convinto che non esista una vera ed efficace possibilità di fare educazione relazionale, affettiva e emotiva, se non si passa anche per un percorso di coscienza politica. Come vedi il mondo, dice anche chi devi rispettare. E’ un tema importante di fronte agli orrendi fatti di cronaca cui assistiamo.
In occasione dello scorso Natale lei ha fatto una lettura speciale delle meditazioni di Testori organizzata dal Teatro degli Incamminati dedicata agli ultimi.
Di Testori mi ha sempre colpito questa assoluta convinzione che a teatro il protagonista sia il linguaggio e l’atto dell’attore dell’incarnare una lingua. La parola testoriana è una parola fisicissima, una parola che è un corpo. Testori per me è stato importante anche se distante da me sul vivere la fede, un dono che per quanto problematico Testori aveva in grazia e io no, perché la sua parola ti ricorda per chi parli? Per chi fai teatro? Per chi ti occupi di cultura se non per gli ultimi? Serve per ricordare a noi tutti che c’è un mondo che è maggioritario di persone dalle vite immiserite dalla nostra realtà di occidentali che non possiamo e dobbiamo escludere dal nostro sguardo.
Lei non ha caso da anni è testimonial dell’Unhcr a favore dei rifugiati…
Pensi che io dovevo partire con Unhcr per la Giordania intorno allo scorso 7 ottobre, ma abbiamo dovuto annullare per i fatti di Israele. Si è stretto un legame umano fortissimo con loro perché io non solo ho l’opportunità di investire nella maniera più intelligente ed efficace questo dono precario che è la popolarità, ma anche di conoscere e poter testimoniare quale è la realtà vera di chi si trova a rinunciare a tutto perché è a rischio della vita. Ricordare che questa è stata la nostra stessa situazione non più tardi di 80 anni fa è decisivo.
Prossimi impegni televisivi e al cinema?
Finito al Piccolo fra un mese circa inizierò le riprese della terza stagione del Commissario Ricciardi. Poi ci sono due film da incastrare nel calendario e poi un’altra proposta per la tv che sto valutando.
Con tutti questi impegni, come si incastra il Lino Guanciale papà?
In realtà è il lavoro che va incastrato sulla vita familiare, come è giusto che sia. Nulla può rifondare la vita come l’esperienza della genitorialità. Questa è una fase in cui sto cercando di non perdermi niente. Il fraintendimento è quello di trovarti di fronte a una appendice di te di cui ti prendi cura, invece poi ti si chiarisce via via che quella che ti trovi davanti è una persona con cui confrontarti. Adesso Pietro ha due anni e tanta voglia di parlare. La cosa che mi emoziona più di tutte è quale sarà il confronto fra i