Teatro. Compie trent'anni il centro di Jerzy Grotowski a Pontedera
Il regista polacco Jerzy Grotowski (1933-1999)
Lavoro, ricerca, performance, pedagogia: sono termini che risuonano spesso mentre Thomas Richards tenta di riassumere i trent'anni di attività teatrale del Workcenter di Jerzy Grotowski, di cui è direttore artistico assieme a Mario Biagini (direttore associato). Un traguardo che l'Istituto Polacco di Roma ha voluto onorare ospitando i responsabili del centro fondato a Pontedera dal regista polacco nel 1986. Assieme a Richards e Biagini, anche Carla Pollastrelli, curatrice e traduttrice della prima edizione italiana integrale dei Testi di Grotowski (di cui "Avvenire" ha da poco recensito il quarto e ultimo volume), e Marco Giorgetti, direttore generale della Fondazione teatro della Toscana.
Non è facile spiegare in poche parole il lavoro del "Workcenter of Jerzy Grotoswski and Thomas Richards" (questa la denominazione ufficiale assunta dal 1996). Ad ammetterlo è lo stesso regista americano che però offre qualche spunto utile a segnare la differenza con quello che definisce, senza polemica, “teatro commerciale”. A cominciare dalla performance, solitamente considerata l'apice di un processo creativo quando invece è solo un momento di un lavoro continuo, teso al superamento dei propri limiti e alla ricerca della perfezione. «Grotowski era davvero un pedagogo, sapeva che per insegnare doveva scoprire l'altro come essere umano, per poi farlo arrivare ad essere un artista. Le performance che portiamo in giro per il mondo sono il risultato di un processo di pedagogia delle persone coinvolte. L'arte comincia nella ricerca continua del mestiere che tende alla perfezione e non si accontenta».
C'è poi la relazione tra spettatore e attore, definito più correttamente performer nel caso del Workcenter: «È bello osservare cosa cambia prima e dopo uno spettacolo in termini di qualità di relazioni tra gli individui – spiega Biagini –. Il mio gruppo di lavoro sta esplorando il modo in cui delle performance teatrali riescono a spingere i confini della rappresentazione al di là della poltrona rossa. Non vogliamo far partecipare gli spettatori, cerchiamo solo di allargare lo spazio di quello che noi pensiamo sia il teatro. A New York abbiamo collaborato con alcune chiese afroamericane nel Bronx. Non sono solo luoghi di culto ma anche di cultura e capacità di relazione tra gli individui».
Un percorso che non si ferma al lavoro quotidiano e che sembra comportare una sorta di assunzione di responsabilità verso il proprio ruolo: «Viviamo in tempi strani, in un periodo di transizione. Il nostro dovere come artisti e individui è chiederci che senso ha quello che facciamo – evidenzia ancora Biagini – . Noi cerchiamo di spingere al massimo i nostri obbiettivi e di creare contesti che favoriscano l'incontro tra persone». Il Workcenter ha già programmato molte delle attività che impegneranno i due gruppi nel corso del 2017, per la maggior parte all'estero dove le richieste sono continue, ma non mancheranno incontri anche in Italia.