Opera multimediale. Groenlandia, punto di rottura del mondo
Un momento dei contributi video di Piergiorgio Casotti per “Lo sciamano di ghiaccio”
Luce e tenebra, modernità urbana e ritmi arcaici. E un mondo, quello della Groenlandia, sul punto di rottura. È Lo sciamano di ghiaccio, spettacolo tra teatro e performance che questa sera segna lo sconfinamento trentino di Transart, festival multidisciplinare dedicato alle nuove frontiere del contemporaneo che ha per fulcro Bolzano. Negli spazi industriali della Seppi di Mezzolombardo va in scena il lavoro di teatro multimediale corale con la drammaturgia di Guido Barbieri, la regia e il dispositivo visivo di Fabio Cherstich, le immagini e i video di Piergiorgio Casotti, le composizioni originali di Massimo Pupillo e la drammaturgia musicale di Oscar Pizzo. « Lo sciamano di ghiaccio – spiega Fabio Cherstich – è uno spettacolo di immagini e suoni, un viaggio alla scoperta di una terra difficilissima dove si riacquista il senso di una natura che detta le leggi del tempo. È il racconto dell’arco di una giornata e dei suoi difficilissimi equilibri, per far riflettere ed emozionare gli spettatori e le spettatrici ». Lo spunto è la figura di Robert Peroni, alpinista bolzanino che quarant’anni fa ha deciso di andare a vivere in Groenlandia, nella piccola città di Tasiilaq, e aprire la “casa rossa” per ospitare persone desiderose di sapere di più di quel paese e degli inuit: «Uno dei popoli più antichi e pacifici del pianeta, oggi minacciato dai cambiamenti climatici, dalle politiche estrattive di Canada e Stati Uniti oltre che, paradossalmente, dalle politiche ambientali che hanno limitato la caccia alle foche, pratica tradizionale alla base dell’alimentazione. La Groenlandia ci è sembrata una situazione paradossale ed esemplare per raccontare il presente». Il team degli autori ha trascorso tre settimane in Groenlandia: «Abbiamo incontrato Peroni e gli abitanti di Tasiilaq, presenti sul palcoscenico tramite videotestimonianze mixate con le immagini dell’ambiente e le musiche dal vivo nelle quali è centrale il contributo di Karina Moeller, una voce che appartiene al popolo inuit. Credo che la sua figura sia la chiave dello spettacolo: un ponte tra due mondi, il nostro e quello della Groenlandia». Il risultato, dunque, non è uno spettacolo documentario ma con un carattere «esplorativo e poetico», come lo definisce Cherstich, in cui il grande, ma non unico protagonista è il Grande Nord. «Un luogo dove – osserva Guido Barbieri – la forza, la potenza, il dominio della natura sono ancora oggi, nonostante i mezzi tecnologici che cercano di contrastarle, incombenti e a volte insuperabili. Quando spira veloce e gelido il “ piteraq” ogni resistenza è inutile. Non volano gli aerei, non si alzano gli elicotteri, non vanno le barche in mare, non circolano le moto slitte e nemmeno le slitte coi cani. Bisogna solo aspettare che smetta di soffiare. E di fronte a questa totale asimmetria la dimensione umana sembra essere schiacciata, ancora oggi, sotto il peso di eventi imponderabili. Non a caso una delle parole più utilizzate nella lingua groenlandese è “ uppa”, qualcosa di analogo a “forse, chissà, vedremo domani”... Ma nei millenni le forme di resistenza che il popolo inuit ha messo in campo, e che ancora oggi fanno parte del corredo comportamentale, è una sorta di ostinata e ferma gentilezza che reagisce alle difficoltà non con la rabbia o con l’autocommiserazione bensì con un sorriso indulgente e saggio. Che non assomiglia alla rassegnazione, bensì alla fiducia che prima o poi il vento calerà, i ghiacci si scioglieranno e la vita potrà riprendere il proprio corso. Per noi è stata una grande lezione di umanità». La figura dello sciamano nel titolo rievoca la dimensione mediatrice del sacro, «ma gli sciamani attivi – spiega Barbieri – sono, per così dire, “sciamani minori”, quasi degli “psicologi”, che hanno dimenticato le antiche pratiche sciamaniche. Il titolo lo abbiamo rubato a Robert Peroni, il quale sostiene che gli sciamani più potenti, in Groenlandia, siano la neve e il ghiaccio, che vengono interrogati e danno sempre una risposta saggia alle domande dei cacciatori e dei pescatori. Per lo meno dei pochi che sono rimasti ». Ma la presenza e persino la conoscenza del patrimonio mitologici della gente inuit, «basato su alcune semplici narrazioni tramandate di generazione in generazione per quasi cinque millenni e strettamente legate alla caccia e alla pesca, si sono enormemente affievolite, fin quasi a scomparire dalla coscienza comune. Abbiamo cercato di comprendere e rappresentare in che modo il vento della modernità e della cultura occidentale hanno fatto ir-ruzione nel tessuto culturale e materiale della popolazione indigena. Lo spettacolo è una lenta oscillazione visiva e sonora tra due luoghi vicini nello spazio ma molto lontani nel tempo: abbiamo messo a confronto i modi di vita di una comunità rurale di duecentocinquanta abitanti nella piccola isola di Kulusuk e la dimensione urbana di Tasiilaq, che con i suoi milleduecento abitanti è la sesta città groenlandese, dove invece, sradicate quasi tutte le attività tradizionali, i residenti vivono di turismo, di attività commerciali e soprattutto dei sussidi danesi. E dove le contraddizioni della modernità sono esplose con violenza, con un altissimo tasso di suicidi, alcolismo e disagio mentale, soprattutto tra i giovani. Una realtà che abbiamo cercato di mettere in scena, con onestà e sincerità ».