Agorà

Teologia. Così il grande mistico Gregorio Palamas ci conduce all'unione con Dio

Simone Paliaga martedì 14 novembre 2023

Maestro della Grecia settentrionale, “San Gregorio Palamas”, XIV secolo (particolare)

Nel corso del quattordicesimo secolo, esplose una importante controversia teologica nel mondo bizantino tra un monaco originario dell’Italia meridionale, che al tempo era una regione di cultura e lingua greca, e i monaci del Monte Athos. L’acceso dibattito riguardava l’interpretazione della Luce del Monte Tabor, e dunque era legato alla Trasfigurazione, avvenuta durante la preghiera di Gesù, che risplende della luce divina del Padre, per presentarsi ai discepoli, suoi testimoni, Pietro, Giacomo e Giovanni, la cui esperienza può essere condivisa da chi si dedica all’orazione degli esicasti.

Il monaco-filosofo calabrese Barlaam di Seminara, un umanista italogreco giunto in Grecia nel 1330, si scagliò con veemenza contro i monaci athoniti, usi alla vita esicasta, incentrata sulla preghiera del cuore associata a un controllo della respirazione. Barlaam accusava i monaci esicasti di empietà perché misconoscevano la vita trinitaria. A sostegno della propria tesi e contro i monaci del Monte Athos sosteneva che la luce taborita fosse creata, poiché, secondo lui, gli apostoli non avrebbero potuto vederla se fosse stata increata, cioè divina. La sua argomentazione, che risentiva già degli influssi umanisticorinascimentali che si stavano diffondendo nella penisola italica, si dipanava in polemica con l’interpretazione che veniva data dell’episodio evangelico nell’Oriente cristiano. In particolare il suo bersaglio erano i monaci esicasti, che ridicolizzava definendoli “omfalopsichi”, vale a dire coloro situavano l’anima nell’ombelico.

Nello specifico del suo discorso Barlaam difendeva l’inconoscibilità assoluta di Dio da parte dell’uomo, e, alla lunga, questa posizione polemica accarezzava un ambizioso progetto. Sperava di contribuire a superare la questione del Filioque, dimostrando l’insensatezza del problema trinitario che aveva diviso, poco più di un secolo prima, le due Chiese. Dal canto loro, i monaci del Monte Athos, alcuni dei quali avevano compiuto l’esperienza mistica di questa luce divina, reagirono vigorosamente alle tesi di Barlaam, citando i Padri della Chiesa, e in particolare Gregorio di Nissa, e affidandosi a un’antropologia di forte ispirazione biblico- patristica in contrapposizione a quella umanista del monaco calabrese.

Chi difese con vigore le posizioni degli esicasti fu Gregorio Palamas (1296-1359), che all’epoca, dopo diverse peregrinazioni tra vari monasteri per sfuggire alle scorrerie piratesche, praticava la preghiera del cuore sull’Athos. La controversia esplose in maniera eclatante nel 1335, e da allora la vita di Gregorio non smise mai di intrecciarsi con le vicende della disputa, finendo imprigionato nelle segrete imperiali per quattro anni, senza dimenticare l’anno trascorso nelle mani degli ottomani. Nonostante le sue alterne vicende carcerarie, Gregorio Palamas fu fortemente sostenuto dall’imperatore Andronico III che convocò due sinodi, nel 1341, e dall’imperatrice Anna promotrice di un terzo, nel 1351, a Costantinopoli, non a caso chiamati palamiti. La loro conseguenza fu la conferma della correttezza delle posizioni di Palamas, che divenne successivamente metropolita di Tessalonica, l’odierna Salonicco, e la condanna di quelle del suo avversario.

Per confutare Barlaam, tra i numerosi testi che Palamas scrisse, figurano anche i nove trattati delle Triadi oggi pubblicate, per la prima volta in edizione italiana con testo critico greco e traduzione a fronte, nel volume dal titolo Luce del Tabor. Difesa dei santi esicasti (pagine 784, euro 42) dalle Edizioni Studio Domenicano con la preziosa cura Maria Benedetta Artioli, autrice anche dell’ampia introduzione. Non va comunque dimenticato, per dovere di cronaca, che tutte le opere di Gregorio Palamas sono state tradotte, in tre volumi oramai introvabili, nel primo decennio degli anni Duemila, da Ettore Perrella per la straordinaria collana Il pensiero occidentale diretta dal compianto Giovanni Reale per l’editore Bompiani.

Nella confutazione delle tesi di Barlaam, Palamas affronta, con vigore e ben evidente vis polemica che intride quasi tutta la sua opera, la spinosa questione della teologia trinitaria. Non va scordato che Palamas intraprende “una lotta contro tutto l’Occidente latino – sostiene Maria Benedetta Artioli – allo scopo di sventare il pericolo di introdurre nella teologia una logica filosofica disancorata dall’esperienza vitale degli esicasti, In realtà la sua battaglia era forse più limitata, era piuttosto contro l’aspetto razionalista del tomismo”, la cui opera simbolo, la Summa theologiae, venne tradotta proprio da un altro monaco athonita, Procoro Cidone insieme al fratello Demetrio.

Non a caso la via mistica, in contrapposizione a quella “razionalista” è di continuo difesa nel corso della sua argomentazione. « Il Conosci te stesso dei filosofi. – ammonisce Palamas –. La conoscenza che proviene dall’istruzione profana non è solo diversa ma anche contraria alla vera conoscenza spirituale, anche se alcuni si sono sviati, a quanto pare, e tentano di sviare quanti li ascoltano, tanto da parlare come se si trattasse di un’unica e medesima conoscenza, dichiarando che ha per fine la contemplazione ». E ancora, precisa il teologo esicasta, « noi dunque non intendiamo impedire a nessuno di seguire studi profani, se lo desidera, a meno che non sia impegnato nella via monastica».

La grande originalità di Palamas, per contrastare la “scienza profana” utilizzata da Berlaam, fu quella di formulare una definizione precisa di cosa fosse la natura divina, distinguendo tra l’essenza divina, totalmente inaccessibile e inconoscibile, e le energie divine increate, attraverso le quali Dio crea, si fa conoscere e si dona. Se gli occhi dell’uomo non potessero vedere questa luce increata, supraceleste e divina, secondo Palamas, l’uomo non potrebbe mai entrare in comunione con Dio, che rimarrebbe sempre lontano ed esterno o. La vita e l’esistenza perderebbero allora senso, perché lo scopo unico della vita umana, per il monaco athonita e gli esicasti, è l’unione con Dio, la theosis.