Parigi. La pittura fra cielo e terra. La prima volta del Greco in Francia
El Greco, «Assunzione della Vergine» (particolare)
È tutto un chiedersi come mai, come sia potuto accadere che la Francia, la patria dove ogni grande artista riceve gli onori che merita, perché è chiaro che non potrebbe essere che così, ecco, come abbia potuto, questa Francia maestra nel riconoscere il valore dei grandi, dimenticarsi fino a oggi di Domenico Theotokopoulos alias El Greco. I primi a domandarselo sono gli stessi vertici delle istituzioni francesi che hanno voluto colmare questa grave lacuna: il presidente del Grand Palais, dove si tiene oggi l’esposizione-risarcimento, Chris Dercon, e il presidente del Louvre Jean-Luc Martinez. Perché, in effetti, si tratta della prima importante retrospettiva allestita sul genio cretese in Francia.
Oltre settanta opere del Greco, esposte fino al 10 febbraio, ci consentono di vedere, parete dopo parete, come la sua pittura sia maturata – non voglio dire “evoluta” perché lo stile di Domenico s’intuisce già quando da giovane a Creta si fa erede della tradizione bizantina: bastano a dimostrarlo la piccola tempera con San Luca che dipinge la Vergine e, soprattutto, l’altarolo conosciuto come Trittico di Modena della Galleria Estense con, sul fronte esterno, la bellissima parte centrale della Veduta del Sinai e all’interno gli altrettanto intensi pannelli che raffigurano l’Allegoria del cavaliere cristiano e il Battesimo di Cristo. Opere di gran fattura, che mostrano l’abilità da “miniaturista” del Greco, ma anche la sua volontà di farsi pittore della dottrina cristiana (era forse di fede greca- ortodossa, ma già a Roma sposò probabilmente il culto cattolico come farà in modo definitivo in Spagna).
Da Creta Domenico partì, lasciando la moglie, dopo la metà degli anni Sessanta del Cinquecento, e si diresse prima a Venezia e poi a Roma. Due mondi si incontrano: l’Oriente e l’Occidente, l’ascesi e la mistica dell’umano, una sorta di emblematica ricucitura dello scisma che segnò già la Chiesa. Se volessi ridurre la sua pittura al dato “spirituale” dentro il quale lo si è spesso e erroneamente vincolato, potrei parlare di stile “pentecostale”, fiammeggiante con una modernità che ha dato alla glossolalia sacra una valenza più carnale (di carne gloriosa, se vogliamo). Ma, appunto, è qui che l’asino casca dal cielo dove volava incosciente del suo peso e torna a calpestare la terra: si tratta della questione fondamentale per risolvere l’intollerabile riduzione del Greco a una visione “spiritualista”.
Non so se il grande teologo russo Pavel Florenskij – cultore delle arti visive e di molto altro – si sia mai soffermato sull’opera di questo pittore, ma mi viene di accostare la Trinidad esposta al Prado (ma non qui a Parigi) con la Trinità di Rublëv a cui Florenskij si è molto dedicato: la visione contemplativa del pittore russo è di una sostanza affatto diversa dallo stile “pentecostale” del cretese. Il Greco ha fatto tesoro di ciò che ha imparato in Italia, prima soggiornando a Venezia e poi, verso il 1570, nella Capitale assimilando i “valori tattili” della pittura rinascimentale (mentre i russi hanno spesso rifiutato il paganesimo dell’arte occidentale). A Roma Greco venne un po’ maltrattato dopo essere stato accolto, con la raccomandazione di Clovio, come ospite di Palazzo Farnese: non era uno che le mandava a dire, Domenico, e, dopo aver proposto a papa Pio V di fargli ridipingere il Giudizio universale di Michelangelo in modo più aderente ai dettami della dottrina cattolica, a domanda rispose: «Michelangelo? È un brav’uomo, ma non sa dipingere ». Lesa maestà, e finì che non ebbe a Roma molto lavoro da fare, sicché decise di partire per la Spagna, dove invece trovò inizialmente la simpatia del sovrano.
Eppure, mentre si percorre l’affollata la Galleria Sud-Est del Grand Palais – si avverte a ogni passo l’ombra di Michelangelo che aleggia come un fantasma sui quadri del Greco. Il disegno Studio di nudo maschile, un d’apres tratto da una scultura, è nella forma e nel tratto energico e ruvido un chiaro debito con Michelangelo, così anche il foglio che sulle due facciate presenta rispettivamente le figure di San Giovanni Battista e San Giovanni evangelista, per quanto più decantate nel segno. In effetti, come è ormai chiaro agli studi e ribadisce lo stesso curatore della rassegna Guillaume Kientz nel saggio introduttivo del catalogo, i soggiorni nelle due città italiane portano il Greco ad assimilare il colorismo del tardo Tiziano, l’energia tellurica del Tintoretto che – come direbbero i francesi – agisce bouleversant sulla costruzione dello spazio e delle figure arse da un fuoco; infine, il tanto da lui criticato Michelangelo, del quale però non può scordare la potenza plastica della forma. E si può supporre che al Greco il Giudizio non piacesse perché quei colori dominati dall’azzurro lapislazzulo invadevano un po’ il suo campo cromatico e anticipavano anche certe distorsioni manieristiche, sia pure ancora interne al canone anatomico classico, che domineranno il clima pittorico tardorinascimentale e la stessa pittura del cretese. Era destino che Michelangelo diventasse oggetto di competizione per un giovane ambizioso che approdava a Roma qualche anno dopo la sua morte: vogliamo ricordare la sfida al grande toscano nella pittura di Caravaggio?
El Greco, «La Favola» (1585 c., particolare) - IMAGNO Brandstätter Images, Vienna
In Spagna Greco trova un terreno favorevole perché il sovrano, Filippo II, ama la pittura di Tiziano e vuole realizzare all’Escorial un luogo che celebri la sua grandeur politica. Quando Greco arriva in Spagna il cantiere è alacremente al lavoro. Lui ha le carte in regola e lo dimostrerà. Ma ha anche lo zelo dell’apologeta della dottrina controriformista mentre la Chiesa persegue gli eretici: nel Monastero di San Domenico di Silos realizza nel 1577 un grande ciclo pittorico che gli apre le porte anche per altre commissioni: oltre alla Trinità del Prado c’è l’Assunzione della Vergine, oggi a Chicago e presente in mostra, i cui moduli compositivi risentono molto del Tintoretto. Greco vuole ingraziarsi il sovrano cattolico, e calca la mano talvolta occupandosi più dei contenuto che del suo stile (Filippo ama la grande arte e sa cogliere le debolezze di una resa didascalica). Quando il pittore gli presenta l’Allegoria della Lega Santa e il Martirio di san Maurizio, a Filippo non piacciono. La mostra espone due versioni dell’“Allegoria”, quella conservata alla National Gallery e quella del monastero di San Lorenzo all’Escorial, di dimensioni maggiori e più debole nello stile. La versione londinese, con ogni probabilità studio per quella più grande, adotta un linguaggio arcaizzante e una costruzione più sintetica che riflette il ricordo delle icone orientali: in particolare, per la giustapposizione di aree pittoriche autonome che articolano la narrazione del tema, noto anche come Il sogno di Filippo II e L’adorazione del nome di Gesù.
La caduta in disgrazia nei favori del re spagnolo vincolò Greco fino al momento della morte a Toledo, dove peraltro si guadagnò con alcune opere fama imperitura (come la sempre citata Sepoltura del conte di Orgaz). La forza costruttiva e distorsiva della forma che ancora ne fanno un pittore modernissimo, attirò l’attenzione di molti pittori a noi più prossimi: da Cezanne ai Fauves e ai soliti surrealisti. Ma la sua opera impressionante di ritrattista anticipa Velázquez, Zurbarán, Caravaggio, Van Dyck: la mostra è dominata da queste tele, dove, in particolare, spicca il Ritratto del cardinale Niño de Guevara, che penso si possa porre accanto all’Innocenzo X di Velázquez come ispiratore del dipinto di Francis Bacon.
Quando Greco si libera del suo zelo apologetico interessato e si concentra sulla forza del proprio linguaggio espressivo non solo può essere considerato il precursore del Siglo de oro, ma anche colui che ha saputo tenere uniti spirito e materia quando di lì a qualche decennio Cartesio avrebbe spaccato l’uomo nelle due metà di una mela. Mentre tutto oggi tende alla “perdita di peso” e i teorici della mente puntano tutto sull’intelligenza artificiale, Greco appare l’attuale profeta di una spiritualità totalmente incarnata.