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L'ADDIO IN CONCERTO. Pooh, l'ultima notte insieme

Andrea Pedrinelli venerdì 2 ottobre 2009
«Se doveva essere un fina­le, è stato un gran fina­le». Red Canzian è l’ulti­mo a prendere la parola, quando i coriandoli già nascondono lacrime e volti dei quattro Pooh, invecchia­ti di colpo non appena l’ultima can­zone in scaletta, Chi fermerà la mu­sica , cede il passo all’addio. Milano, Forum, mezzanotte ed otto minu­ti di giovedì primo ottobre 2009: si chiude qui la bella, fortunata, no­bilmente popolare storia dei Pooh. Stefano D’Orazio si ritira, gli altri chissà. E il popolo dei Pooh si as­siepa alle transenne: all’una passa­ta sono ancora in cinquecento, for­se solo per dir loro l’ultimo grazie. Il concerto? Come diceva una can­zone della band, «È finita la serata / la voce se n’è andata / l’ultima canzone / raramente viene bene». Figurarsi l’ultimo concerto, dun­que, che inizia come segue. Roby Facchinetti parla al passato, poi al condizionale azzarda «Vorremmo fosse festa» e la voce gli manca. Do­di Battaglia dice della gente come di 'amici' e al termine del discor­so singhiozza. Red Canzian esordi­sce con un « È l’ultimo » , poi ag­giunge «Purtroppo, indi si fionda tra le quinte. E lui, D’Orazio, che si sente respirare a fatica persino – per la prima volta in tanti anni di show – quando suona il flauto, but­ta lì un «Scendo, voglio essere one­sto con voi e con me » , poi sin­ghiozza pure lui. Dopo cotanto ab­brivio sono state ovvie le troppe in­terpretazioni incrinate dall’emo­zione, col magone che montava specie sui brani inconsapevol­mente più adatti alla circostanza. Esempio sommo Che vuoi che sia, dove Battaglia non cantava, ma tentava di cantare «Si tratta solo di cambiare la mia vita…». Ci diran­no: ma voi giornalisti non dovreste essere anche freddi, un po’ cinici, comunque aspettarvi di tutto dal rutilante mondo dello show-busi­ness? Già. Però dovrebbero essere attori da Oscar, i Pooh, per aver messo in scena un addio finto tan­to perfetto. E poi bastava guardar- si intorno, al Forum, per mettere l’umanità davanti al mestiere. Do­manda: quando il popolo dei Pooh, che ha applaudito con lo stesso ca­lore capolavori ( 1’ 30' di stan­ding ovation per Parsifal ) e cose non eccel­se, è balzato in piedi? Al med­ley «Io sono vi­vo/ Canterò per te/ Non siamo in pericolo»: la sintesi della gioia di vivere e dell’invito all’ottimismo che, in fondo, sono il marchio del pop a­dulto dei Pooh. Ed ora chi glielo di­ce, a quella gente normale, perbe­ne, che non è più in pericolo? Ai cinquantenni di Bellinzona con le magliette del tour ’76, al posato si­gnore che sventola la sciarpa del ’ 91, ai coniugi sui settanta con sguardo perso sul palco vuoto? Co­me sottovalutare i Pooh se si è fat­to portare al Forum per l’addio an­che un malato in barella assistito da infermieri? Certo sono dei mar­pioni: infatti lanceranno a breve cd e dvd dal vivo di quest’ultimo show, e libro fotografi­co sulla tournée. Ma mentre D’Ora­zio saluta, alla fine più solleva­to dei colleghi, ci sarà un « se­condo tempo » per gli altri tre? Lo diranno, pro­babilmente, presentando la coda commerciale di cui sopra. Ma la cosa giusta l’ha già detta Facchi­netti sul palco: «Ci aspetta un gran­de compito, scegliere la strada mi­gliore. Per la nostra storia, per noi, per voi che ci avete seguito». Vi a­spetta, cari Pooh od ex-Pooh che siate, di riuscire in un compito ar­duo, ma che per 43 anni vi è riusci­to. Mettere in rima parole lonta­nissime, come marketing e rispet­to.