L’importanza la si capisce dalla Camera degli Sposi. Perché al centro del capolavoro di Andrea Mantegna non c’è semplicemente la celebrazione di casa Gonzaga, ma l’elezione di Francesco a cardinale. Il primo della storia della famiglia, a certificare in modo definitivo l’ingresso della stirpe nell’élite. Il rapporto complesso tra la casata lombarda e la Chiesa è al centro di un convegno tra Mantova e Roma organizzato dalla Università Europea. «Il convegno dà voce a un vasto progetto di ricerca nato dalla facoltà di storia del nostro ateneo con altre università italiane ed europee», racconta
Renata Salvarani, docente di Storia del Cristianesimo presso l’istituto accademico romano. «Nasce da un vuoto di conoscenza: i Gonzaga sono stati studiati con ampiezza dal punto di vista della committenza e politico ma il rapporto tra casato, Chiesa e grandi questioni religiose all’inizio della modernità è rimasto sullo sfondo». Marginale e insieme centrale, piccola ma influente, la stirpe dei Gonzaga diventa il punto di osservazione privilegiato per capire le dinamiche spirituali e politiche di un’intera epoca. «I cardinali della famiglia sono il perno tra il microcosmo della corte di Mantova e la città universale. Ma questo rapporto chiama in causa tematiche ecclesiologiche come il ruolo dei vescovi, il rapporto tra laici e istituzioni ecclesiastiche, l’emergere dalla coscienza individuale fino alla grande questione del primato petrino». Tutti temi di stretta, se non drammatica attualità. Così come di grande interesse sono le scelte di san Luigi, del ramo cadetto di Castiglione: «Che a Roma vive e muore – continua Salvarani – La ricostruzione della sua vicenda attraverso gli archivi romani ha messo in luce i rapporti tra aristocrazia minore e le grandi rivoluzioni in atto nella Chiesa alla fine del ’500. La scelta di rinunciare al marchesato fu di assoluta libertà. Così come quella di entrare nella Compagnia di Gesù, il solo ordine che poteva permettergli di tenere testa alla famiglia e a meccanismi sociali rigidamente codificati». Non furono solo i Gonzaga a scendere a Roma, anche i pontefici si recarono a Mantova. E per occasioni importanti. «Martino V dopo essere stato eletto papa nel 1417 dal Concilio che a Costanza risolse lo scisma d’Occidente – racconta monsignor <+nero>Roberto Brunelli<+tondo>, direttore del Museo diocesano di Mantova – in attesa di andare a Roma sostò ospite nella nostra città per tre mesi e da qui governò la Chiesa nella ritrovata unità. L’altro grande incontro col papato avvenne nel 1459, quando papa Pio II convocò a Mantova la dieta dei principi cristiani d’Europa, indetta per far fronte alla caduta di Costantinopoli e all’espansione turca. Pio II nel discorso inaugurale si rivolse agli intervenuti non in nome della fede ma della comune civiltà, un precedente storico della tensione verso l’Europa unita». E Mantova mancò per poco la possibilità di ospitare il Concilio che si sarebbe tenuto poi a Trento: «Era stato convocato nel 1537 ma due mesi prima il duca Federico II, che non brillava per acume politico, frappose difficoltà e tutto sfumò. Mantova fu scelta perché piccolo Stato indipendente collocato a metà tra Roma e Germania, una sede ideale». Ma i rapporti tra casata e papato non furono sempre lineari, anzi: «Durante il sacco di Roma molti Gonzaga furono impegnati ma su fronti diversi. Isabella d’Este si trovò bloccata in città, dove si era recata per fare ottenere la porpora al figlio Ercole. Ma uno dei capi dell’esercito imperiale era un suo altro figlio, Ferrante, che comandò l’assedio della città e portò in salvo la madre solo dopo mesi. Il primogenito Federico II, invece, era ufficialmente capitano della Santa Chiesa. Avrebbe dovuto essere a Roma per difenderla ma non si mosse da Mantova. Clemente VII chiuso in Castel Sant’Angelo fu portato in salvo da Luigi Rodomonte Gonzaga, che pure era tra gli assedianti». La dieta di Mantova fu senza dubbio uno dei momenti più alti della corte gonzaghesca ma non fu la sola occasione in cui la stirpe ebbe a che fare con la caduta di Bisanzio. «In realtà allora i Gonzaga furono solo splendidi ospiti ma non si impegnarono mai per la crociata» racconta <+nero>Massimo Viglione<+tondo> dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea del Cnr. «Alla fine del ’500 però il duca Vincenzo negli anni 90 partecipa a tre spedizioni crociate contro gli ottomani. È c’è poi il caso clamoroso di Carlo di Gonzaga di Nevers, che nel 1627 diventerà duca di Mantova, il quale spenderà oltre 15 anni della sua vita e un patrimonio incalcolabile per riconquistare Costantinopoli». Carlo, che aveva sangue Paleologo per parte di madre, aveva infatti ricevuto dai greci la promessa del trono di Bisanzio: «Carlo vive un progetto spesso descritto come mitomane, ma la prospettiva è diversa. Il suo progetto ricevette l’appoggio del papa, dei sovrani francesi, di Maria de’ Medici, del cardinale Richelieu. Carlo fondò Charleville, nelle Ardenne, come base per la crociata, pagava un esercito di 15 mila soldati, costruì una flotta di 20 navi da guerra. Un pazzo? No, fu sfortunato. Perché proprio quando la spedizione stava per partire scoppiò la guerra dei 30 anni. E la sua flotta fu requisita». Una storia che sembra di altri secoli… «In realtà è colpa della storiografia che non ha mai valutato a pieno il peso ottomano nella politica estera dell’epoca. Quello turco era un problema sentito dai sovrani. Ma a far fallire sistematicamente i progetti non fu la paura, l’impero all’epoca erano indeboliti dal secondo fronte con la Persia, ma le contraddizioni interne tra le potenze europee». Vicende di quattro secoli fa, ma sembrano cronaca di oggi.