Basket. Gonzaga, i “gesuiti” a canestro
I cavalieri che (non) fecero l’impresa, al suono della sirena hanno lasciato sul parquet pianti e rimpianti. Perché arrivare ad un passo dal traguardo e vederlo sfuggire nel momento cruciale è l’epilogo più amaro, tuttavia basta voltarsi indietro per capire che vale la pena essere orgogliosi del cammino percorso sino a quel punto: nella notte tra lunedì e martedì Gonzaga ha solo sfiorato il titolo universitario del basket Ncaa, sconfitta di appena sei punti, 71-65, all’ultimo atto dai Tar Heels della University of North Carolina, giunti questi ultimi al sesto titolo nazionale. Ai ragazzi della piccola università cattolica gesuita di Spokane, nello stato di Washington, resta la soddisfazione di un’annata memorabile (37 gare vinte su 38, prima della finale), della inattesa vittoria nella Western Conference e di avere ottenuto, partecipando alla final four e battendo South Carolina in semifinale, un risultato che anche solo quindici anni fa appariva impossibile da raggiungere ma che certifica la qualità dello sport accademico dell’istituto, anno dopo anno in pressoché costante miglioramento in tutte le discipline praticate, con il basket quale fiore all’occhiello.
Peccato anche perché, a qualche decina di migliaia di chilometri di distanza, non sfugge il legame storico e religioso con l’Italia, perché l’università è intitolata e dedicata a San Luigi Gonzaga, nobile figura del Rinascimento mantovano, primo erede del marchese di Castiglione delle Stiviere Ferrante Gonzaga. Aveva diciassette anni quando, abbandonando lusso e ambizioni di potere, rinunciò al marchesato per convertirsi al mondo di Dio ed entrare nella Compagnia di Gesù, nel 1587, dopo il noviziato.
Trovata la strada e divenuto di fatto martire della carità, Luigi Gonzaga - che morì ad appena ventitré anni - sarebbe poi stato dichiarato beato nel 1605 da Papa Paolo V e in seguito, nel 1726, santo da Papa Benedetto XIII. Fa pertanto specie ritrovarne la memoria proprio grazie ad una (quasi) impresa sportiva, ben oltre l’oceano, di una università che ai suoi insegnamenti si ispira e ha fatto proprio il motto latino e, appunto, gesuita, «ad Majorem Dei Gloriam», rimarcando ancora una volta la propria affiliazione all’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola. Talvolta, per eterogenesi dei fini, lo sport favorisce anche l’aspetto didattico, e questo è il caso: essendo la finale di Ncaa evento mediatico di portata internazionale e non solo statunitense, verosimilmente a tanti sarà venuta la curiosità di indagare il motivo per il quale una delle pretendenti al titolo - al di là della presenza in panchina di un assistant coach italiano, il vice allenatore sardo Riccardo Fois - portasse un nome da noi non ignoto, ma senz’altro dimenticato e perso nel lontano tempo delle Signorie.
Gonzaga, appunto, e scoprire così l’esistenza dell’università gesuita che ha rischiato di entrare nella leggenda Ncaa, come un anno fa era accaduto ad esempio all’università agostiniana di Villanova, in Pennsylvania, capace di vincere il titolo a trentuno anni di distanza dall’ultima volta in cui a trionfare era stato un ateneo cattolico, sempre quello di Villanova per la precisione. Erano, quelli, anni d’oro per le squadre delle università cattoliche della Ncaa, dopo che nel 1977 gli atleti della Marquette University di Milwaukee, fondata anch’essa dai gesuiti, erano riusciti a vincere contro ogni pronostico il titolo accademico. Gesuita era anche l’università di Georgetown ( Washington D.C.), campione nell’anno 1984, così come al titolo era arrivata per due volte anche la squadra della gesuita University of San Francisco molti anni prima, nel 1956 e 1957. Ma non solo negli sport universitari statunitensi è possibile rintracciare squadre la cui ispirazione, per motivi identitari, è di derivazione cattolica.
Alcune, come il Celtic di Glasgow, sono diventate nel tempo dei veri e propri simboli, altre invece, realtà meno note e ancora più legate alla religione, nonostante la gloria si sono trovate a vivere vicissitudini assai tormentate. Una vicenda terminata male, ad esempio, è quella del Belfast Celtic, squadra calcistica della capitale nordirlandese modellata proprio sull’omonimo club scozzese, ma inserito in un contesto politico e sociale fortemente caratterizzato dal settarismo che instaurò un clima ostile nei confronti di quella che, per oltre cinquant’anni, fu la più importante squadra cattolica di Belfast. La quale, dopo avere vinto per quattordici volte il titolo nell’ambito di una feroce rivalità con i protestanti del Linfield, il 27 dicembre 1948 disputò di fatto la sua ultima vera partita a Windsor Park, lo stadio del club rivale, conclusasi con una violenta caccia all’uomo nei confronti dei suoi atleti. Scomparve allora quello che era definito Grand Old Team, lasciando orfani i numerosi tifosi che presero a simpatizzare per l’altra squadra cattolica cittadina, il Cliftonville, che tuttavia mai raggiunse le vittorie dei biancoverdi. Il cui ricordo resta immortale.