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Intervista. Gloria Campaner: «Fare i pianisti oggi? Ci vuole coraggio»

Alessandro Beltrami venerdì 22 febbraio 2013

La pianista Gloria Campaner è nata a Jesolo nel 1986

​A 16 anni suonava in una band ska: «Stavo alle tastiere, non avevamo strumenti a fiato e dovevo sopperire a trombe e trombette. Avevo un bel d’affare!» dice ridendo Gloria Campaner. Che dieci anni dopo porta il suo pianoforte a la Carnegie Hall di New York, la Disney Hall di Los Angeles, la Salle Cortot di Parigi. E questa sera (diretta Radio3 ore 20.30) eseguirà a Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il Secondo concerto di Sergej Rachmaninov, con Juraj Valcuha sul podio. È un periodo d’oro per il talento nato a Jesolo nel 1986: da poche settimane ha infatti pubblicato il suo disco d’esordio, Piano Poems, per Emi. Primo punto di arrivo di un percorso iniziato da bambina e proseguito con studi in Svizzera, Usa e Germania con maestri come Kostantin Bogino e Fany Solter, concorsi e debutti importanti ma anche interessi come la danza contemporanea e il jazz.

Le mani sulla tastiera a 4 anni, oggi concertista in tutto il mondo. Nel mezzo cosa c’è?

Tanta carne al fuoco, lavoro e sacrificio, crisi ed entusiasmi. C’è stato un momento in cui ero tanto affascinata dalla biologia molecolare da pensare di fare ingegneria genetica. Ma c’è sempre stata una luce, una forza nel cuore. La voglia di fare musica, una voce interna il cui suono si avvicina alle corde del pianoforte. E quella voce ha vinto. Devo ringraziare anche una famiglia che mi ha sostenuto sapendo stare dietro le quinte. E i miei maestri, a partire da Daniela Vidali, la mia prima insegnante, che ha acceso la scintilla.

Quanto coraggio ci vuole oggi per tentare la carriera concertistica?

Tanto. Specie in una società in cui la musica classica è considerata polverosa e obsoleta. Arrivano critiche da tutti gli ambiti, è considerata inattuale. Il coraggio è anche quello di cercare di rendere attuali testi scritti secoli fa. Oggi è forse più facile essere autori e andare al passo con i tempi. Oggi la sfida per un interprete è condividere il suo bisogno di fare musica con più persone possibile. C’è fame di progresso umano e spirituale. La musica è una risposta. Ma le occasioni vanno cercate una a una.

Concerto e disco prevedono però modi molto diversi di condivisione della musica. Cambia qualcosa nel modo di suonare?

È il cuore del problema. Il concerto dal vivo è l’espressione più alta dello stare dentro l’arte. L’artista costruisce un ponte magnetico con il pubblico. Sul palco il silenzio è importante quanto il suono. I momenti prima dell’attacco, tra un brano e l’altro, al termine dell’esecuzione lasciano spazio all’ascoltatore, cambiano in funzione della sua risposta. Per questo ho pensato a Piano Poems come un concerto, valorizzando i silenzi e suonando il più possibile d’un fiato, registrando sempre tutto da capo a fondo. E poi un pubblico, a suo modo, l’avevo: il mio tecnico del suono…

In Piano poems ha inciso due cicli di Schumann e Rachmaninov. Come nasce la scelta?

Sono musiche che ho suonato molto e che sempre suonerò, ma ho voluto fermare un momento, lasciare traccia di un percorso. Rispetto a Humoreske di Schumann, i Moments musicaux di Rachmaninov sono più noti ma poco eseguiti integralmente. Si tratta di due cicli molto diversi tra loro ma che hanno un’affinità nella vicinanza tra vita e musica nei due autori, artisti che hanno sperimentato gli estremi dell’esaltazione e della depressione, quando non della follia. Ed entrambi hanno messo la poesia al centro della loro musica strumentale. Ecco il perché del titolo.

A proposito di Rachmaninov, che legame c’è invece tra i Moments musicaux e il Secondo concerto?

Sono opere contigue cronologicamente e contrastanti: Rachmaninov nei Momenti musicali è sognante ma ancorato al passato. Il Concerto invece unisce al dolore la volontà e l’esigenza di tornare a farsi sentire dopo la depressione, con temi pensati e voluti per puntarsi come una freccia negli ascoltatori. Un messaggio di amore insieme a tanto pessimismo: l’anima russa è tutto questo.