Un giallo a tinte fosche, direttamente ambientato nell’Antico Egitto, un’oscura vicenda, che avrebbe potuto ispirare la penna di Agatha Christie, prende progressivamente forma alla luce della lente implacabile degli archeologi-investigatori, veri e propri detective attivi in riva al Nilo. Come astutissimi Poirot o Miss Marple gli studiosi della Long Island University (New York), guidati da Peter Brand e Bob Brier, sono stati capaci di intuire e smascherare la trama di un delitto aberrante, commesso attorno al 1170 a. C. – anno più, anno meno – e ovviamente passato sotto silenzio dalle fonti ufficiali dell’epoca; diciamo "ovviamente", perché a commettere il fattaccio o a commissionarlo fu niente meno che Ramses III, all’epoca faraone, l’uomo più potente della terra. Ma procediamo con ordine: si era nel 1881, ai tempi dell’archeologia pionieristica, quando Gaston Maspero, notò in un nascondiglio di Deir el-Bahari (vicino a Luxor) circa quaranta mummie di faraoni e regine, loro consorti; i cadaveri giacevano in una cachette, ben nascosti, dato che già in antico erano stati messi al riparo dai tombaroli, pronti a profanarli e soprattutto ad appropriarsi del ricco corredo funebre. Ebbene, tra queste mummie l’archeologo venne colpito dal corpo imbalsamato di un ragazzo, seppellito nell’atto di lanciare un urlo e con le mani e i piedi legati. Si pensò a una terribile esecuzione, ma non venne identificato il personaggio (non vi erano né titolatura né altri indizi) e non si poterono definire i contorni della losca vicenda. Che rimase oscura fino a poche settimane fa, quando l’équipe di Peter Brand in seguito a una scansione a raggi X e alla comparazione del codice genetico ha dato un nome al malcapitato, giustiziato appunto alla corte di Ramses III: si tratta sicuramente di uno dei suoi numerosi figli (legittimi o illegittimi, comunque suoi figli di sangue), prole del longevo e prolifico faraone. Ma quale di preciso? Combinando la parentela rivelata con i dati storici (riferiti dal cosiddetto "papiro della congiura dell’harem", conservato al Museo Egizio di Torino), sappiamo che il principe Penterwere fu il figlio-ribelle, che cercò di detronizzare il padre per subentrargli alla guida del Paese; e in questo – ricordano gli egittologi – il giovane fanciullo, non potendo ovviamente partorire autonomamente una simile, terribile decisione, fu istigato dalla madre, intenzionata a metterlo al potere per poi controllarne la politica e trarne benefici. «Allora il giovane assassinato non può che essere lui, le tessere del mosaico tornano. Evidentemente – ora è chiaro – fu colto sul fatto e punito in modo esemplare: fu sicuramente per ordine del padre che spietati sicari lo uccisero e lo fecero mummificare legato mani e piedi, simbolo perenne di tradimento, da scontare nel regno dei morti», precisa Brand. Probabilmente si trattò di un’esecuzione esemplare, inscenata per mostrare la fine inevitabile di chi pensasse di imitare il povero ragazzo. Fu quello di Ramses III un regno abbastanza lungo: il sovrano, assurto al trono solo a trent’anni, dopo però essersi fregiato della carica di "Grande Capo di tutto l’Egitto", che di fatto gli permetteva di prendere decisioni importanti anche sotto il faraone precedente, regnò dal 1184 al 1153 a.C., riuscendo a garantire elevata prosperità, grazie a spedizioni militari, destinate a difendere i confini dai nemici (soprattutto verso Oriente); le sue vittorie belliche sono state conseguenza anche del largo impiego di truppe mercenarie (soldati libici, in particolare): i successi indiscutibili, di cui Ramses III si vantò facendoli incidere sulle pareti del tempio di Medinet Habu, garantirono all’Egitto tributi continui da tutto il Vicino Oriente e l’utilizzo delle miniere in Sinai. I problemi furono invece interni: il papiro Harris ci parla del primo sciopero della storia proprio sotto Ramses III; a incrociare le braccia furono i lavoratori preposti allo scavo e alla decorazione delle tombe reali, che dopo un mese di lotta videro riconosciute le proprie richieste. E fu soprattutto un regno costellato da ripetuti intrighi di una corte, dove si succedettero un certo numero di mogli ufficiali (dalla fortuna alterna agli occhi del sovrano, e in perenne contesa tra loro) e dove si mossero anche numerose concubine, tutte pronte a concedersi al re per riceverne i favori: una lotta spietata con favorite e ripudiate che cambiavano ogni giorno. In un contesto così vivace e licenzioso ben si ambienta una storia di sangue, già allusa dallo stesso papiro dell’harem di Torino; la storia di un infanticidio, a cui la scienza ora inchioda lo stesso sovrano.