Scenari. “Lungoterminismo”: solo pensando il futuro lontano salviamo il presente
Oggi sono presenti sul nostro Pianeta poco più di 8 miliardi di persone. Si stima che nella storia umana siano finora vissuti 100 miliardi di individui. Se proviamo a calcolare la probabile durata della Terra in condizioni abitabili, circa 500 milioni di anni, dobbiamo ipotizzare almeno milioni di miliardi di nostri pronipoti. Non è un pensiero che forse facciamo spesso, alle prese come dovremmo essere con le difficoltà di volta in volta legate a gruppi ben più ridotti di nostri simili. Ma, dice il filosofo William MacAskill, le persone future contano, ce ne saranno molte, e noi possiamo rendere migliori le loro esistenze. Se accettiamo queste premesse, che a un primo sguardo non sembrano controverse, allora dovremmo prendere molto sul serio il “lungoterminismo” proposto dal giovane pensatore dell’Università di Oxford nel suo recente volume Che cosa dobbiamo al futuro. Prospettive per il prossimo milione di anni (Baldini+Castoldi, pp. 508, 22 euro).
In genere, tendiamo a dare la priorità a coloro che ci sono vicini, sebbene sia preferibile l’imparzialità morale: ciascuno, cioè, va trattato nello stesso modo, indipendentemente da chi è e da dove si trova. Si possono certo sperimentare problemi logistici per gli aiuti diretti. Tuttavia, se si tratta di donare soldi, non dovremmo differenziare tra i senza dimora sotto casa e i poveri in Somalia. E il tempo? Si ritiene che sia simile allo spazio. Nel caso facessimo cadere rifiuti radioattivi in una sorgente d’acqua, affinché ci preoccupiamo di recuperarli non sembra importante sapere che si ammalerà una bambina fra un mese, due anni o mezzo secolo. Eccoci quindi portati a considerare come un dovere etico la cura delle prossime generazioni, perché siano in grado di prosperare nella maggior misura.
Come possiamo farlo? Evitando un tracollo ambientale-climatico, in primo luogo. E poi con un progresso morale e politico dell’umanità (come quello che ha condotto all’abolizione della schiavitù, per esempio), con la gestione saggia dell’intelligenza artificiale, con la prevenzione delle pandemie, della stagnazione tecnologica (che impedisce lo sviluppo) e della proliferazione delle armi di distruzione di massa, oltre a conservare la biodiversità e non depauperare le riserve di acqua e materie prime. Tutto semplice a dirsi e difficile a farsi. Soprattutto, però, in un’opera che vuole invitare all’azione sulla base di una giustificazione rigorosa, servono argomenti perspicui e ben costruiti. Si spiega così la lunghezza del testo, che risulta comunque scorrevole e persino godibile per il lettore non specialista e soltanto curioso, grazie alla mole di informazioni e ricostruzioni storiche, frutto di un lavoro di squadra interdisciplinare.
Che sia necessario rapportarsi con giustizia e solidarietà a chi verrà dopo di noi lo ha raccomandato Francesco nell’enciclica Laudato si’. Anche se vi può essere una convergenza di obiettivi con il Papa, sono considerazioni differenti quelle da cui muove MacAskill. Le sue sono infatti di stampo utilitarista con la convinzione che, nell’ambito dell’etica della popolazione, sia valida la cosiddetta Total View, per cui il valore di una situazione è la somma del benessere (umano) che vi si trova. Ne consegue che è bene aggiungere vite felici, e le persone future contano esattamente come quelle di oggi. Il lungoterminismo proposto dall’autore rimane un opportuno richiamo contro l’egoismo dell’oggi, ma presenta alcune debolezze. In primo luogo, non sposa alcuna teoria politica al fine di prendersi cura del futuro e quindi non si impegna in scelte operative chiare, né fornisce principi per stabilire il peso relativo che dovremmo dare alle prossime generazioni nelle nostre scelte attuali. Siamo chiamati solo a evitare catastrofi o anche a garantire uno sviluppo costante e orientato ai nostri successori? D’altra parte, si può obiettare che gli obiettivi principali citati in precedenza sono nell’agenda di qualsiasi governante responsabile e fondamentali per la nostra stessa sopravvivenza.
Non è peraltro solo lo studioso di Oxford nell’esortazione al lungoterminismo. Anzi, un altro filosofo suo collega in Gran Bretagna, Roman Krznaric (verso cui sembra avere alcuni debiti di ispirazione), lo ha anticipato di un paio di anni con un volume che esce ora in italiano accompagnato da minore enfasi, Come essere un buon antenato. Un antidoto al pensiero a breve termine (Edizioni Ambiente, pp. 328, euro 25). Krznaric, accreditato teorico e fautore dell’empatia, rivolge questo sentimento a tutti coloro che ancora non ci sono ma ci seguiranno e rischiano di ritrovarsi una Terra saccheggiata e impoverita. Ciò accade perché abbiamo colonizzato il futuro e abbiamo perso la connessione tra generazioni. Dimenticando i nostri predecessori – è la tesi – non possiamo nemmeno essere attenti e ben disposti verso i nostri discendenti. Viene così coniato il termine “ribelli del tempo” per definire quegli attivisti che cercano la “giustizia intergenerazionale”. E la “mentalità dell’eredità” descrive il desiderio di essere ricordati dai posteri, mentre il “pensiero della cattedrale” si applica ai progetti la cui durata va oltre la vita umana (e viene subito in mente il cantiere infinito della Sagrada Familia di Gaudí).
La critica al sistema capitalistico che produce uno sviluppo insostenibile si affianca a una sfiducia nel fatto che la scienza possa porre da sola rimedio alla miopia delle scelte cardine che andiamo compiendo. Dobbiamo pertanto educare e dare spazio al nostro cervello-ghianda, che guarda al futuro, invece che al cervello-marshmallow (da un noto esperimento di psicologia sui bambini), che privilegia la soddisfazione immediata dei desideri. Le grandi opere, in realtà, si progettano ancora, ed è soprattutto discutibile che in passato vi fosse una sensibilità maggiore per quelli che sarebbero venuti dopo. Risulta invece più plausibile l’idea che il nostro circolo morale vada allargandosi: oggi stiamo appunto discutendo di come includere nelle nostre decisioni coloro che sono soltanto potenziali esseri umani, entità che qualche studioso, oltre che molti cittadini, continuano a ritenere un riferimento vago cui non necessariamente siamo obbligati nello stesso modo in cui lo siamo verso i contemporanei.
Per essere buoni antenati, non serve nemmeno sposare l’“altruismo efficace” di cui MacAskill è paladino e a cui è legata principalmente la sua fama, ovvero la tesi secondo cui gran parte del potenziale di generosità delle persone viene sprecato per mancanza di informazioni, dati errati e pregiudizi. Al centro di questa teoria ci sono cinque domande per le scelte altruistiche: quante persone ne beneficiano e quanto? È la cosa più efficace che posso fare? Quest’ambito è trascurato? Cosa accadrebbe altrimenti? Quali sono le possibilità di successo? È noto che l’altruismo efficace ha conquistato molti miliardari della West Coast americana ed è guardato come una moda che non sempre va nella giusta direzione. In definitiva, si può prendere il buono dalla riflessione sul lungoterminismo e distillare dalle pagine di MacAskill (nell’edizione italiana manca inspiegabilmente la bibliografia) e di Krznaric la spinta a una corretta e doverosa sensibilità diffusa verso le generazioni future, senza furori ideologici né sbilanciamenti morali.