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Verso Sanremo. Giovanni Caccamo: «Con Eterno canto l'amore che dura per sempre»

Angela Calvini mercoledì 17 gennaio 2018

«Come un bambino stanco ora voglio riposare / e lascio la mia vita a te / Mi manca la presenza della sua figura». Giovanni Caccamo interpreta con delicatezza e profondità al pianoforte il brano scritto da Giuni Russo, La sua figura, ispirato agli scritti di San Giovanni della Croce, mentre le voci del gruppo vocale di musica antica Caterina Ensemble elevano la melodia verso l’Alto. «È la prima cover che pubblico perché è un brano che amo profondamente ed è stata registrata in una chiesa di Padova. È un po’ la summa del mio nuovo album Eterno, che prende il nome dal brano che porterò a Sanremo».

Barba curata e borsalino in testa, come i fan di Amici di Maria De Filippi si sono abituati a vedere nei panni del saggio tutor, il cantautore di Modica ha dato anche una virata al suo stile musicale, più ampio e sinfonico. Ed è così che si presenterà in gara fra i Campioni al prossimo Festival di Sanremo (dal 6 al 10 febbraio), senza il pianoforte che lo ha accompagnato fedele in questi anni nel suoi live in tutta Europa.

Dopo aver vinto Sanremo Giovani nel 2015 con Ritornerò da te (anche premio della critica) e il terzo posto nel 2016 nella categoria Big con Deborah Iurato per Via da qui, l’artista 27enne targato Sugar, nato come designer e scoperto da Franco Battiato, torna all’Ariston con le carte in regola per svoltare col brano Eterno, cui ha collaborato anche Cheope. Parla del desiderio di un amore che duri per sempre, che è poi il filo conduttore di tutto l’album, 8 brani tutti scritti dal cantautore siciliano, che uscirà nei giorni del Festival.

Giovanni Caccamo, considerato cantautore e autore raffinato, ha voglia di cambiare?

«Sì, ma per essere ancora più fedele a me stesso. Un anno e mezzo fa mi sono fermato e mi son detto che dovevo creare l’album in assoluto dell’anima, quello in cui riesco a capire chi sono, come uomo e come artista, un nuovo inizio. Ho chiesto a Sugar un produttore che capisse l’importanza dei testi e delle melodie, e che esaltasse la canzone, senza farla sovrastare da rumore. Così i brani sono stati affidati a Taketo Gohara, arrangiatore anche di Capossela, mentre gli arrangiamenti orchestrali sono curati da Stefano Nanni, collaboratore storico di Pavarotti. Abbiamo registrato ad Abbey Road, con la London Session Orchestra. Un vero sogno».

Lei si presenta al Festival con un inno all’amore universale.

«Eterno è una canzone ricca di positività, una sorta di marcia verso la luce, che inizia pianoforte e voce e poi si affida all’orchestra che cresce e ti solleva. Sono tornato a studiare canto da due anni, perché avevo bisogno di una marcia in più. Il brano parla di amore, della vita che ti prende per le mani, del meraviglioso mistero in cui siamo immersi, che poi sono i temi di tutto l’album. L’amore è una tematica che non ho mai affrontato finora, sono sempre stato più concentrato sulla sofferenza e la malattia, sul dolore e sulla speranza. È stato il mio modo per connettermi con la musica a mio padre che persi a 15 anni. Oggi il protagonista è l’amore che può cambiare la vita dell’uomo».

Declinato però attraverso una parola oggi “controcorrente”: eterno.

«Volevo accendere una luce sul concetto di relazione eterna in un momento in cui le relazioni sono usa e getta, sempre più virtuali, sempre più momentanee. Dopo 6 mesi cambi tutto, dopo la prima difficoltà cambi tu, cambiano le amicizie, cambia il fidanzato. Quindi l’idea dell’album è reinvestire sui rapporti eterni. Quando vado giù in Sicilia e vedo i miei nonni che hanno più di 80 anni e si amano come il primo minuto, mi domando: ma come è possibile? Eppure è possibile».

Vuole essere una speranza anche per i suoi coetanei?

«Il pensiero di non investire sull’amore perché tanto crolla è il pensiero della massa. Non è così. La difficoltà ti fanno capire che per raggiungere un obbietivo occorre faticare. Le relazioni vanno curate. Ed è il motivo per cui la confezione dell’album conterrà anche un sacchettino con dei semi di zinnia. Quello che dirò al Festival è “prendete per mano la persona che amate, sorella, amico, marito, nonna, trovate un vaso, piantate i semi e prendetevi cura delle vostre relazioni preziose, innaffiatele tutti i giorni, state attenti che il vento non le rovini”».

E negli altri brani, di che relazioni si parla?

«L’ultima traccia Altrove, parla dell’immigrazione, è il viaggio di un padre che lascia il proprio figlio per dargli la speranza di una vita futura nonostante il legame del loro amore eterno debba compromettersi: magari non si rivedranno più. Puoi fidarti di meinvece è una ballad romantica presente al nuovo film Alessandro Genovese. Il brano chiave è Bisogno di tutto, canzone molto ritmata che fa un elenco di tutte le futilità che fanno parte della nostra vita e di cui non sento più il bisogno: il rumore, le spiagge assolate, la superficialità del web. Al posto di insultarci virtualmente, piuttosto amiamoci veramente».

“La sua figura”, invece, si rivolge a Dio…

«La sua figura rappresenta l’amore per Dio, l’apice è proprio quello. Battiato l’ha sentita e gli è piaciuta molto. Per mio padre, grande devoto della Madonna di Fatima, e mia madre, insegnante di religione, la fede ha avuto sempre una importanza fondamentale. Quando ho scritto il libro Dialogo con mia madre, edito l’anno scorso, ho scoperto che nella loro unione ci sono stati momenti di grande gioia ed enormi difficoltà che, al posto di deteriorare la relazione, l’hanno sempre fortificata».

E il suo rapporto con la spiritualità?

«La mia spiritualità si basa sulla parola grazie e l’unico modo che ho per ringraziare è esaltare la mia vita riempiendola di luce e di positività. Quindi è diventata la mia missione in musica. Se prima Sanremo mi terrorizzava, ora mi entusiasma, lo vedo come uno strumento per inondare le case degli italiani di amore, l’unico antidoto vero che può controbilanciare tutta la negatività, la violenza e la rabbia che ci hanno proprio stufato».