Firenze. Tornano a splendere gli affreschi di Giotto della Cappella Bardi
Il restauro di un dipinto
Un incontro ravvicinato con Giotto che lascia senza fiato. È un’emozione forte quella che si prova a contatto con gli affreschi della Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze. Salire sui ponteggi, in questa fase del complesso restauro delle scene della vita di san Francesco, ti mette di fronte al Giotto autentico, quello ripulito dai tanti interventi, anche nefasti, in attesa che i restauratori ridipingano le parti andate perse nella tribolata storia di questo capolavoro commissionato all’inizio del Trecento con tutta probabilità da Ridolfo dei Bardi, membro della potente famiglia di banchieri fiorentini. Da allora, dagli anni tra il 1317 e il 1321 in cui si presume abbia operato nella basilica francescana l’artista innovatore della pittura italiana, la Cappella ha subito varie manomissioni, compresa un’imbiancatura a calce, intorno al 1730, quando si ritennero non più alla moda le pitture murali di Giotto di Bondone (Vicchio 1267 - Firenze 1337). Ma non solo: nel 1812 e poi nel 1818, all’altezza del registro inferiore delle pareti laterali, vennero inseriti due monumenti funebri producendo perdite irrimediabili. Solo nel 1851, mentre si pensava a una nuova decorazione, riemersero porzioni della pittura trecentesca il cui restauro fu affidato a uno tra i più celebri restauratori del tempo, Gaetano Bianchi, che riportò alla luce il capolavoro tardo giottesco con tutte le abrasioni, i graffi e le perdite dovute alla rimozione dell’imbiancatura e dei due cenotafi. In quell’occasione tutte le mancanze furono colmate con integrazioni «in stile», che poi furono a loro volta rimosse nel restauro condotto tra il 1957 e il 1958 da Leonetto Tintori, che scelse, con la guida del soprintendente Ugo Procacci, di rimuovere le aggiunte ottocentesche per rivelare un Giotto il più possibile vicino all’originale, limitando al minimo le integrazioni pittoriche. Ma anche questo intervento non fu indolore per il massiccio uso di fissativi sintetici, soprattutto a base vinilica, con conseguente offuscamento della cromia giottesca. Il resto lo hanno fatto lo scorrere del tempo, la polvere, i distacchi d’intonaco, le fratture e la devastante alluvione del 1966. In questa complessa e delicata realtà hanno messo le mani, su incarico dell’Opera di Santa Croce, gli esperti restauratori dell’Opificio delle pietre dure, guidati dalla soprintendente Emanuela Daffra, che hanno avviato la fase di ripulitura ora quasi ultimata, ritrovando nella pittura di Giotto una straordinaria freschezza e una ricchezza di dettagli, godibili in pieno soltanto in una visione ravvicinata al momento concessa ai giornalisti in attesa che da ottobre possa essere possibile anche per piccoli e selezionati gruppi di residenti a Firenze (una sorta di anteprima offerta dalla Fondazione Cassa di Risparmio) per poi poter aprire i ponteggi a tutti i visitatori, previa prenotazione, dall’estate prossima, per almeno due mesi. «Trovarsi al cospetto di Giotto, a diretto contatto con le Storie di san Francesco nella Cappella Bardi — spiega la presidente dell’Opera di Santa Croce, Cristina Acidini —, costituisce un’opportunità culturale e scientifica irripetibile. Un restauro come questo ha davvero tanto da raccontare: riesce a far riemergere i particolari dell’impegnativo lavoro preparatorio dell’artista, la progettazione scenica coraggiosa, la generosità cromatica, l’intensità dei volti e delle immagini d’insieme. Elementi che il tempo aveva offuscato, a tratti cancellato, e che tornano alla luce anche grazie all’utilizzo di strumentazioni avanzatissime ». Un ambizioso progetto di restauro, con un impegno economico di oltre un milione di euro, reso possibile della stretta collaborazione dell’Opera di Santa Croce e della Comunità dei frati con l’Opificio delle pietre dure e il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e dell’Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano. «Questo lavoro — spiega Emanuela Daffra — è l’ideale proseguimento delle attività avviate dall’Opificio nel 2010. Allora fu condotta una campagna diagnostica finalizzata alla conoscenza della tecnica giottesca e dello stato di conservazione sia della Cappella Bardi che dell’attigua Cappella Peruzzi, mentre dal 2011 al 2013 fu restaurato l’episodio delle stigmate di san Francesco, dipinto sull’arco di ingresso della stessa Cappella Bardi». A proposito di stigmate, il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, sottolinea come questo restauro si inserisca in tre anni in cui è centrale la figura di san Francesco: il 2024 anno dell’ottavo centenario delle stigmate ricevute dal santo di Assisi alla Verna il 17 settembre 1224; il 2025 l’anno del Giubileo; il 2026 l’anno dell’ottavo centenario della morte di Francesco, avvenuta la notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226, e tra l’altro raffigurata nella scena forse più nota della Cappella Bardi, che vista ora da vicino permette di apprezzare soprattutto gli stupendi volti dei frati al capezzale del santo. In tutto sono comunque sei le scene cruciali della vita del fondatore dell’Ordine francescano rappresentate nei 180 metri quadrati della Cappella Bardi, che costituisce un monumento assoluto della cultura figurativa italiana e in particolare dell’arte fiorentina del primo Trecento, occupando una posizione speciale nel percorso artistico di Giotto nella fase post-padovana e conclusiva della sua attività. Per realizzare le storie di San Francesco, Giotto si ispira al racconto di Bonaventura da Bagnoregio. Sul fronte sopra l’arco dipinge, come accennato, il santo che riceve le stigmate, mentre sulle pareti laterali rappresenta gli altri episodi della vita di Francesco: dalla Rinuncia agli averi, alla Prova del fuoco di fronte al sultano, all’Apparizione a frate Agostino e al vescovo Guido di Assisi. Sulla volta disegna le allegorie di Povertà, Castità e Obbedienza, mentre sulla parete di fondo restano tre nicchie distribuite su due livelli che ospitano altrettante figure collegate alla storia dell’Ordine francescano: San Ludovico di Tolosa, Santa Chiara e Santa Elisabetta d’Ungheria.