La scrittrice filippina. Gina Apostol, il lettore e la gioia della libertà
La scrittrice filippina Gina Aposto
Capita raramente, perciò quando accade è sempre una sorpresa, di imbattersi in libri molto diversi da quelli che si incontrano quotidianamente, con una cifra letteraria pura, con una particolare attenzione alla sperimentazione, con una struttura articolata, originale, al di fuori dell’intreccio narrativo tipico del Novecento. Si alza il livello di difficoltà, ma cresce al contempo anche il piacere della lettura, che diventa labirintica, riflette su sé stessa e talvolta si fa metaletteraria, squarcia il velo che separa le pagine dal lettore e si avvicina senza filtri a un livello altro, fatto di dialogo interculturale e linguistico, filosofico e artistico. Questo è ciò che capita leggendo La rivoluzione secondo Raymundo Mata di Gina Apostol, ultima “scoperta” di Utopia Editore (pagine 416, euro 19,99). Gina Apostol (in questi giorni in tour promozionale in Italia) è nata a Manila nel 1963. È considerata una delle voci più autorevoli della letteratura filippina contemporanea, è poliglotta, ma scrive in inglese e nella sua metanarrativa spesso analizza con ironia la storia politica delle Filippine e l’eredità del colonialismo. È stata accostata ad autori come Borges, Nabokov, Cortázar (con un particolare riferimento alla Rayuela), ma anche a Foster Wallace per l’utilizzo dell’apparato critico, a Fresán per ambizione e ricerca di un romanzo mondo e a Calvino. Questo romanzo multiforme è costruito intorno al diario di un giovane rivoluzionario filippino, Raymundo Mata, coinvolto, a fine Ottocento, nei moti di liberazione del suo Paese dalla dominazione spagnola. La sua vita si interseca con quella di José Rizal, lo scrittore (ma anche poeta, linguista, scultore, oculista) che ispirò la rivoluzione filippina. A corredo, un apparato critico di cui fanno parte una critica, un’accademica, una traduttrice e una psicanalista, che dialogano a distanza, tra le pagine e le note, costituendo un paratesto che diventa un gioco metaletterario postmoderno, per la cui lettura è richiesta solo una cosa: la libertà e non necessità di trovare necessariamente risposta alle domande incontrate.
Come è nata l’idea per questo libro? Chi è Raymundo Mata?
Il mio primo romanzo era sulla lettura. Questo libro invece è una storia in cui si intrecciano alla storia questioni politiche, perché la politica ha quasi sempre a che fare con la letteratura. Insieme alla politica, in questo libro c’è l’importanza dello storytelling, perché io sono sempre stata ossessionata dai libri ed è grazie a questi che mi sono imbattuta in Raymundo Mata. Un giorno ho letto che era stato un paziente di Rizal, in quanto non vedente. Da lì ho costruito tutta la scena del romanzo.
Nel finale l’accademica Estrella Espejo, uno dei personaggi del libro, dice che «quest’opera è un monumentale inno alla storia» e al senso identità.
È stato molto importante per me pensare al concetto di identità della persona filippina. In primo luogo è stato fondamentale il mio punto di vista di riflessione su Rizal, perché è conosciuto in ogni singola città del Paese, ma in modo diverso da come lo racconto. È stato difficile vederlo con altri occhi, come una persona umana che sbaglia e odia. Un Filippino non lo vede così solitamente, perciò è stato complesso unire il concetto di nazione e identità con l’arte. Mata nel libro è diventato l’ombra di Rizal, per vederlo non solo come eroe ma come uomo e scrittore, non più solo come rivoluzionario.
Questo è un libro che parla di lingua e traduzione. Quando andiamo a tradurlo in una nuova lingua (la traduzione italiana è di Alessandro Raveggi, esperto del tema, in libreria in questo momento con Il romanzo di Babele, La svolta multilingue della letteratura, Marsilio), il traduttore diventa a sua volta parte del libro e personaggio della storia?
Ci sono tanti modi di entrare nel libro e prendere contatto con la sua forma. Quando è stato pubblicato nelle Filippine la prima volta l’ho riletto e ho continuato ad aggiungere note. È una caratteristica dell’aspetto di infinito. Volevo addirittura pubblicare l’edizione digitale del testo dando al lettore la possibilità di aggiungere lui stesso altre note.
Di Rayuela si è detto che gettando le pagine in aria, si può leggere comunque nell’ordine in cui si raccoglie. C’è un modo di leggere il suo libro per districarsi tra note e manoscritto?
Ogni volta che il libro viene aperto è visto in tanti modi, perché ha tanti mondi diversi, come il molteplice lettore di Calvino. Si possono saltare le note, leggerle prima o dopo e questo non rovina il libro, né rovina la storia. Quando ho scritto, inizialmente sono partita dal diario. Quando ho aggiunto le note invece ho cercato di dare una voce diversa, che mi desse gioia. Credo che questo libro sia un atto di gioia nel dare libertà al lettore, mantenendo però vivi i limiti dei personaggi.
In esergo ci sono due citazioni: Rizal e Giovanni, con un riferimento a Maria Maddalena. Qual è il suo rapporto con la fede?
Ho cercato di associare la figura di Rizal al rapporto tra Cristo e Maddalena. Rizal, a mio avviso, credo non sia stato visto davvero per quello che era. Non siamo riusciti a comprendere Rizal come artista, ma solo come eroe, come colui che ha salvato il Paese. Io come scrittrice conosco il desiderio di essere compresi. Cristo a sua volta non è stato visto realmente, non è sempre e da tutti stato capito fino in fondo, e questa sensazione per me ha a che fare anche con il concetto identitario di una persona filippina.
Nel libro si cita un “auto da fé”. Montale nel suo Autodafé dice che non sempre il tempo cronologico coincide con quello psicologico. In questo libro coincidono?
Non possiamo pensare a un tempo cronologico senza un tempo psicologico. È difficile pensare alla persona in quanto umana, senza percepirla all’interno dei due tempi insieme. È impossibile vivere senza un tempo psicologico, perché ogni momento, ogni azione, è un tempo psicologico sempre attivo. Tuttavia, senza un tempo cronologico, non potremmo vivere una vita sensata in ogni atto della quotidianità. Dobbiamo permetterci perciò di pensare che esistiamo da un punto di vista materiale, immaginando questo tempo cronologico. Questo libro ha ambedue questi tempi; il diario ha una struttura cronologica necessaria per proseguire, ma è stato cruciale per me parlare anche dal punto di vista di come viviamo, e non solo di come costruiamo il nostro tempo.
C’è attenzione alla salvaguardia della biodiversità linguistica e delle minoranze linguistiche nelle Filippine?Nella storia delle Filippine, sotto agli Stati Uniti, si è iniziato a insegnare inglese nelle scuole, quindi a insegnare le letterature americane e inglesi. Questo però non è stato motivo di eliminazione delle lingue originali, le nostre lingue, perché la colonizzazione avrebbe potuto cancellarle ma non l’ha fatto. Io stessa ne parlo diverse. Abbiamo mantenuto queste lingue in molti aspetti della nostra vita, nel teatro, nei film, nella radio, ma sono cresciuta leggendo in inglese, come parte delle mie lingue. Ha avuto importanza per la mia crescita, ma allo stesso tempo credo che le nostre lingue abbiano radici davvero forti e questa è una delle ragioni per cui continuano a esistere. La lingua è stata il mezzo attraverso il quale abbiamo mantenuto e manteniamo noi stessi nel tempo.Il libro si conclude con una domanda aperta sull’immaginazione e sul suo potere.Dobbiamo immaginare che la nazione viene costruita costantemente. In primo luogo, tutte le nazioni sono state immaginate. Quando pensiamo a settemila isole o cinquecento lingue parlate, è difficile capire come unificare un Paese, per questo credo sia frutto di una costruzione, un’immaginazione continue. Ed è per questo che usiamo la rivoluzione, ma è sano pensare anche alla rivoluzione come a qualcosa ancora da costruire, perché dobbiamo pensare a un Paese tolto dalle sue basi più solide a causa della sua stessa storia. Perciò credo che la rivoluzione continui sempre nella nostra mente, per contribuire costantemente a migliorare le cose.