Agorà

Il personaggio. Georgia nella vigna sacra del canto

Chiara Bertoglio sabato 31 dicembre 2016

Dalla Georgia alla Francia, da virtuosa del pianoforte a specialista di musica liturgica ortodossa: l’itinerario musicale e di vita di Nana Peradze è anche in senso fisico, nel quale, paradossalmente, il passaggio dal luogo delle origini a un Paese molto distante e orgogliosamente laicista ha significato trovare il senso profondo delle proprie radici religiose e culturali. «La Georgia – spiega Nana – è una nazione fra le più antiche; numericamente piccola, nella sua ricchissima storia possiede tuttavia una propria grandezza: è come una persona minuta con una grande anima. Nei secoli, la Georgia ha subito molti attacchi, combattendo contro numerosi nemici che volevano conquistarla e distruggerne la fede; i georgiani l’hanno difesa sacrificando la vita. L’immagine storica della Georgia è quella del crocifisso e del martire».

In questa tradizione si radica l’esperienza di Nana: «Sono cresciuta in una famiglia che ha conservato le tradizioni e la fede cristiana, nonostante fosse difficilissimo nel periodo comunista; fra i miei antenati ci sono dei sacerdoti». Ben presto la Peradze si avvicina alla musica: «Ho cominciato da Bach: le sue composizioni, piene di energia spirituale, sono cattedrali che attraggono l’anima con un sentimento contemplativo che nasce dall’estetica perfetta e dalla profondità. Poi sono approdata a Chopin, che mi ha aiutata a comprendere le esperienze della vita: mi ha insegnato il coraggio, ho provato in purezza la gioia e la malinconia dell’amore, la danza, la speranza. Nel regime sovietico, la musica classica era il mio unico nutrimento spirituale: mi ha aperto il cammino verso la conoscenza di Dio».

Per molti anni, la musica per Nana si incarna nel pianoforte: un po’ per timidezza, un po’ per sensibilità non osa cantare. «Finché un giorno incontrai una direttrice di coro della Chiesa ortodossa, che mi invitò a cantare con lei un canto sacro. Fu un momento preziosissimo: sentii una gioia immensa, e fui pervasa dal desiderio di studiare il canto sacro per diventare a mia volta direttrice di coro. Da quel momento ho sentito che il mio posto era nella Chiesa e da allora non ho smesso di cantare ». La differenza fra i due tipi di musica è notevole, per la Peradze: «Suonare il pianoforte è far vibrare il proprio essere e le proprie emozioni, condividendole con il pubblico. Ma cantare o dirigere un coro nella Sacra Liturgia, senza accompagnamento di strumenti, è elevare la nostra preghiera a Dio con tutto il cuore e tutto lo spirito. Come direttrice, ho anche la responsabilità di custodire l’armonia e la bellezza del canto che veicola la preghiera di tutti i fedeli; deve giungere loro spogliato dalle passioni puramente umane, per essere nutrimento spirituale e la preghiera della Chiesa si elevi a Dio esprimendo gratitudine, pietà e pentimento».

Costretta da un incidente ad abbandonare la carriera pianistica e trasferitasi in Francia con suo marito, pope ortodosso, Nana si dedica comunque al suo strumento componendo. La sua occupazione principale, però, è la direzione di due cori: uno, il San Simeone, esclusivamente liturgico, l’altro, Harmonie Georgienne, dedicato alla polifonia tradizionale. Con loro Nana ha inciso tre cd che hanno ottenuto successo internazionale. Ciò che preme di più alla Peradze, tuttavia, è un altro tipo di successo: «Un coro liturgico – spiega – è una parte del mondo spirituale visibile sulla terra, che partecipa al coro invisibile e universale in cui uomini ed angeli insieme glorificano il Signore. La bellezza del canto sacro trasmette la preghiera, che è uno slancio sostenuto dalla grazia di Dio per elevarci a Sé. Il canto eleva a Dio, esprimendo con la melodia e i testi sacri un contenuto teologico, che santifica e divinizza l’anima del cantore e quella degli ascoltatori. Inoltre crea unità coinvolgendo nella bellezza teologica del canto sacro, radicato nella preghiera di lode o di pentimento».

L’esperienza corale diviene così per lei stessa un cammino spirituale: «Ho l’impressione che quando morirò continuerò a cantare! Dare vita ai canti liturgici è un grande onore: ascoltarli calma lo spirito e incoraggia a pregare, vedendo la vita con occhi diversi; talora, inoltre, affiorano delle lacrime, segno di un pentimento necessario per avvicinarsi degnamente e gioiosamente ai santi misteri». In un canto come il Cherubikon, in cui l’assemblea misticamente simboleggia i cherubini, «i fedeli entrano nel cuore del mistero eucaristico. Cantando e pregando, l’anima riceve da Dio la grazia che dona la pace, e si purifica per entrare in comunione con Lui nella presenza reale di Cristo. Oggi il mondo ha bisogno di pace come non mai, ma quella terrena nasce da quella spirituale, dono dello Spirito Santo e frutto della comunione e del pentimento». Tramite la musica, inoltre, la Peradze scorge un cammino di unità fra le Chiese cristiane: «Certo, la differenza dogmatica fra Oriente e Occidente non va sottovalutata. Ma non si può neanche dimenticare il tempo in cui tutta la cristianità confessava la stessa fede, espressa nell’arte sacra. Il canto gregoriano è nato in quel periodo: sono canti meravigliosi, che sono perfettamente “ortodossi” nel senso etimologico del termine, come anche quelli di Ildegarda di Bingen, che sono stati per me una grande scoperta. Ciò che conta è la fede universale e immutata della Chiesa, che si esprime nel canto gregoriano, in quello georgiano e in quello bizantino: l’unità spirituale di questi canti è data dallo spirito con cui sono eseguiti».