Intervista a Dino Gavinelli. Geografia, mappe & simboli
Di recente sembra che la geografia sia diventata una sorta di Cenerentola tra le materie scolastiche. L’ultima riforma dell’istruzione secondaria (la riforma Gelmini) l’ha accorpata, nel primo biennio degli istituti secondari, alla storia, sottraendole così la propria autonomia. Eppure è una disciplina fondamentale per i saperi richiesti dalla società di oggi. Lo sottolinea un importante geografo, Dino Gavinelli, che insegna questa materia all’Università degli Studi di Milano. «Se si parte dalla premessa», spiega, «che la geografia in quanto "geo" (terra) e "grafia" (scrittura, disegno), descrive, rappresenta e racconta il nostro pianeta, viene naturale pensare che in un’epoca di enormi, continui e incessanti cambiamenti apportati dalle società umane al volto del pianeta, questa disciplina non possa essere trascurata, e anzi vada costantemente aggiornata, insieme alla sua didattica, per cercare di interpretare e spiegare al meglio le mutazioni in atto. Al di là però della comparsa di nuovi fenomeni che spingono a un continuo aggiornamento della geografia, c’è anche un’istanza etica alla base di questa disciplina».Quale, professor Gavinelli?«Intendo la necessità di parlare ai ragazzi delle nuove e complesse realtà contemporanee, per fornire loro gli strumenti più adatti a comprendere la dimensione dello spazio, l’eterogeneità degli ambienti naturali, la varietà di territori portatori di valori materiali e immateriali di volta in volta diversi, i paesaggi nelle loro dimensioni socio-economiche e culturali, la geopolitica e altro ancora. Tutte questioni importantissime per orientarsi in un mondo come il nostro».Come sta cambiando la disciplina?«Oggi la geografia non ha solo intenti mnemonici, descrittivi, localizzativi ed esplicativi, ma è anche concentrata sullo studio di come il piano del patrimonio, del paesaggio e dell’ambiente faccia parte della dimensione esistenziale e quotidiana degli individui e diventi "spazio vissuto". Ancora, la geografia è attenta a leggere e a trasmettere i valori culturali e spirituali dei luoghi, con un approccio inter e multidisciplinare».Qual è l’utilità specifica di questa disciplina in relazione alle caratteristiche degli adolescenti di oggi?«La geografia è la scienza dello spazio e dell’analisi regionale, e gli adolescenti italiani, contemporaneamente immersi nella dimensione locale, nazionale, europea e globale, necessitano di acquisire una visione che noi geografi definiamo "transcalare", cioè capace di portare al confronto con ciò che non si conosce. Inoltre, oggi per un giovane è inevitabile, ma non semplice, coniugare vicino e lontano, identità locale e cittadinanza globale, appartenenza a un territorio e interazione con altri individui portatori di altri valori e conoscenze. Per farlo bisogna conoscere lo spazio dove si vive abitualmente, ma anche quello degli "altri", si deve cioè possedere una certa conoscenza delle altre realtà geografiche che coesistono sul nostro pianeta. C’è poi anche un’utilità di tipo pratico, legata all’aumentata mobilità dei giovani e alle variegate forme di viaggi e turismo, ma anche alla rilevanza dei flussi migratori. Le conoscenze geografiche servono a comprendere davvero i luoghi, i popoli e le culture, superando gli stereotipi e i cliché di un certo immaginario esotico». I geografi hanno protestato contro l’accorpamento della geografia alla storia nel primo biennio delle superiori. Ma a parte la difesa, forse anche un po’ corporativa, di uno specifico settore disciplinare, quali sono le ragioni scientifiche e didattiche che avrebbero sconsigliato questa fusione?«Personalmente non penso che la dimensione temporale e quella spaziale siano tra loro antagoniste o che una delle due sia più importante dell’altra. Al contrario, sono convinto che le due dimensioni si completino e si rafforzino a vicenda. Tuttavia il taglio delle ore complessive per le due discipline certamente non aiuta: perché il vero problema è questo, e la fusione è stata fatta, temo, soltanto per risparmiare sulle cattedre. Detto questo, un percorso didattico che valorizzi i contesti storici e quelli contemporanei è molto positivo e consente di sviluppare discorsi attenti alla genesi delle forme geostoriche. Ben venga dunque la geostoria come interazione utile tra due discipline, senza però dimenticare che né la storia né la geografia si possono esaurire tutte (per metodi, approcci, oggetti di studio) nella geostoria».Quali sono i motivi della non totale conciliabilità tra storia e geografia?«La geografia lascia spazio allo studio delle forme territoriali ereditate dal passato, ma si occupa anche del presente e non disdegna di delineare possibili scenari di sviluppo che non necessariamente possono essere letti con gli schemi ereditati dal passato. Basti pensare alla globalizzazione attuale e a quanto questa abbia modificato i contesti socio-territoriali, economici, ambientali e politico-istituzionali ereditati dal passato. Ciò obbliga oggi la geografia a percorrere nuove strade interpretative, diverse da quelle proprie agli studi storici».Quali sono gli errori da evitare nell’insegnamento della geografia?«Sicuramente non giovano il nozionismo fine a se stesso e l’esigenza esasperata di alcuni docenti di trattare e spiegare tutto. Neppure aiutano gli insegnanti che, avendo diffidenza o persino paura verso questa materia che non hanno studiato molto nel loro percorso universitario, la trattano banalmente o la riducono, per fare un esempio, alle famigerate cartine mute. Gli studenti capiscono tutto questo, ne sono influenzati e non sorprende che possano allontanarsi da questa disciplina. Nella mia ormai ultratrentennale esperienza di docente, a tutti i livelli, dalle elementari all’università, e di formatore di nuovi insegnanti, cerco di far capire che non è necessario padroneggiare tutto il mondo, i numeri, le statistiche e conoscere le capitali di ogni stato, ma che è più importante capire che la geografia ci aiuta ad affrontare i problemi e gli squilibri del nostro tempo, a leggere i flussi, i legami e le interconnessioni tra le diverse regioni del pianeta e a farci pensare in termini nuovi la sostenibilità e la responsabilità nei confronti della Terra». In che modo la geografia umana dovrebbe entrare nell’insegnamento?«Nella scuola dell’obbligo e nella secondaria superiore si dovrebbe passare progressivamente da una geografia localizzativa, dei numeri, descrittiva, che ricorre alle carte geografiche tradizionali, a una che tratti dapprima le dinamiche della genesi e della formazione di determinati contesti ambientali e territoriali, per approdare poi a una disciplina più attenta ai processi simbolici e immateriali, nonché alla produzione incessante di nuove immagini del nostro mondo, magari sfruttando le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie informatiche e digitali».
(6, fine. Le precedenti puntate sono uscite l’11, il 15, il 22, il 26 e il 28 giugno)