Il 26 settembre di dieci anni fa si spegneva a Roma l’ultimo crociato della Guerra Fredda, Luigi Gedda (1902-2000), uno dei principali artefici – grazie ai suoi Comitati civici – della vittoria elettorale della Democrazia Cristiana il 18 aprile 1948 sul Fronte Popolare di Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Un successo vissuto dal mondo cattolico del tempo come una «nuova Lepanto» e di cui proprio lui, il medico Luigi Gedda, che il vaticanista Carlo Falconi definì «trimotore della gioventù cattolica», era stato il vero
deus ex machina per la capacità d’organizzazione (dalla mobilitazione delle parrocchie e degli ordini religiosi all’uso del cinematografo) e la forza dei messaggi anticomunisti lanciati. Come presidente della Gioventù di Azione cattolica (Giac), poi dell’Ac forte di tre milioni di iscritti e dei Comitati civici, Gedda fu stretto collaboratore di Pio XI e Pio XII (da cui fu ricevuto ben 90 volte), ma anche Giovanni XXIII vorrà nominarlo uditore al Concilio. Due episodi, prima del 1948, vedono il giovane Gedda attore della scena pubblica: il primo, nel 1941, quando durante un incontro pubblico a Prato i fascisti gli strappano dall’occhiello della giacca il distintivo di Ac; il secondo, nel 1943, quando scrive al maresciallo Pietro Badoglio, allora capo del governo, offrendo la disponibilità dei cristiani alla ricostruzione del Paese. Al futuro artefice della diga anticomunista si deve anche la nascita del settimanale per ragazzi
Il Vittorioso (1936), la fondazione del Centro Cattolico Cinematografico, il Centro sportivo italiano, l’Associazione medici cattolici e la casa editrice Ave. Il nome di Gedda va anche associato alla sua professione di medico: di grande rilievo la sua ricerca
Studio sui gemelli, che gli diede ribalta mondiale su questa disciplina allora di frontiera; nel 1954 fonderà l’Istituto di genetica medica e gemellologia Gregorio Mendel, al quale rimarrà legato fino alla morte. Ma sarà il 1948 a trasformarlo in uomo pubblico (lo stesso Gedda lo testimonia nel suo libro di memorie, edito da Mondadori nel 1998,
18 aprile 1948). Ne è convinto
Francesco Malgeri, già docente di Storia contemporanea alla Sapienza: «L’intuizione di Comitati civici da affiancare alla Dc aiutò soprattutto a fugare i timori di Pio XII. A dividere Gedda da De Gasperi, subito dopo il 18 aprile, fu l’interpretazione del responso delle urne: per lo statista trentino era un successo dei valori democratici, per molti dei seguaci di Gedda fu la rivincita di Porta Pia». Sono gli anni in cui Gedda viene guardato con diffidenza dal mondo democristiano, ma anche il periodo dei distintivi esibiti all’occhiello, dai militanti con la sigla «Pas: preghiera, sacrificio, azione», dei discorsi infuocati, dei muri robusti. «Gedda rifiutò per ben due volte un seggio Dc al Senato – rivela padre
Lucio Migliaccio, all’epoca membro della segreteria generale dei Comitati –. Il suo stile era sobrio, quasi in punta di piedi, da vero "servo inutile", come amava definirsi quando nel novembre 1980 chiuse definitivamente la sede centrale dei Comitati civici a Roma. Ma una volta Giovanni Caprara, segretario di Togliatti, mi confidò che l’intervento dei Comitati aveva tolto loro la certezza della vittoria». L’anziano religioso sottolinea aspetti meno noti di Gedda: dalla nascita del movimento di apostolato laicale La società operaia fondato nel 1942, alla cura «fuori dal comune testimoniata anche dai suoi scritti» per la sorella Mary, di cui è in corso la causa di beatificazione. Nell’anno santo 1950 sarà sempre Gedda, «braccio secolare di Pio XII», a farsi promotore assieme al domenicano belga Felix Morlion e al «microfono di Dio» Riccardo Lombardi, della Grande crociata del ritorno, tesa a ricondurre alla Chiesa i comunisti.
Andrea Riccardi, storico a Roma Tre, mette in luce la diversità di carisma tra Gedda e il gesuita napoletano: «Ogni intervento di Lombardi è venato da uno stile profetico, per una riforma del Papato. Gedda invece ebbe il grande merito di inquadrare e dare orgoglio ai cattolici italiani. Aiutò quelle masse a non sentirsi numeri ma parte di un popolo che aveva il suo leader in Pio XII ». Nel 1952 toccherà sempre a Gedda, su suggerimento di Papa Pacelli, caldeggiare con padre Lombardi un’alleanza politica guidata da don Luigi Sturzo tra Dc, Msi e Monarchici per le elezioni comunali di Roma. «La cosiddetta "operazione Sturzo" fallì – osserva Malgeri – perché oltre alla Dc fu lo stesso sacerdote di Caltagirone a non volersi far strumentalizzare. De Gasperi d’altra parte pensava alle ripercussioni interne che una vittoria avrebbe creato alla sua coalizione di governo; c’è una lettera di Andreotti a Pio XII che chiarisce i termini di questa preoccupazione». Vent’anni dopo il crociato della Guerra Fredda sarà tra i promotori, assieme a Gabrio Lombardi, dell’iniziativa per abrogare la legge sul divorzio attraverso il referendum del 1974. «Allora non si colse – sottolinea Malgeri – come invece fece Gedda la posta in gioco di quella scelta, che avrebbe sovvertito la stessa idea di famiglia nella mentalità corrente». L’eredità del professor Gedda va riletta proprio da quest’ultima discesa in campo: «Strano a dirsi: viene richiamato il collaboratore di fiducia di Pacelli, ormai impegnato solo a continuare la ricerca nel campo della genetica – è la riflessione finale di Andrea Riccardi –. Gedda in fondo è l’uomo che si sentiva lontano dalla visione roncalliana e montiniana del laicato, soprattutto nel post-Concilio; eppure accetta subito di dare il suo apporto. Il suo carisma maggiore? Sicuramente l’obbedienza».