Calcio. Claudio Gavillucci, l'arbitro "espulso" per avere fischiato contro il razzismo
Tra gli arbitri c’è un signor Malaussène (il capro espiatorio di Pennac) che si aggira per l’Europa, è il signor Claudio Gavillucci. Direttore di gara, classe 1979, della sezione Aia di Latina fino a qualche tempo fa, quando è stato costretto a dimettersi «per poter arbitrare in Inghilterra, dove sono tornato a vivere e a lavorare, a Liverpool», informa l’esule con i fischietto. Non è un esilio mazziniano, ma poco ci manca. E il refrain di questa triste storia, non del tutto a lieto fine, potrebbe essere quel «rosso relativo» (come canta il suo concittadino Tiziano Ferro), ricevuto dal paradossale e clientelare sistema calcio italiano.
La sua vicenda, farsesca quanto noir o da “romanzo politico” (trama giusta per lo scrittore di Latina Antonio Pennacchi), Gavillucci l’ha denunciata nella quasi indifferenza del pallone nazionalpopolare. E così, con estremo coraggio e senza reticenze, l’ha raccontata a due giornaliste, non sportive, ma esperte di giudiziaria, Manuela D’Alessandro e Antonietta Ferrante. Ne è uscito fuori un libro-dossier raccapricciante, da conoscere e divulgare: L’uomo nero. La verità di un arbitro scomodo (Chiarelettere. Pagine 157. Euro 14,00).
Il nome del signor Gavillucci, dopo 600 partite dirette, di cui 50 dignitosamente in Serie A, nella stagione 2017-2018, sale agli onori della cronaca per il “fattaccio di Marassi”. Alla penultima giornata di campionato, il 13 maggio 2018, il Napoli dell’arrembante Maurizio Sarri che inseguiva disperatamente il sogno scudetto (poi vinto dalla Juventus) affronta la Samp dell’eccentrico presidente Massimo Ferrero, alias il “Viperetta”. Match avvelenato dalla solita minoranza rumorosa e curvarola che, al 31’ minuto del secondo tempo, costringe l’arbitro a un gesto normale, ma per la storia di cuoio italica, assolutamente epocale. Al reiterato insulto della Curva doriana, di stampo “territoriale” verso i giocatori e i tifosi partenopei («Vesuvio lavali con il fuoco ») e poi “razzista” («buu-buu»), nei confronti del forte difensore franco-senegalese Koulibaly, Gavillucci decreta lo «stop». Tre minuti di sospensione che cambieranno la sua storia personale, e non solo.
«Ci butto dentro tutta l’aria del campo che ho nei polmoni e indico il centro del campo», ricorda il direttore di gara di quell’attimo fuggente in cui non dimentica la regola madre di ogni arbitro, «la forma». Risultato di quel triplice fischio anticipato? In campo vincerà il Napoli 2-0, fuori sarà il caos. All’indomani la stampa sportiva nicchia, scusate il calembour, con il Nicchi presidente dell’Aia. Tranne qualche sito che esalta la decisione arbitrale («Dieci, cento, mille Gavillucci») l’unico giornalista autorevole che si espose fu la voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto Riccardo Cucchi che prontamente twittava: «Giusta la sospensione. Non se ne può più davvero di tanta stupidità».
Ma quello di Genova sarà il “fischio del cigno” per Gavillucci. «L’Aia dopo quel giorno ha interrotto il mio sogno, quello che fin da ragazzini coltivano tutti gli arbitri italiani, una categoria che annovera 30mila persone». Sogno sfumato ingiustamente e condanna senza appello. A fine stagione per un conteggio basato su parametri “arbitrari” – ci scusiamo per il secondo calembour – l’arbitro laziale viene declassato all’ultimo posto della graduatoria Aia ed estromesso dalla lista dei direttori designabili, e non solo di quella della massima serie. «Una piega folle del regolamento. Come dire che se un club retrocede dalla Serie A, l’anno successivo non gioca in B ma viene estromesso da tutti i campionati».
Un 38enne (allora) giovane, carino e disoccupato, perché per coronare quel sogno di bambino, partito dai campi polverosi di periferia (a 20 mila lire di rimborso a partita) e arrivare sotto le luci di San Siro, ogni arbitro italiano lascia la propria professione e si getta nel finto “professionismo” da 50 mila euro netti a stagione. Perché quelle sono le cifre, fatta eccezione per la ristretta élite degli “Internazionali”.
La notizia della sua bocciatura e del triste ritorno al precariato, Gavillucci l’apprende quando è in viaggio di nozze negli Stati Uniti con la moglie Paola. «Ha gli occhi lucidi. Lei che per duecento giorni all’anno alla domenica quando la lasciavo sola mi rimproverava di farla sentire una vedova...», ricorda amaro quei momenti di abbandono familiare. Ma non si pente mai di quella scelta e anche alla loro figlia Giorgia Elizabeth spiegherà il perché di quel suo civilissimo stop che non ha avuto degni emuli: «L’ho fatto perché siamo tutti uguali, non è pensabile che un bambino non possa sognare di diventare Koulibaly perché è nero e non tifi il Napoli perché è una squadra che viene denigrata in tutta Italia».
Il più denigrato dal sistema a quel punto diventerà lui, l’uomo nero che ha osato sospendere una partita di Serie A. Teoricamente, pagherà l’estromissione per le votazioni ricevute durante la stagione, in cui, oltre al «referto muto » di Samp-Napoli, dove non si cita e non vengono sottoposti a giudizio i 3 minuti di sospensione, scoprirà che i voti (che vanno dall’8,20 dell’insufficienza all’8,70 dell’eccellente) sono spesso frutto di astrazioni. I referti sono atti inspiegabilmente secretati quanto inaccessibili agli stessi direttori di gara. «I referti vengono elisi del voto all’interno della segreteria dell’Aia e rinviati a distanza di tempo all’arbitro al quale nel frattempo non può rilevare nessuna anomalia, non può secondo regolamento fare alcuna contestazione , neppure dinanzi a errori oggettivi. Il voto non lo conosce mai», dichiara dinanzi alla corte federale.
Solo presentandosi a processo chiede ed ottiene di avere la possibilità di consultare i referti. E anche questa è una svolta epocale che si deve al Malaussène delle giacchette nere. L’Aia attraverso i suoi avvocati, Di Stasio e Perinello replica ad arte: «La pubblicazione dei referti non avrebbe altro effetto che far montare polemiche e contestazioni». Gavillucci contesta, va a ricorso e ottiene addirittura la reintegrazione. A gennaio 2019 la sua partita sembra vinta, ma la doccia fredda sta in quel finale choc in cui c’è «una sentenza firmata da Gravina (n.1 Figc) che dice che devo tornare ad arbitrare, dall’altra il ricorso contro quella decisione, che sarà firmato sempre da Gravina».
Aia e Figc mettono alle corde Gavillucci che, il 26 dicembre 2018, aveva assistito al primo fallimento del suo gesto esemplare: l’arbitro Mazzoleni decide di non sospendere Inter- Napoli per i cori razzisti contro Koulibaly. Tre mesi dopo, a febbraio 2019, la Figc riscrive le regole in materia che vengono introdotte dalla 22ª giornata: «Si passa da tre a due avvertimenti, al primo episodio l’arbitro sospende il gioco e porta le due squadre a centrocampo, al secondo avvertimento si rientra negli spogliatoi». Ma l’ultima parola sullo stop definitivo spetta sempre al responsabile per l’ordine pubblico, vedi Viminale. Interviene ancora Gravina per precisare che «il direttore di gara deve pensare solo ad arbitrare e verrà “deresponsabilizzato”». Messaggio chiaro per Mazzoleni che il 26 aprile 2019 arbitra la gara di Coppa Italia Milan-Lazio e ignora nuovamente i cori razzisti dei tifosi laziali verso i giocatori milanisti di colore Bakayoko e Kessié.
Tra i tanti casi rubricati nel libro da Gavillucci colpisce quello del suo amico e compagno di stanza nei ritiri (a Sportilia o Coverciano) «il bravo Daniele Orsato ». Nel match scudetto Inter-Juventus sbaglia una valutazione decisiva e dopo la ridda di polemiche riceve comunque una votazione buona 8.50 (mentre la stampa sportiva il lunedì gli diede un minimo di 3 “Corriere dello Sport” e un massimo di 5 il filojuventino “Tuttosport”). Ma da allora non ha più arbitrato l’Inter, e «dopo quella sfida – dice Gavillucci – Daniele è stato bersaglio di pesanti minacce».
Basta un solo errore e si è fuori. «Cercare l’infallibilità in un arbitro è come chiedere a un calciatore di non sbagliare mai un rigore», dice Gavillucci da Liverpool, dove vive e lavora (ha creato una start-up). E dopo che gli è stato impedito di arbitrare in Italia si è dimesso da tesserato Aia per poter tornare in campo. Ha ricominciato «chiamato dalla federazione inglese» con un Everton-Newcastle under 16. «Qui nel Regno Unito, le persone che intonano cori razzisti vengono arrestate o viene ritirata la tessera a vita ai tifosi». Qualcosa sta cambiando anche da noi. Così come grazie a Gavillucci ora gli arbitri possono visionare i referti e per questo alcuni dei suoi colleghi lo ringraziano: «Collina resterà nella storia perché ha trasformato l’arbitro in un professionista, tu ci resterai perché hai fatto maturare in molti di noi una coscienza nuova».