DALL’INVIATA A BOLOGNA Avederlo rotondetto e sorridente nella sala del Cinema Lumière di Bologna, Raúl García sembra più affine ai simpatici personaggi che ha disegnato per anni nelle grandi produzioni Disney che ai cupi fantasmi di Edgar Allan Poe. Invece il regista spagnolo, appena è riuscito a mettersi in proprio, si è dedicato a rendere omaggio al suo scrittore di riferimento lavorando per nove anni a
Extraordinary tales, il primo lungometraggio animato su Poe, facendone un’antologia letteraria filologica.
Cosa l’ha colpita maggiormente della scrittura di Poe? «La prima volta che ho letto Poe avevo dodici anni, ed ero rimasto impressionato. Si trattava di
La caduta della casa degli Usher, un colpo di fulmine. I suoi racconti erano misteriosi, eccitanti, spaventosi. Solo da adulto ho letto Poe in inglese e ho capito la sua importanza, scoprendo un linguaggio meraviglioso, avvolgente e ricco di sfumature».
Un autore che ha avuto soprattutto un’immensa fortuna postuma… «È impressionante come dopo oltre cent’anni Poe sia ancora così attuale. Il suo immaginario ha influenzato tutta la letteratura successiva, ma anche i film e i fumetti. È uno dei pochi autori ad avere avuto un impatto simile sulla cultura popolare. Io però ho cercato di essere il più fedele possibile all’originale. La morale è che se un’opera è un vero capolavoro, vive con noi per sempre».
Non trova paradossale, però, che nel mondo di oggi che rifiuta di parlare della morte, i ragazzi siano attratti dall’horror anche sanguinolento e dal gotico? «L’attrazione per questi generi così forti, che piacevano anche a me da ragazzo, credo sia colpa nostra. È una reazione delle nuove generazioni che sono iperprotette dai genitori. La mia generazione affrontava la realtà anche con le sue durezze, invece i giovani di oggi sentono il bisogno di avere paura e la cercano nel virtuale. Certo, se penso a che spavento mi fece vedere da bambino Biancaneve che si perde nella foresta…».
E poi è finito a lavorare per la Disney... Quale è il film che ha preferito? «Prima ancora ho adorato
Roger Rabbit, perché è stato una pietra miliare dell’animazione. E poi lavorare per Disney è stato il sogno della mia vita.
Aladdin è il mio preferito: il mio primo film, quello che si inseriva nel rinascimento dell’animazione, che nei primi anni Novanta sembrava finita».
Oggi l’animazione grazie alle nuove tecnologie è esplosa… «Grazie al computer tutti possono fare un cartone animato, ma sono tutti simili. Negli Stati Uniti escono una ventina di lungometraggi animati all’anno, troppi. Una volta dallo stile del disegno capivi se un
cartoon era Disney, Warner, Metro Goldwin Mayer. Tutto oggi è appiattito su alcuni standard hollywoodiani. Col mio film da indipendente, ho voluto provare che col computer puoi dare diversi stili ai
cartoon. Occorre ritrovare la vivacità dei pastelli, degli olii, dell’acrilico. I miei modelli sono Piranesi, Goya, Schiele, Munch, ma anche il fumettista Alberto Breccia».
Ci tolga una curiosità: come ha fatto riportare in vita Bela Lugosi, il Dracula anni Trenta? «Per molto tempo ho collezionato registrazioni audio dei racconti di Poe. Un giorno ho trovato su eBay una cassetta malconcia di Bela Lugosi che leggeva
Il cuore rivelatore. Si trattava di una registrazione, che si credeva perduta, di uno spettacolo teatrale degli anni Cinquanta. L’ho restaurato digitalmente ed è diventato la perla del mio film».
Angela Calvini © RIPRODUZIONE RISERVATA «Ho letto quei racconti a dodici anni e sono rimasto folgorato. Oggi la loro attualità resta straordinaria Con questo film ho voluto provare che nell’era dei computer puoi dare ancora diversi stili ai cartoon»