Agorà

Idee. Galileo, scienza secondo fede

di Giuseppe Betori martedì 17 febbraio 2009
Pubblichiamo ampi stralci dell’o­melia tenuta ieri dall’arcivesco­vo di Firenze, Giuseppe Betori, nel battistero di San Giovanni Batti­sta nel corso della messa per l’a­pertura dell’anno accademico dell’Università di Firenze Chiedere un segno dal cielo potrebbe apparire un’age­vole soluzione per Gesù stesso oltre che per i suoi con­temporanei. Di fronte a una tale e­videnza non ci sarebbero stati più problemi di comprensione o di fe­de. Gesù non sarebbe stato più co­stretto a ricorrere ad argomenta­zioni che faticavano a scalfire la durezza di cuore e di mente dei suoi ascoltatori. I suoi contempo­ranei sarebbero stati libe­rati dall’obbligo di un’ar­dua decifrazione di una presenza inquietante ma non prescrittiva. In que­sto spazio di libertà e di ri­cerca, lasciato sgombro dall’assenza di un segno dal cielo, si colloca l’av­ventura della fede come pure quella della cono­scenza, l’itinerario del sa­pere e al tempo stesso del­l’esperienza religiosa. La grandezza e il limite dell’uomo sta proprio qui: non gli è dato un sapere assoluto in forza di una evidenza cogente, che ne annullerebbe la libertà e farebbe scomparire ogni separazione tra fede e scienza. Dio e la sua verità non ci si impone per evidenza in­discutibile, ma si avvicina a noi nella incertezza dei segni poveri dell’umanità di Gesù e lascia cam­po alla ricerca dell’uomo in tutto ciò che concerne la costituzione e le vicende del mondo. In tale prospettiva, fede e scienza non si oppongono tra loro, ma scaturi­scono ambedue da una volontà divina che rispetta l’uomo nella sua libertà in ordine alla fede e nella sua ragione in ordine alla co­noscenza del mondo. Non ci meraviglia pertanto che l’impulso più forte dato alla ri­presa delle scienze nel mondo oc­cidentale sia maturato nel conte­sto di quei luoghi della ricerca di Dio che sono stati i monasteri me­dievali. Ce lo ha ribadito il Santo Padre al Collegio dei Bernardini a Parigi: «Il desiderio di Dio, le désir de Dieu, include l’amour des let­tres, l’amore per la parola, il pe­netrare in tutte le sue dimensioni. Poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a pene­trare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Co­sì, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ri­cerca di Dio esigeva la cultura del­la parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie ver­so la parola. Per lo stesso motivo ne fa parte anche la scuola, nella quale le vie vengono aperte con­cretamente. Benedetto chiama il monastero una dominici servitii schola. Il monastero serve alla e­ruditio, alla formazione e all’eru­dizione dell’uomo – una forma­zione con l’obiettivo ultimo che l’uomo impari a servire Dio. Ma questo comporta proprio anche la formazione della ragione, l’e­rudizione, in base alla quale l’uo­mo impara a percepire, in mezzo alle parole, la Parola » . E quanto il Papa afferma a riguardo delle scienze della letteratura e quindi delle scienze umane vale anche, e tutta la storia sta a dimostrarlo, per le scienze della natura, an­ch’esse nate in forte simbiosi con la ricerca del Dio creatore. Quan­to lontane da questa vi­sione sono le pretestuo­se parole di quanti, da una parte e dall’altra, vorrebbero scavare un abisso tra fede e ragio­ne, tra esperienza reli­giosa e itinerario di co­noscenza mediante le scienze! Non è questa la posizio­ne autentica della Chiesa, che nel­la radice della fede trova le moti­vazioni del rispetto della ragione e delle sue vie. In questa prospettiva ci è dato di cogliere anche nella pagina tratta dal libro della Genesi un prezioso insegnamento. Abele e Caino co­stituiscono il simbolo dell’emer­gere della cultura nella storia u­mana, quando, dalla condizione di predatori, gli uomini passano a farsi allevatori di bestiame e col­tivatori del suolo. il primo passo della civiltà, non privo però di insidie, come l’uccisione di Abele per mano di Caino vuole inse­gnare. Le due forme di civiltà si oppongono infatti tra loro e inve­ce di arricchirsi reciprocamente nella diversità si tramutano in oc­casione di contrasto e di morte. Dominare il progresso senza ri­dursi schiavi dei suoi meccanismi perversi, accettare l’altro come u­na ricchezza per me e non come un pericoloso concorrente, sono prospettive di drammatica att­ua­lità in questo inquietante scenario di un’umanità che rischia di per­dere la misura di se stessa di fron­te alla novità tecnologica e rischia il conflitto delle civiltà nel mondo fattosi sempre più piccolo. La narrazione della nota pagina genesiaca ci dice ancora altro, nel momento in cui evidenzia come la morte entri per la prima volta nel­l’umanità quando l’uomo smette di sentirsi responsabile dell’altro, del prendersi cura di lui, come suo custode. La società pacifica non può scaturire dal semplice di­sporsi l’una accanto all’altra di storie non condivise, anzi voluta­mente estranee in nome di un’as­soluta autonomia. Occorre che si rifaccia strada, nel nostro pensiero anzitutto e poi nei no­stri comportamenti, quel farsi carico dell’altro che fonda con­divisione di intenti, convergen­za di giudizi, corrispondenza di speranze. Anche qui risul­ta evidente la giustezza di quell’orientamento tipica­mente cristiano che uni­sce verità e carità in una medesima prospettiva, che sconfigge il nichili­smo e la dispersione, e cioè la condizione raminga e fuggia­sca dell’omicida Caino nella Gene­si. Svolta finale della narrazione è quando il col­pevole Caino diventa il protetto di Dio, che ne salvaguarda la vita dal­la vendetta di sangue, ponendo su di lui il suo segno; non c’è soltan­to infatti il versante negativo. C’ è anche il messaggio po­sitivo, per cui non c’è condizione umana che possa comportare un venir meno della sua identità e dignità più profonda, che altre pagine del te­sto biblico avevano definito esse­re creato a ' immagine' di Dio, se­condo la sua ' somiglianza'. Su questa alterità dell’uomo ri­spetto al resto del creato, su que­sto suo connaturale lega­me con il Creatore si è e­dificata nei secoli una La statua di Galileo scolpita da Aristodemo Costoli (1803-1871) e incisa da Spagnoli. A sinistra, Giuseppe Betori sapienza umana e cristiana, che nel riconoscere la centralità del­l’uomo non lo ha mai opposto al mondo e a Dio, ma lo ha ricono­sciuto in una dignità personale che lo qualifica in ordine agli iti­nerari della conoscenza e della li­bertà. Rispettare i fondamenti di questo umanesimo è garanzia di futuro per l’umanità e via maestra dell’incontro tra fede e ragione, per quanti vogliono essere coe­rentemente cultori e dell’una e dell’altra, senza opposizioni e sen­za confusioni. Non era forse que­sta la grande intuizione di Galileo Galilei, che celebriamo quest’an­no nel centenario delle sue sco­perte astronomiche, lui che affer­mava non potersi dare contraddi­zione tra il libro delle fede e il li­bro della natura, che avevano il medesimo autore? A dimostrare quanto poco vicino a Galileo sia chi vorrebbe opporlo alla fede, è infatti sufficiente ricordare que­sta sua parola: « Procedono di pa­ri dal Verbo divino la Sacra Scrit­tura e la natura, quella come det­tatura dello Spirito Santo, e que­sta come osservantissima esecu­trice degli ordini di Dio» . In questo orizzonte il Concilio Vaticano II invita a collocare l’esercizio della ricerca uma­na: «La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, per­ché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal me­desimo I Dio » ( Gaudium et spes. È una frase che nel testo conciliare precede immediatamente il rico­noscimento dell’errore compiuto nei riguardi di Galilei: « A questo punto, ci sia concesso di deplora­re certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non a­vere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e con­troversie, trascinarono molti spi­riti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro » . Possiamo perciò concludere, an­cora con le parole del Concilio: «La cultura, scaturendo dalla natura ragionevole e sociale dell’uomo, ha un incessante bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi. A ra­gione dunque essa esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti della persona e della comunità, sia par­ticolare sia universale, entro i li­miti del bene comune » .