Futurismo e sacro sembrano due opposti. Eppure l’esposizione
Arte sacra e futurismo. Un incontro ad alta quota, che si inaugura oggi alle 18.30 presso l’Ambrosianeum di Milano ci mostra una realtà diversa e sorprendente per i più. Il rapporto tra sacro e contemporaneità è di grande complessità e naturalmente questa mostra ne coglie un aspetto ben determinato. A uno sguardo rapido e distratto sui manuali di Storia dell’arte può cogliere un fatto singolare: l’arte a soggetto religioso occupa uno spazio assolutamente maggioritario per gran parte del percorso, ma sembra come sparire a partire dall’Ottocento per divenire quasi assente nel secolo appena trascorso. Il peso della progressiva secolarizzazione, lo spostamento degli ambiti di ricerca, così come la nascita di nuovi mercati e committenti sono cause innegabili ma non sufficienti a motivare effetti così drastici: basterebbe infatti osservare gli altri campi della cultura, dalla musica alla letteratura, per notare come il sacro abbia continuato a interrogare l’uomo e a ispirarlo. In realtà è stato ed è così anche per l’arte figurativa. Il grande merito dei Gruppi di volontariato vincenziano, in occasione dei 350 anni della morte del fondatore, è stato quello di aver voluto alzare un velo, dando seguito alla mostra londinese del 2007
Piety and Pragmatism: Spiritualism in Futurist Art, e di aver promosso nel 2009, in occasione del centenario del movimento ideato da Marinetti, una prima mostra sul sacro nel futurismo al Museo Diocesano di Mantova, che successivamente si è arricchita approdando prima a Brescia e ora a Milano, fino al 10 novembre. Il rapporto con il sacro che, a partire dagli Anni Trenta testimoniano Dottori, Fillia, Rosso e Bruschetti non può essere letto come una semplice risposta al cambiamento dei tempi. Tanto era radicale l’anticlericalismo e la fiducia nelle potenzialità del progresso umano espressi da Filippo Tommaso Marinetti, tanto è autentico e innovativo lo spirito con cui alcuni esponenti del movimento si rapportano al sacro. «Non sembra percorribile la strada di chi ha ritenuto di leggere dietro di esso ragioni di opportunismo - scrive Flavio Caroli nell’introduzione al catalogo della mostra -, una trasformazione "di facciata" che troppo striderebbe con il rigore della ricerca e il vigore delle affermazioni di un intellettuale come Marinetti. Più logico pensare, invece, che si trattò di un cambiamento dovuto a una necessità interna. Come affermano due filosofi contemporanei quali Massimo Cacciari e Massimo Donà, infatti, "prima o poi ogni filosofia diventa una teologia", cioè ogni interrogativo sulla realtà non può che approdare alla domanda ultima, quella sull’esistenza di Dio. Una domanda che non ha lasciato estraneo nemmeno il movimento futurista». Sembra che a un certo punto la cosiddetta «ricostruzione futurista dell’universo» risulti impossibile se non si inserisce in un orizzonte dove Dio torni ad essere presenza e fondamento. La Spiritualità aerea di Fillia e il Misticismo aeropittorico di Dottori non sono "corpi estranei" al futurismo come ha mostrato Enrico Crispolti che, nel 1980, per primo si è occupato in maniera sistematica del movimento di Marinetti in rapporto al soggetto religioso. «È evidente - scrive nel suo documentatissimo saggio Massimo Duranti - che questa "arte sacra moderna" è interpretabile, alla luce delle elaborazioni futuriste intorno alla religione della velocità, inizialmente come arte sacra della velocità… Fillia imprime una svolta decisiva verso l’arte sacra tradizionalmente intesa alla fine del 1930 con la pubblicazione di
Spiritualità aerea, dove il discorso esce dall’angustia del meccanicismo per annunciare la ricerca di una spiritualizzazione che non provenga solo dalla macchina e dall’aeroplano, ma soprattutto da una nuova lettura della natura, percepita simultaneamente e sinteticamente, molto vicina a quella spirituale».Un percorso che porta al
Manifesto dell’Arte Sacra futurista firmato il 23 giugno 1931, inizialmente dal solo Marinetti, successivamente anche da Fillia ma non da Dottori: quasi un Rosario di enunciati. «Soltanto gli aeropittori futuristi - scrive nel suo inimitabile stile Marinetti - maestri delle prospettive aeree e abituati a dipingere in volo dall’alto, possono esprimere plasticamente il fascino abissale e le trasparenze beate dell’infinito. Ciò invece non è consentito ai pittori tradizionali, tutti più o meno legati dall’ossessionante realismo, tutti ineluttabilmente terrestri... Soltanto gli aeropittori futuristi possono far cantare sulla tela la multiforme e veloce vita aerea degli Angeli e l’apparizione dei Santi. Soltanto gli artisti futuristi ansiosi di originalità ad ogni costo e sistematici odiatori del già visto, possono dare al quadro, all’affresco e al complesso plastico la potenza di sorpresa magica necessaria per esprimere miracoli». Tante drastiche affermazioni che rispondono a un tentativo di dialogo che le autorità ecclesiastiche di allora non riuscirono a comprendere in tutta la sua portata. Eppure era evidente quel bisogno di Dio a cui anche i futuristi si erano alla fine arresi.