Agorà

INTERVISTA. Fuentes: no ai violenti

Lucia Capuzzi giovedì 10 maggio 2012
​«Quale Messico? Ci sono due Messico, due nazioni che cercano disperatamente di incontrarsi. Spero che prima o poi ci riescano». A questo Messico duale, controverso, intenso, violento - eterna frontiera tra mondi, culture, gradi di sviluppo - appartengono il cuore, il pensiero e la penna (o meglio la tastiera) di Carlos Fuentes. Scrittore ostinatamente messicano quanto cosmopolita. Quattro mesi all’anno ha deciso di vivere a Londra. Perché «lì sfuggo dagli impegni sociali di Città del Messico: gli amici, la famiglia… Non ce la faccio a star dietro a tutto», ride. Per almeno altri due mesi viaggia per l’America Latina e il mondo. "Avvenire" lo raggiunge a Santiago del Cile, di rientro dalla Fiera internazionale del libro di Buenos Aires e in attesa di rientrare in Messico. Tra conferenze, incontri, presentazioni, Fuentes non rinuncia a scrivere. A 84 anni continua a pubblicare incessantemente: romanzi, saggi, racconti. La sua prosa, del resto, è acuta e travolgente come quando, appena trentenne, conquistò pubblico e critica con La ragione più trasparente. Per confermarsi, subito dopo, come una delle voci più interessanti del panorama latinoamericano con La morte di Artemio Cruz. Una carriera lunga quella di Carlos Fuentes e costellata da prestigiosi riconoscimenti internazionali, dal Premio Cervantes a La Graz Cruz de Isabela la Católica. Apprezzato e tradotto ovunque, è un autore molto amato in Italia - sentimento per altro ricambiato -, dove oggi esce il suo ventiquattresimo romanzo, Destino, pubblicato (come gli altri) dal Saggiatore. «È fondamentalmente la storia di due fratelli che non si conoscono. E della relazione con il loro padre che, a sua volta, non li conosce - spiega -. È, dunque, una storia familiare».A raccontarla, però, è una testa appena decapitata. Quella di uno dei fratelli, Josué… «La scelta di questo singolare punto di vista mi ha permesso un inizio drammatico. È un po’ un mio tratto quello di cercare sempre incipit particolari per "rinfrescare" i vecchi generi letterari».Al di là dell’espediente letterario, la testa tagliata è anche un immediato aggancio alla situazione attuale del Messico, dilaniato da un’agghiacciante ondata di violenza. Decapitazioni, massacri sono all’ordine del giorno, per un totale di quasi 60mila morti ammazzati in cinque anni. Che cosa accade in Messico, anzi nei due Messico?«Da una parte, la nazione vive un’epoca di progresso democratico. L’egemonia del Partido Revolucionario Institucional (Pri) (ha governato ininterrottamente per 71 anni, dal 1929 al 2000, ndr) è ormai finita, tre partiti importanti - Pri, Partido de Acción Nacional, attualmente al governo, e Partido de la revolución democrática (Prd) - si contenderanno la poltrona presidenziale il prossimo 1 luglio. La classe media, inoltre, è cresciuta: ormai include un 50 per cento della popolazione. Ci sono, dunque, diverse note positive. Al contempo, però, una buona metà del Paese - che ha meno di 30 anni - è terribilmente insoddisfatta perché non vede possibilità di futuro. Sono i cosiddetti "ni-ni" (né-né) perché non studiano né lavorano. Molti di loro vengono arruolati dalle bande del crimine organizzato. Questi giovani sanno che verranno ammazzati ma considerano la delinquenza l’unico modo per emergere». Una sorta di riscatto criminale, dato che è precluso loro il riscatto sociale?«Non vedono alcuna altra possibilità a parte il crimine. Che diventa anche il modo per sfogare le frustrazioni, la rabbia».I baby criminali sono dunque il prodotto di una società che li esclude. In «Destino» lei inventa un terribile carcere minorile dove i bambini sono immersi in una piscina di cemento e chi non sa nuotare viene lasciato annegare dalle guardie. È un po’ il simbolo dell’indifferenza sociale verso i più deboli, i bambini appunto, ma anche i disabili, mi riferisco al suo impegno per le persone affette da sindrome di Down?«Non esiste nessuna prigione tanto tremenda in Messico o nel mondo. Eppure esistono aspetti ugualmente mostruosi a cui non facciamo nemmeno più caso. Passeggiando per Città del Messico, si incontrano di continuo bambini che dormono e crescono per strada, senza genitori, senza affetti. Che adulti possono diventare? Il compito principale di una società è quello di prendersi cura dei bimbi - di tutti i bimbi, poveri, ricchi, sani o disabili - e offrire loro salute e educazione».Una società che riunisca i due Messico. Accadrà? «Non lo. Per natura non sono un ottimista…Eppure si è entusiasmato per le primavere arabe, ovvero per il tentativo dei giovani di portare al centro della scena politica nuove richieste di democrazia e libertà…«In Messico - come nella maggior parte del mondo - assistiamo a un profondo scollamento tra le richieste dei giovani e la politica. Destra, sinistra e centro sono categorie ormai superate. I giovani chiedono opportunità di impiego, una sistema di salute diffuso, un’educazione che sia davvero accessibile a tutti, una rete di comunicazione capillare. Il Messico ha 110 milioni di abitanti e si continua a governarlo come mezzo secolo fa quando ne aveva la metà. È necessaria una riscrittura dell’agenda politica e sociale».Spera in una primavera messicana?«Mhmmm, la primavera sta finendo. Magari dovremo aspettare l’inverno (ride). Non so in quale stagione, spero, però, che anche i giovani del mio Paese e del continente si impegnino per un cambiamento, senza violenza».