David Stevenson, storico della London School of Economics, ha dedicato una vita accademica agli anni tra il 1914 e il 1918. Una delle sue mono-grafie, La Grande guerra: una storia globale , imponente ricostruzione di quegli avvenimenti, è stata pubblicata in italiano da Rizzoli.
Professor Stevenson, Prima e Seconda guerra mondiale: dopo diversi decenni è meglio continuare a studiarle separatamente o è meglio leggerle come un unico evento? «È bene considerarle due guerre separate con caratteristiche comuni. La Germania combatté la seconda come se fosse una continuazione della prima, non così l’Italia. Dalla prospettiva britannica e quella francese c’erano somiglianze con la prima guerra, ma la diversità di combattere il nazismo rispetto all’impero austroungarico divenne evidente soprattutto a partire dal 1941. Due conflitti diversi anche nel senso che una guerra non fu la conseguenza inevitabile dell’altra. Se si guarda ai trattati di pace di Versailles, si vede come alla Germania fu impedito di avere un esercito di più di centomila uomini, di possedere gas tossici e carri armati, e la marina militare fu ridotta drasticamente. La Germania non era nelle condizioni di iniziare un’altra grande guerra, nonostante il fortissimo risentimento nazionalistico».
Si può dire che con la Prima guerra mondiale finì l’era degli imperi europei? «Fu la fine per alcuni, come l’impero austro- ungarico, e un indebolimento per altri, come l’impero britannico. Non fu un caso che alla fine delle ostilità quest’ultimo dovette far fronte a diverse crisi simultanee: sollevamento in Irlanda, incidenti in India, Egitto e Iraq. E l’indipendenza dell’Irlanda può essere considerata la prima tappa del processo di decolonizzazione. Quando nel 1914 il Regno Unito dichiarò guerra, il Canada e l’Australia furono automaticamente nel conflitto: non fu così nel 1939, grazie alle concessioni fatte dai britannici negli anni ’30. All’India fu promesso un governo soft nel 1917. Dal punto di vista globale, si può osservare come la presa delle nazioni europee sull’Asia, nel 1914, fosse già molto più debole rispetto a quella sull’Africa. In Africa l’impatto della guerra fu molto minore, non stimolò movimenti nazionalistici. Da questo punto di vista la seconda guerra fu molto più importante».
La Grande guerra fu una strage immane. Quale fu l’impatto del numero delle vittime e delle modalità in cui trovarono la morte? «La guerra di trincea significò grandi offensive militari, con un altissimo numero di morti e pochissimo territorio conquistato. Da questo punto di vista, un massacro senza senso. L’impatto di queste morti fu enorme – pensiamo all’Italia, i cui caduti furono quasi quanto quelli della Gran Bretagna, ma in condizioni più tragiche – ma fu sentito particolarmente dopo la guerra, non durante. Quando la disciplina degli eserciti venne meno nel 1917 e 1918 non fu solo per il numero dei caduti ma per il fallimento di un’offensiva o di una strategia, come in Italia dopo Caporetto, cioè dopo una serie di di attacchi sull’Isonzo con scarsissimi risultati. Avvenne una cosa simile all’esercito francese nel 1917 e all’esercito tedesco nel 1918. L’opinione pubblica sembrò riuscire a digerire il tutto fin tanto che fu viva una prospettiva di vittoria e il conflitto sembrò “giusto”».
Degli aspetti politici e militari si sa moltissimo. Non ci furono anche motivi più o meno inconfessabili di tipo economico dietro allo scoppio del conflitto? «I vari Paesi non entrarono in guerra per ragioni commerciali o economiche o comunque queste non furono determinanti. Nemmeno per gli Stati Uniti. Per loro fu decisivo l’affondamento del transatlantico Lusitania e nei confronti dell’opinione pubblica il telegramma intercettato con cui la Germania pensava di offrire un’alleanza segreta al Messico per la riconquista di territori perduti. Per Woodrow Wilson, invece, il fatto che si sarebbe inevitabilmente ristrutturato il sistema politico internazionale e sarebbe stato cruciale avere un ruolo in quella fase. A livello economico gli Usa avrebbero potuto certamente rimanere neutrali, in una posizione vantaggiosa, contando che la guerra sarebbe stata estremamente costosa. Di fatto l’economia americana andò assai meno bene nel biennio della guerra rispetto a quanto aveva fatto nel biennio precedente. Certo, come tutte le guerre anche questa ebbe i suoi retroscena economici, alcuni poco considerati. Un paio di esempi: i tedeschi prima del 1914 erano preoccupati dello sviluppo industriale della Russia, che negli anni attorno al 1909 cresceva probabilmente più della stessa Germania. Russia che usava molto di quel denaro per potenziare l’armamento. La paura dei tedeschi era quindi di perdere la corsa agli armamenti con i russi e i francesi. E non perché l’economia tedesca non generasse risorse, ma perché Russia e Francia avevano molta più facilità a raccogliere denaro con la tassazione: prima del 1914 la Germania era una federazione, con tutti i vincoli fiscali connessi. Per quanto riguarda invece il petrolio, questo divenne importante solo alla fine della guerra. Il Medio Oriente non era ancora un produttore importante e i più grandi esportatori prima del 1914 erano Stati Uniti e Russia. L’Iran, cioè la Persia, iniziò ad accrescere la sua importanza a guerra cominciata, così come l’attuale Iraq. Questo è il motivo per cui i britannici a un certo punto cercarono il controllo della Mesopotamia e alla fine l’ottennero».