Sabato 8 maggio . In un docufilm i giorni più bui del Covid a Milano
«Siamo chiamati ad uno sforzo che dalla fine della guerra non ci era mai stato proposto prima». Sono parole del professor Alberto Zangrillo, primario della Rianimazione dell’Ospedale San Raffaele. È lì che un anno fa, nelle terapie intensive in preda al Covid-19, le telecamere di Milano 2020 documentavano, in punta di piedi e con sacrale rispetto, le corse di medici e di infermieri tra i letti dei malati. Ed è lì che vita e morte si intrecciavano, tra chi riconquistava il proprio fiato e chi lo sentiva scemare per sempre. Nessuno conosceva questo nuovo coronavirus, nemico subdolo e invisibile che dalla lontana Cina all’inizio del 2020 era per noi soltanto un vago e inverosimile catastrofico scenario. Quelle immagini sono però presto diventate la nostra quotidianità. Quelle immagini di strade e città vuote, di ambulanze, di agenti che pattugliano, di blindate case di riposo, di tristi motorizzati cortei funebri, di corsie d’ospedale, inquietanti monitor e maschere di ossigeno sono divenute ancor più documento e memoria storica.
Tocca a Rete 4 la responsabilità e la missione di “sfidare” il grande pubblico con la coraggiosa e meritoria messa in onda, sabato 8 maggio in prima serata alle 21.20, del docufilm sui primi giorni del Covid Milano 2020 (prodotto da Magnitudo Film). Dove il capoluogo lombardo racchiude e incarna un intero Paese. A Milano la cronaca è stata catturata in diretta per 70 giorni, dal 23 febbraio al 4 maggio dell’anno scorso. I primi giorni di diffusione esponenziale del virus, visto attraverso le affollate corsie di due grandi ospedali milanesi (San Raffaele e Policlinico), la redazione di un quotidiano nazionale, ( Avvenire, media partner del film assieme alla Fondazione Ente dello Spettacolo), i reparti del comando provinciale dei Carabinieri di Milano e del nucleo elicotteri Orio al Serio, il volontariato di Emergency e della Casa della Carità.
«La decisione di trasmettere in prima serata questo documentario è stata presa, senza alcuna esitazione, direttamente da Pier Silvio Berlusconi – spiega il direttore di Rete 4, Sebastiano Lombardi –, che ha sentito subito l’importanza sociale di un racconto di questo genere in cui la nobiltà del contenuto è più importante di qualsiasi altra considerazione da parte di una rete commerciale. Si tratta di un documentario di eccezionale importanza per la memoria collettiva del Paese che grazie all’eloquenza delle immagini evita inoltre il rischio della retorica, pur rendendo merito allo sforzo e all’impegno di tutte le diverse componenti della società civile, dai medici agli infermieri, dalle forze dell’ordine ai volontari a tutti i lavoratori che hanno formato quella fitta rete che ha tenuto insieme il Paese in quelle drammatiche giornate».
«Abbiamo aspettato un anno prima della messa in onda – dice il giornalista Vito Salinaro (collega di Avvenire), ideatore e autore del progetto scritto con il regista Stefano Paolo Giussani – perché volevamo capire e raccontare l’evolversi della situazione. Con l’arrivo dei vaccini ci siamo sentiti più sicuri di poter lanciare un messaggio di speranza». Messaggio che trova il suo simbolico nonché concreto compimento nella vicenda di un 17enne milanese arrivato alla maggiore età grazie a un piccolo miracolo scientifico. Colpito dal Covid-19, i suoi polmoni sono stati letteralmente “bruciati” dal virus. A salvarlo, dopo essere stato tenuto in vita al San Raffaele, è stato un trapianto record effettuato al Policlinico di Milano e mai tentato prima in Occidente.
«La parte finale di Milano 2020, con la testimonianza dei medici che l’hanno salvato, dei genitori e dello stesso ragazzo – aggiunge Lombardi –, racchiude un cruciale messaggio di speranza, a riassumere con una personale e insieme collettiva proiezione verso il futuro l’intero percorso di sofferenza raccontato e documentato. È la speranza la grande eredità di questo lavoro in cui domina il profondo concetto filosofico di testimonianza. Anche per questo motivo abbiamo deciso di non aggiungere a corredo della visione alcun ulteriore dibattito. Ognuno è chiamato a fare propria la forza e l’eloquenza di questo eccezionale documento. Mandarlo in onda dona a me un surplus di senso di responsabilità e di personale soddisfazione. Ed è il momento giusto, ora che stiamo uscendo da un dramma che non dobbiamo però mai dimenticare, orgogliosi anche di quanto abbiamo saputo esprimere come collettività».
Incessante il moto di sentimenti che il docufilm suscita tra immagini, testimonianze e drammaticità delle sequenze, accompagnate con delicatezza e forza emotiva anche dalla fotografia di Massimiliano Gatti e dalla colonna sonora di Claudio Balletti. «Questo racconto – spiega il produttore e regista Francesco Invernizzi – voleva fin dal suo concepimento essere un documento capace di consegnare e costituire una piena memoria del momento storico dell’arrivo della pandemia con tutta l’incertezza, le difficoltà a capire e a gestire questa emergenza sanitaria e anche psicologica. È palpabile, nel procedere, una grande paura di fronte a qualcosa di sconosciuto in simili proporzioni. Lo comprendiamo meglio ora che, benché il virus sia ancora tra noi e invisibile come all’inizio, ormai non lo temiamo più così tanto e non solo perché abbiamo iniziato a vaccinarci. Questo racconto si colloca proprio in quel preciso momento, dandone una fotografia che non deve essere dimenticata. Ora supereremo l’angosciosa sensazione di quel momento, ma non l’evento in sé che deve restare scolpito nella memoria collettiva».