Intervista. Franco Nero, Django ora «disegna Dio»
angela calvini
Altro che il pistolero Django: il nuovo eroe interpretato da Franco Nero è un artista anziano, solitario e non vedente protagonista del film L’uomo che disegnò Dio che uscirà in sala il 2 marzo, distribuito da L’Altrofilm. Una commedia drammatica ricca di temi come il razzismo, l’immigrazione, la disabilità e diretta dallo stesso Franco Nero, 81 anni, qui alla sua seconda regia. Prodotto da L’Altrofilm insieme a Tadross Media Group e BullDog Brothers, in collaborazione con Rai Cinema, L'uomo che disegnò Dio vanta nel cast fra gli altri Stefania Rocca e Massimo Ranieri, nonché i Premi Oscar Kevin Spacey e Faye Dunaway. Ispirato a una storia vera, il soggetto del film è di Eugenio Masciari che ne è sceneggiatore con lo stesso Franco Nero e Lorenzo De Luca. Emanuele è un anziano non vedente con il dono di ritrarre chiunque semplicemente udendone la voce. La sua vita cambierà quando andranno ad abitare con lui per assisterlo due immigrate africane: Maria, una vedova fuggita dalla guerra insieme a sua figlia, la piccola Iaia. Finché l’uomo viene scoperto da un talent show che vuole sfruttarne i suoi poteri.
Franco Nero, come nasce l’idea di un film così ricco di temi impegnati?
Anni fa Eugenio Masciari aveva scritto la storia vera di un non vedente di Torino che, sentendo parlare le persone, ne riproduceva i visi con la plastilina. Mi è sempre piaciuto il mondo dei non vedenti, ne ho conosciuti molti nella mia vita e ho sempre ammirato le loro capacità incredibili. E così due anni e mezzo fa ho detto a me stesso: voglio fare un film tutto mio e ho fatto rimaneggiare la sceneggiatura.
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Nel film ci sono tanti argomenti che le stanno molto a cuore.
Innanzitutto il tema del valore delle persone considerate disabili. Poi l’immigrazione nella figura di queste madre e figlia arrivate dall’Africa per scampare alla guerra. E la tv spazzatura che è sempre stata una cosa che non sopporto, che se ne approfitta delle disgrazie per fare audience. Poi il tema del razzismo e la solitudine della vecchiaia. Io sono testimone di come vivono tanti anziani.
Il suo Emanuele per tutto il film è alla ricerca della voce di Dio per poterlo incontrare e disegnare. Franco Nero che rapporto ha con la fede?
Io ho una forte spiritualità, sono molto religioso anche se non sono praticante, credo molto nella fede da anni. Non a caso ho voluto usare nella sigla finale lo spiritual Kumbaya, my Lord, popolarissimo anche come canto di chiesa, interpretato dalla grande cantante tedesca Kriemhild Maria Siegel.
Lei e sua moglie, l’attrice Vanessa Redgrave, siete molto attivi sul fronte dell’aiuto agli immigrati, specie minori.
Io lavoro da oltre 50 anni nel Villaggio don Bosco di Tivoli che accoglie orfani e bambini abbandonati di tutte le provenienze. E’ un po’ la mia missione nella vita e molti episodi che ho ascoltato nel villaggio mi hanno facilitato a fare il film. Il prete che ha fondato il Villaggio don Bosco nel 1950, don Nello Raso, era un salesiano che, finita la Seconda guerra mondiale raccolse dapprima gli orfani del suo quartiere a Roma e poi fondò questo edificio dove i ragazzi possono crescere e formarsi per trovare un lavoro. Io sono sempre lì, ho fatto di tutto per raccogliere fondi. Quasi tutte le Vigilie di Natale le passo al Villaggio e anche molti ultimo dell’anno. La missione è condivisa anche da Vanessa: lei ha combattuto tutta la vita per i diritti umani, ora fisicamente è debole ma è ancora forte di spirito. Il nostro amore è basato su una grande stima reciproca.
Oltre al suo film, ora lei ha anche una parte nella nuova serie di Sky Django, ispirata al film di Sergio Corbucci del 1966 che è considerato un “cult”.
Qualche anno fa dovevo girare Django lives!, una storia scritta dal regista John Sayles con un Django più adulto. Il film doveva essere ambientato nel 1914, quando in America aprivano gli studios e si giravano i primi western. Poi è arrivato il Covid e il film è saltato. Nel frattempo Riccardo Tozzi della Cattleya continuava a insistere che partecipassi a questa nuova serie tv su Django. Interpreto il reverendo Jan, un uomo europeo con un passato da medico che aiuta Django quando la sua bambina si ammala. Ho accettato a una condizione, che si girasse la mia parte tutta in una settimana. Io la tv non la amo e non la faccio: io amo il cinema.
Come si spiega il successo ancora oggi planetario di quel personaggio del pistolero vendicatore?
Sicuramente è un film politico, e il personaggio è un difensore degli oppressi. Molti si sono immedesimati nella sua ribellione. Django di Sergio Corbucci l'abbiamo girato senza una lira. Avevamo anche dovuto interrompere le riprese perché non c'erano più soldi. Poi Sergio con il fratello Bruno ha convinto dei produttori spagnoli a finanziarci. Penso che sia il titolo più famoso al mondo, continuamente riproposto in tutte le televisioni. In Giappone ero più famoso di Clint Eastwood o Paul Newman. Quando Quentin Tarantino ha voluto fare un film omaggio, Django unchained del 2012, ha insistito perché dovevo esserci a tutti i costi. A me non interessava, ma alla fine ho accettato di girare un cameo.
Lei è uno dei pochi divi internazionali italiani, quale il suo segreto?
Marlon Brano mi disse quando lo andai a trovare a casa sua a Los Angeles: «Tu sei bello, ti do una dritta: o fai il protagonista o fai una scena o due dove tu sei il protagonista, non fare mai film in cui hai il terzo o il quarto ruolo». Anche Lawrence Olivier, che era il più grande attore del mondo, mi diede un consiglio: «Certo, hai un bel fisico, potresti fare l’eroe, ma che monotonia. Cambia ruolo in continuazione. Avrai alti e bassi nella carriera, ma a lungo andare i frutti arriveranno» Mi sono divertito a fare tutti i ruoli, con tutte le cinematografie del mondo.
E con Hollywood che rapporto ha avuto?
Quando venni scelto da Hollywood per il musical Camelot del 1967 avevo un contratto per 5 film con la Warner. Ma io volevo tornare in Europa, mi mancava l’Italia. «Sei un pazzo» mi dicevano, ma io strappai il contratto. Sono sempre stato un essere libero, la mia vita è fatta di principi, ho fatto il cinema come volevo io. Certo non dimenticando l’America dove sono tornato a girare tante volte.
C’è da scommettere la sua agenda è ancora fitta di impegni…
Interpreto la figura del Papa nel film con Russell Crowe L’esorcista del Papa, sulla storia di padre Gabriele Amorth, che uscirà in Italia il 13 aprile. Mi avevano offerto qualche scena nel film The Equalizer 2 con Denzel Whasington. C’erano tanti soldi in ballo, ma i soldi non mi interessano. Mi interessa piuttosto rimanere coerente: ho rinunciato per fare un piccolo film italiano bellissimo, Giorni felici del giovane regista Simone Petralia. La protagonista è Anna Galiena, una attrice famosissima in partenza per Hollywood, ma che comincia a stare male. Il figlio di lei chiama suo padre, che non parla da anni con la madre, per aiutarla. E piano piano rinasce una storia d’amore incredibile. E adesso spero di fare un film a Cuba, Black beans and rice di Robert Port. Un padre e un figlio che non si conoscono si ritrovano a viaggiare insieme fra le montagne di Cuba per spargere le ceneri della madre morta. Anche qui sentimenti importanti.