Europei di calcio. Multietnico è bello e anche vincente
Il bomber dell’Inter Lukaku e i calciatori della multietnica nazionale del Belgio
«Quando segno sono francese, quando non segno sono arabo», diceva Karim Benzema in un’intervista del 2012 a So Foot. Vi suona familiare? Certo, leggete cosa scriveva, di suo pugno, Romelu Lukaku nel 2018 sul sito The Players’ Tribune. in merito al trattamento ricevuto in patria: «Quando le cose andavano bene, mi chiamavano l’attaccante belga. Quando le cose non andavano bene, ero l’attaccante belga di origini congolesi». Ma non è anche la stessa frase utilizzata da Mesut Özil per giustificare il suo ritiro dalla nazionale tre anni fa? Sì, il centrocampista del Fenerbahçe twittò: «Sono tedesco quando vinciamo, un immigrato quando perdiamo». La politicizzazione delle nazionali europee più multietniche e dei calciatori che le compongono è un esercizio comune nei paesi che per motivi storici sono stati interessati dai vari flussi migratori dell’ultimo secolo. Nello specifico, in questi paesi, il calcio è utilizzato dalle destre nazionalpopuliste come uno dei canali ideali per diffondere le loro narrazioni divisive e ottenere consensi in un periodo di profonde incertezze e ancor più profonde paure.
Come evidenziato da Valerio Moggia nel suo podcast Pallonate in Faccia, nel 2019 in Belgio, il partito separatista di estrema destra Vlaams Belang (Importanza Fiamminga) è stato votato da circa il 12% della popolazione, ergendosi a seconda forza politica. Nel 2018, un deputato di Vb, nello scorrere la lista delle nazioni partecipanti alla Coppa del Mondo Conifa – che ospita le nazionali non riconosciute internazionalmente – si chiese dove fosse la selezione delle Fiandre. Inevitabilmente, dunque, la nazionale di capitan Eden Hazard, originario dell’Algeria, si scontra con la visione del partito. La sua multiculturalità, che deriva dalla presenza di dodici ragazzi dalle origini più disparate che sono accomunati solamente dal luogo di nascita, il Belgio, oscura l’eterna opposizione tra fiamminghi e valloni di cui Vlaams Belang si nutre. Anche quella francese è una nazionale che abbraccia la pluralità – sono diciassette i calciatori di origini miste – e per questo è invisa al Rassemblement National, partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen che si appresta a giocarsi le sue carte nelle elezioni presidenziali del 2022. La figlia del fondatore del partito Jean-Marie ottenne rispettivamente il 21,3% e il 33,9% dei voti al primo e secondo turno delle presidenziali del 2017 vinte da Emmanuel Macron.
Nel 2010, Le Pen disse che la nazionale francese non rappresentava il paese perché troppi calciatori di origini straniere non potevano veicolare i tradizionali valori francesi. In sostanza, accusava alcuni calciatori di essere legati emotivamente ad altre nazionali e di aver scelto la Francia per il denaro e il prestigio. Motivo per cui, il senatore marsigliese di Rn Stéphane Ravier ha accolto negativamente il ritorno in nazionale di Benzema, definendolo un “francese di carta”. La supposta unità favorita dalla vittoria della nazionale “Blanc-Black-Beur” (Bianca-Nera-Nordafricana) che vinse il Mondiale di casa nel 1998 appare lontana. Esprimere un’identità multipla e mostrare amore per più di una nazionale non è ammesso in un paese che ha fatto del modello d’integrazione assimilazionista, che prevede la rinuncia dei migranti alle proprie origini, un mantra da seguire per poter raggiungere un’utopica uguaglianza. Il modello d’integrazione tedesco era inizialmente più esclusivo e basato sull’utilità produttiva che i lavoratori-ospiti (i famosi “Gastarbeiter”) potevano apportare al paese.
Pertanto, nonostante sia in corso una progressiva rivisitazione di quel modello, è da lì che nasce la gioia per la nazionale vincente del 2014 – che contava su Sami Khedira, Jérôme Boateng e Mesut Özil – e la repulsione nei confronti della stessa squadra colpevole di aver fallito quattro anni più tardi. Nel 2016, l’ex leader di Alternativa per la Germania (AfD) affermava che la nazionale tedesca non è più tedesca nel senso classico del termine da molto tempo e si chiedeva, riferendosi a Özil, se chi si reca in pellegrinaggio alla Mecca può far parte dello stato democratico tedesco. Simili discussioni avvengono anche in Olanda, Regno Unito e Svizzera e si affacciano nei paesi scandinavi, in cui è aumentata la presenza di giocatori di origini straniere. Mancano però in Italia che, se si eccettuano i tre oriundi brasiliani, presenta una nazionale priva di rappresentanti delle seconde generazioni, benché il tessuto sociale sia ormai da anni variegato. Ciò non significa, come abbiamo visto, che le nazionali sopra menzionate siano immuni dall’intolleranza, ma certamente aprire a una nazionale multietnica può promuovere una maggiore inclusione delle minoranze e fungere da parziale antidoto al virus dilagante dell’estrema destra.