L'anticipazione. Francesco: il racconto, quel tessuto che ci unisce
Il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2020 è stato spunto per un vasto dialogo sul tema del “racconto delle storie” che si è sviluppato per tutto il 2020 sulle colonne dell’“Osservatore Romano” diretto da Andrea Monda, e che ha coinvolto decine di intellettuali di tutto il mondo. Ora quel dialogo confluisce nel volume La tessitura del mondo. Dialogo a più voci con i grandi protagonisti della cultura sul racconto come via di salvezza in uscita oggi in coedizione Salani/Libreria Editrice Vaticana (pagine 234, euro 16,00). A impreziosire la raccolta, curata dallo stesso Monda, è l’inedita postfazione Sul racconto di papa Francesco, che anticipiamo integralmente in questa pagina e che già richiama alcuni dei contributi alla riflessione collettiva.
«Le storie che raccontiamo e ri-raccontiamo e che tramandiamo gli uni agli altri sono tende sotto le quali riunirsi, vessilli da seguire in battaglia, funi indistruttibili per collegare i vivi e i morti, e l’intreccio di queste vaste trame attraverso i secoli e le culture ci lega fortemente gli uni agli altri e alla storia, guidandoci attraverso le generazioni». Così scrive Donna Tartt dopo aver letto questo volume che raccoglie le riflessioni di ben quarantaquattro tra scrittori, artisti, teologi, giornalisti sul tema del racconto. La romanziera americana coglie con acutezza uno dei punti su cui molti degli autori di questo libro convergono: il racconto come “tessuto”, fatto di “funi indistruttibili” che connette tutto e tutti, presente e passato, e permette di aprirsi al futuro con sentimenti di fiducia e di speranza. Questo aspetto del textum (in latino per indicare “tessuto” da cui l’italiano “testo”) era al centro del mio Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali per l’anno 2020 che è stato come la scintilla che ha generato tutte le altre riflessioni qui raccolte. Dal febbraio all’ottobre del 2020 infatti, sulle pagine de “L’Osservatore Romano”, sono stati pubblicati questi testi “provocati” dalla lettura di quel mio Messaggio. Mi è stato poi chiesto di aggiungere una conclusione finale al termine di questa ricca e bella serie che avevo già letto con grande piacere man mano che si dipanava nel corso dei mesi. Ho quindi accettato volentieri a patto però che non venga considerata “finale” un po’ perché come dice Frodo, il protagonista de Il signore degli anelli di Tolkien, «i racconti non finiscono mai» e poi perché un aspetto molto bello di questo libro è proprio il senso di apertura, di circolarità, di dialogo. Prima di riprendere il tema del “contenuto”, vorrei infatti soffermarmi brevemente sul “metodo” di questo volume: c’è all’inizio un messaggio che viene lanciato; questo messaggio viene condiviso e offerto all’attenzione di alcune persone che si lasciano interpellare e arricchiscono quel messaggio con il loro contributo; l’autore del messaggio legge tutti questi contributi e rilancia una nuova riflessione che è più ricca di quella iniziale grazie al contributo di tutti; infine il lettore di questo libro entrerà all’interno di questo dialogo e lo proseguirà nella sua vita quotidiana.
Ecco le «tende sotto le quali riunirsi» di cui parla la Tartt, ecco l’intreccio che «ci lega fortemente gli uni agli altri» anche attraverso le generazioni. Tutto questo dice molto. E dice in particolare che nelle storie ciò che conta è ovviamente il dire, ma forse ancora di più l’ascoltare. Questo libro è il resoconto di un dialogo che non termina all’ultima pagina e, in quanto dialogo, ha il suo cuore nell’ascolto. Anche silenzioso. In queste pagine sul racconto si avverte, forte, la presenza del silenzio. Da questo punto di vista è importante che ci sia anche un saggio, mi riferisco al testo Tu parli anche quando taci di Massimo Grilli, dedicato direttamente al silenzio. Quasi un contrappunto, un controcanto, essenziale quanto il tema principale eseguito dal resto dell’orchestra. Parola e silenzio, insieme. E qui voglio tornare sugli aspetti contenutistici per evidenziare, tra i tanti possibili (la raccolta è bella proprio per la libertà e la varietà di approcci e dei punti di vista), tre temi che mi sembrano quelli più ricorrenti: il primo l’ho già sottolineato, il raccontare storie come “tessere”; il secondo è celato dentro l’accenno al silenzio, ed è il tema del “mistero”; il terzo è il tema della “compassione”.
Sul primo, come ho già detto, il tessere, è forse l’aspetto su cui la maggior parte degli autori si concentra, alcuni sottolineando il ruolo delle donne, come ad esempio Marcelo Figueroa, altri evidenziando la “duttilità” della tessitura delle storie «capace di accogliere in sé situazioni sempre nuove e destinatari sempre nuovi» ( Jean-Pierre Sonnet), altri invece come Antonella Lumini si soffermano sulla consistenza “magmatica” delle storie che però “sussistono”, hanno una “tenuta” e un andamento, «come le acque alla sorgente di un fiume che poi si gettano nel mare». Il tema del mistero, declinato come senso del limite ma anche come “magia” che interviene nel momento dell’ispirazione poetica, è presente sin dal primo testo, quello dell’architetto Renzo Piano per cui «noi esseri umani siamo tutti quanti accomunati da questa consapevolezza di un mistero che ci sorvola, ci supera. Anche questo ha a che fare con la poesia».
«Quello che non so, lo so cantare» recita una canzone del cantautore romano Francesco De Gregori intervistato nella raccolta, e gli artisti, aggiunge Judith Thurman, con intuizione profonda, «devono scrivere non tanto su ciò che sanno, quanto su ciò che non sapevano di sapere fino a quando non lo hanno riscattato dall’oscurità». Il senso del mistero apre al trascendente, verso una dimensione inconfondibilmente spirituale, religiosa. Osserva Donna Tartt che «forse, più propriamente le storie sono tela per vele che issiamo per catturare un respiro del divino. I pensieri di altre persone acquistano una strana vita in noi, ed è per questo che la letteratura è l’arte più spirituale di tutte e certamente quella più trasformativa. Come nessun altro modo di comunicare, una storia può cambiare il nostro modo di pensare, nel bene o nel male […] le culture antiche e moderne hanno sempre considerato le storie magiche – e pericolose – per una ragione: perché si può ascoltare una storia e, al suo termine, essere una persona totalmente diversa».
E questo conduce al terzo aspetto, la compassione, anche questo presente in diversi testi raccolti nel volume. In particolare la scrittrice Marilynne Robinson, ricordando le storie e le canzoni che le leggeva la mamma, riflette sulla compassione che nel suo significato più ampio è secondo lei «nella vita dell’anima, il corrispettivo umano della grazia divina» e più avanti aggiunge che: «la storia dimostra quanto le narrazioni siano importanti per le comunità». La letteratura è quindi legata alla compassione e questo porta alla trasformazione che avviene in ogni esperienza di scrittura e di lettura, e avviene in modo ambiguo, ambivalente, e quindi rischioso: il racconto può anche sprigionare una forza negativa, manipolativa, distruttiva. La compassione, come ripeto spesso nei miei discorsi, è una delle tre caratteristiche dello stile di Dio, insieme alla vicinanza e alla tenerezza. È una forza potente quindi, e non può essere ridotta soltanto ad un aspetto interiore, intimo, perché possiede anche una dimensione evidentemente pubblica, sociale per cui il racconto si rivela come una forza della memoria, custode quindi del passato, ma anche, proprio per questo, un lievito di trasformazione per il futuro. La compassione trova l’icona più rappresentativa nella figura del buon samaritano raccontata nel capitolo 10 del Vangelo di Luca. Quest’uomo ha compassione dell’uomo ferito e offre a lui non solo cura e guarigione ma con esse anche un altro racconto della sua vita che con il suo gesto ha “riscattato dall’oscurità”.
La compassione trasforma la vita dei due protagonisti, e questo vale per ogni persona e per ogni comunità. Questa dimensione se vogliamo “politica” della narrazione è anch’essa molto presente nei quarantaquattro testi del libro. Penso alla riflessione di Alessandro Zaccuri che parla di Gesù come “Messia narratore”, apparentemente disarmato ma in realtà dotato della potente arma del racconto. Così come il romanziere irlandese Colum Mc-Cann vede nella narrazione «uno dei mezzi più potenti di cui disponiamo per cambiare il nostro mondo. […] La narrazione è la nostra grande democrazia. È quella cosa alla quale tutti abbiamo accesso. Raccontiamo le nostre storie perché abbiamo bisogno di essere ascoltati. E ascoltiamo storie perché abbiamo bisogno di appartenere. La narrazione travalica le frontiere. Scavalca i confini. Frantuma gli stereotipi. E ci dà accesso alla piena fioritura del cuore umano». Quella a cui McCann allude è la conclusione a cui arriva Daniel Mendelsohn quando afferma che «La parola è un ponte […] attraverso il racconto possiamo ridurre la distanza che ci separa e penso che questo sia oggi più necessario che mai». Mendelsohn fa riferimento al momento in cui sono stati scritti questi testi, il suo contributo è dell’aprile del 2020, e indica un preciso riferimento letterario: il Decamerone di Boccaccio, ambientato in tempo di pestilenza. Anche questo libro con i suoi quarantaquattro testi è stato composto in tempo di pandemia e si avverte l’importanza, l’urgenza di tornare all’attività più antica e più umana: l’arte del raccontare storie, cioè di costruire ponti che possano «collegare i vivi e i morti » per guidarci, attraverso i secoli e le generazioni, verso un futuro da costruire, tessere, insieme.
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