Musica. Francesca Tandoi, piano e jazz senza confini
La pianista jazz Francesca Tandoi
E’ la pianista jazz del momento. Romana e internazionale, di stanza a Bologna (capitale musicale d’Italia), dopo aver girato il mondo in lungo e in largo a respirare jazz, Francesca Tandoi è ora impegnata con il suo Bop Web Tour a portare ai confini del pianeta jazz il suo settimo album appena uscito, fin dal titolo ispirato a uno dei pilastri del be bop, Dizzy Gillespie. Otto brani in trio (con il contrabbassista Matheus Nicolaiewsky e il batterista Sander Smeets, oltre al chitarrista Daniele Cordisco in due tracce), sei anche come inventiva e originale autrice, a partire dalla title track. Due le cover: Agua de beber di Jobim e Overjoyed di Stevie Wonder, unico brano dell'album anche cantato.
Dopo il grande successo di pubblico a Parigi, Berlino, Varsavia, Rotterdam e il sold out al Blue Note di Milano dello scorso 27 febbraio, Francesca Tandoi tornerà in tour a maggio tra la Campania e la Norvegia, passando per Berna, Vicenza, Istanbul, Pisa, Londra e, a luglio, New York. «Lì mi esibirò con un trio americano, su invito del Lincoln Center. Sono molto emozionata, per un jazzista è un sogno che si avvera - ci racconta -. Avevo già suonato a New York ma soltanto in qualche localino». Il made in Italy che vince, in casa di chi ha inventato il jazz. Ma guai a parlare di quote rosa e di riscatto femminile.
«Il discorso dei generi in musica non mi piace e non lo voglio fare - precisa -. Ogni tanto mi ritrovo in qualche cartellone di festival per una questione di quote rosa, un approccio davvero assurdo perché sembra che io sia lì non perché brava e basta. Ecco, l’unico criterio sensato è invece quello della qualità artistica a prescindere dall’essere uomo o donna». Pianista raffinata e colta, formatasi all’estero («ho vissuto in Olanda per undici anni, dai venti ai trenta, lì ho fatto il conservatorio e suonato in jazz club e rassegne. Ho poi viaggiato e suonato in tutto il Nordeuropa e nell’Est»), Francesca Tandoi non ama granché i social («ormai bisogna stare attenti a dire qualsiasi cosa, si corre sempre il rischio di essere male interpretati »), ma li utilizza perché diventati indispensabili per chi svolge una carriera artistica.
«Il mio profilo Instragram, che gestisco personalmente, ha novantamila followers e questo mi ha molto aiutata nella professione. Un numero che mi fa un po’ paura, perché vedo che molti seguono davvero ogni mio passo. L’idea di essere così osservata mi porta a stare molto attenta a quello che posto. Ho visto che vanno molto bene video di concerti, purché brevi. Forse perché la soglia dell’attenzione è sempre più bassa». Anche tra i jazzofili, un popolo avvezzo ad ascolti non certo banali. Ma il segreto di Francesca Tandoi è aver capito la centralità della melodia, pietra filosofale della musica.
«Tutto è portato dalla melodia, è l’elemento che rende la musica accessibile. Il che non significa che sia per questo necessariamente facile o banale. Il fatto è che sono le melodie a rimanere, a lasciare traccia per sempre - spiega -. Attraverso le mie mani e i tasti del pianoforte io cerco così di restituire a modo mio le emozioni che la musica stessa dà a me. Questo è il mio interplay con il pubblico». Un rapporto confidenziale e d’intesa cresciuto poco alla volta ma in modo sempre più speciale, al punto da essere oggi una delle jazziste più apprezzate al mondo.
«All’inizio in concerto ero più rigida, parlavo poco e guardavo solo il pianoforte - racconta -. Poi ho cominciato a sentire sempre più l’energia del pubblico e ho capito che quell’essenza influenzava anche me e gli altri musicisti sul palco. Negli anni ho così acquistato sempre più sensibilità in ciò che il pubblico restituisce a chi suona. Suonando molto all’estero ho poi notato che il pubblico del jazz non ha comunque confini, è lui stesso una sorta di nazionalità. Del resto il jazz è una lingua e c’è dunque un popolo che parla questa lingua. L’improvvisazione stessa è espressione di creatività e libertà, ma dentro a regole grammaticali di un linguaggio musicale».
Il jazz per Francesca Tandoi è stato una folgorazione infantile, pur non avendo avuto genitori jazzofili o musicofili in generale. «Io ho ascoltato ogni tipo di jazz, ma ricordo che il mio primo disco è stato di Keith Jarrett con in trio con il bassista Gary Peacock e il batterista Jack DeJohnette. Poi ho ascoltato tanto Bill Evans da ragazzina. Una passione innata, subito supportata dai miei genitori che mi compravano i dischi e mi portavano ai concerti, tra i primi ricordo quelli di Enrico Pieranunzi e di Chick Corea». Ora sul palco c’è lei, a incantare e magari a ispirare giovani aspiranti jazzisti.
«Fare il musicista jazz credo che sia piuttosto difficile - dice -. In tutto il mondo, non soltanto in Italia come si ritiene spesso. Se una carriera artistica è di per sé piena di incognite, quella del jazzista lo è ancora di più. I posti per suonare sono pochi, anche se per fortuna ci sono ormai tanti festival estivi. Ma il jazz resta pur sempre una musica di nicchia e ad alti livelli è difficile affermarsi. Però mi basta ripensare al calore e all’entusiasmo anche dei tanti giovani che sono venuti a sentirmi in duo, in trio e in quartetto in una decina di concerti che fino al 2019 ho fatto anche in sperdute cittadine della Siberia. Mi piacerebbe tornare a suonare in Russia. Significherebbe che la pace è tornata».