Il personaggio. Federica Fracassi: «Il talento di essere se stesse»
Capelli rossi fiammanti, sguardo enigmatico e, soprattutto, talento da vedere, Federica Fracassi sarebbe la Meryl Streep italiana, se l’Italia fosse Hollywood. L’attrice milanese classe 1971 è una delle più stimate interpreti (e autrici) di teatro e di cinema italiano. Laureata in Filosofia della scienza con Giulio Giorello all'Università degli Studi di Milano, si è formata giovanissima alla Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi. Un percorso teatrale originale e indipendente, fondatrice insieme a Renzo Martinelli della compagnia Teatro Aperto, poi Teatro i di Milano, la Fracassi ha incrociato sul suo cammino grandi registi sia a teatro che al cinema dove è diventata l’attrice feticcio di Marco Bellocchio con cui ha recitato in ben 5 film (da Bella addormentata all’ultimo Rapito) passando per Salvatores, Diritti, Virzì, Verdone. L’abbiamo incontrata al Mittelfest di Cividale del Friuli, applaudita in Quadri di un’esposizione di Musorgskij, al piano Elia Cecino, dopo averla incrociata al Campania Teatro Festival come potente Monaca di Monza ne I Promessi sposi alla prova di Testori con la regia di Andrée Ruth Shammah che sarà in autunno a Brescia e al Piccolo di Milano.
Federica Fracassi lei, che è anche modella per Marras, è riuscita a imporre nel mondo dello spettacolo il suo talento e una bellezza fuori da canoni stereotipati.
Ho sempre riflettuto sul fisique du role, anche se in diversi mi dicevano che era “ovvio” che non mi scegliessero per alcuni ruoli. Mi rendo conto che vengo percepita come particolare, non all’interno di un canone: ho i capelli rossi, ho il “nasetto”, non ho la faccina carina. Però questa cosa in teatro è diventata una forza, una espressività e uno stimolo a superare i miei limiti. E molte donne si identificano in me. “Tu non ti sei rifatta, che coraggio”. Ma quale coraggio, se no diventiamo tutte uguali (ride, ndr).
La passione per il teatro come le è scattata?
Io ho iniziato a fare danza a 5 anni nel mio paese, Cornaredo, alle porte di Milano, seguendo i corsi di Gianni Zari che era un ballerino della Scala. Mi piaceva molto il palco, ma sapevo di non avere il fisico della ballerina classica. Io però ero anche timida e sognatrice e mi piaceva molto leggere. Al liceo ho pensato al teatro, mi sembrava una cosa molto profonda, avevo voglia di fare qualcosa di significativo. Così a 19 anni ho fatto il provino alla Paolo Grassi e mi hanno preso. Poi un gruppo che mi ha formato tantissimo è stato il Teatro Valdoca di Cesena della poetessa Mariangela Gualtieri e del regista Cesare Ronconi. Il mio teatro è iniziato da lì. E poi Thierry Salmon che inseguivo per tutta l’Italia…
Come mai questa vocazione di Fracassi per il teatro off?
Ero molto off, ero anche un po’ spocchiosa rispetto al mainstream, anzi, alla quarta parete. Mi infastidiva che non ci fosse un ragionamento registico per sfondare questo spazio. Ero abituata a un teatro più mosso e libero. Oggi è più difficile per gli indipendenti. Prima c’era molta più esperienza laboratoriale che arrivava dagli anni 70 e che negli anni 80 avevano dato vita a Raffaello Sanzio, Valdoca, Tiezzi e Lombardi. Noi invece negli anni 90 lavoravamo così coi Motus e Fanny & Alexander, compagnie opposte al sistema ma che avevano un loro sostegno. Adesso con la proliferazione per legge di scuole all’interno degli stabili, i giovani che si diplomano vengono messi dentro la macchina in una esperienza lavorativa molto più incasellata.
Lei ha fatto molti lavori su Testori, la regina Erodiàs, diretta da Renzo Martinelli, La Monaca di Monza diretta da Valter Malosti ed ora I Promessi sposi con la Shammah.
Io ho iniziato da spettatrice vedendo i Testori di Sandro Lombardi. Mi sembravo adatta anche per le mie radici lombarde. La lingua di Testori ha una musicalità che ho dentro. Poi mi si è presentata questa possibilità con l’Associazione Testori ed ho pensato che Erodiàs fosse giusto per le mie corde come primo spettacolo.
Nel cinema di Bellocchio lei, invece, è spesso una un’icona misteriosa, a volte ambigua.
Per me Bellocchio è un mito, un maestro, simpaticissimo, e io sognavo quando ero giovane di lavorare con lui, ma non ci speravo proprio. Sto capendo adesso che evidentemente mi vede così. Mi identifica con la femminilità delle sue sorelle che sono rimaste sempre in casa, sole. Come eravamo Alba Rohrwacher ed io in Sangue del mio sangue. Anche in Rapito le figure femminili che portano via il bambino sono due. Però io mi sento ancora a disagio nel cinema, mi piacerebbe avere ruoli più grandi, cosa che non arriva mai. Mi domando: perché io non sono capace o perché la gente non si rispecchia in me? Penso che le donne italiane si identifichino anche in donne mature, ma l’età è un grande tabù nel cinema. Non solo il “body shaming” che c’è, ma non vengono scritte storie sulle cinquantenni.
Piuttosto ha interpretato diverse volte il ruolo della suora..
C’è stato un giorno quest’anno in cui mi hanno chiamato per tre video-provini per il ruolo della suora. Ho fatto la suora in Un giorno devi andare di Giorgio Diritti, in Esterno notte di Bellocchio e la suora laica per Verdone in Benedetta follia. Sono andata all’asilo dalle suore e alle medie al pomeriggio andavo da loro a fare i compiti, quindi le conosco. Penso che forse mi cerchino per questi ruoli perché c’è qualcosa di misterioso ed enigmatico in me, non capisci se sia tragica o comica, buona o cattiva. Adesso però sono una signora bene di Lecco in 100 domeniche prima regia di Antonio Albanese.
Vediamo una agenda teatrale molto intensa.
Debutterò il 23 novembre al Piccolo Teatro Melato di Milano con Trilogia della città di K. di Agota Kristof, che è uno dei miei romanzi preferiti, che mettiamo in scena insieme con Fanny & Alexander, prodotto dal Piccolo. In una frontiera di una delle tante guerre, due gemelli sono affidati dalla madre alla nonna, che è per loro una sconosciuta, una strega, un’assassina. Questa storia parla del loro legame, del loro trauma. Purtroppo la Storia mi dà ragione nel mettere in scena la Kristof, scappata nel dopoguerra dalla Rivoluzione ungherese per andare a vivere in Svizzera dove ha vissuto da operaia per anni prima di iniziare a scrivere. C’è tutta la guerra con la G maiuscola, lo sradicamento, lo spaesamento… Da gennaio riprendo anche le repliche di Otello al femminile dove faccio Jago e poi debuttero nell’aprile 2024 al Teatro Stabile di Torino con La vita che ti diedi di Pirandello insieme a Daria Deflorian con la regia di Stéphane Braunschweig,