Agorà

INTERVISTA ALLA STORICA GRAZIA LOPARCO. Fra Pio XI e il Duce scontro sugli ebrei

Paola Springhetti sabato 20 dicembre 2008
A Papa Pio XI le leggi razziali non piacevano proprio. E per questo prese posizioni chiare e attivò varie iniziative per cercare di cambiarle. «All'epoca della promulgazione delle leggi razziali, tra il luglio e il settembre del '38, il Papa ha parlato più volte, condannandole. Nel IV volume della sua Storia della Chiesa, Giacomo Martina ricorda che ripeté le condanne al nazionalismo esagerato e all'esaltazione della razza (parola che il Papa aborriva, preferendo piuttosto "stirpe"), davanti alle suore del Cenacolo riunite nel capitolo e provenienti da varie nazioni, davanti agli alunni di Propaganda Fide e davanti agli assistenti dell'Azione Cattolica. E dopo il discorso del 6 settembre ai pellegrini belgi, nella consueta allocuzione concistoriale di fine anno, deplorò la lesione del Concordato avvenuta con le disposizioni che proibivano il matrimonio misto e "la recente apoteosi, in questa stessa Roma, preparata ad una croce nemica della Croce di Cristo"». A rievocare gli studi di Giacomo Martina è Grazia Loparco, docente alla Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione Auxilium, di Roma, cui si deve un'importante ricerca sugli ebrei salvati nei conventi dell'Urbe. «Il Papa era contrario alle leggi razziali, ed è intervenuto anche per via diplomatica: tramite Padre Tacchi Venturi tentò di ottenere modifiche, scrivendo sia a Mussolini sia al re. A queste prese di posizione Mussolini replicò in vari discorsi, in sfoghi personali e minacciando una lotta a fondo contro la Chiesa». Perché queste prese di posizione non hanno avuto la risonanza dovuta? Oggi interventi di questo genere avrebbero una risonanza enorme. Ma si era in un regime totalitario, e non c'erano i mezzi di comunicazione che ci sono oggi. Soprattutto non li aveva il Papa. Perché si rimette continuamente in discussione l'atteggiamento verso il nazismo e il fascismo di Pio XI e Pio XII? Ci troviamo davanti ad un anacronismo difficile da superare. Cerchiamo risposte che sembrino adeguate a noi, oggi, usando i nostri parametri, che non sono applicabili al momento storico di sessanta anni fa. Lei ha studiato questi temi. A che conclusioni è arrivata?Ho fatto queste ricerche seguendo un interesse di tipo documentario, perché - soprattutto nei confronti di Pio XII - credo che non sia ancora venuto il momento di dare un giudizio storico. Siamo troppo segnati dal pregiudizio: o polemico o apologetico. Non c'è la serenità intellettuale per giudicare e non ne sappiamo abbastanza. Ad esempio Andrea Riccardi, nel suo recente e libro, ha indagato gli aspetti diplomatici, ed è stato certamente importante, ma c'è ancora molto da studiare e ricostruire. Papa Pio XI ha preso con molta chiarezza alcune posizioni, ad esempio definendo il fascismo "una vera e propria statolatria pagana" con l'enciclica "Non abbiamo bisogno", scritta per difendere l'Azione Cattolica dal regime fascista, o, più tardi, pronunciandosi contro la guerra incombente. C'è continuità con Pio XII? C'è stata continuità sostanziale, anche se con un atteggiamento diverso. Certamente era più diretto quello di Pio XI. Che nel '37 ha scritto, usando eccezionalmente il tedesco e non il latino, l'enciclica Mit brennender Sorge ("Con viva preoccupazione"), rivolta all'episcopato tedesco, in cui denunciava tra l'altro l'anticristianesimo presente nel nazionalsocialismo. E con la stessa nettezza nel '38 si è pronunciato nei confronti della legge razziale che vietava i matrimoni misti. Ma in pochi anni la situazione è radicalmente cambiata: Pio XI ha vissuto la fase montante del nazionalsocialismo e la minaccia di guerra, ma Pio XII si è trovato a tenere saldo il timone della Chiesa durante il boom del nazismo e nel pieno della guerra: erano anni in cui sempre meno si poteva ottenere qualcosa a livello diplomatico. La storia non si fa con i se: non possiamo sapere cosa sarebbe capitato se Pio XII avesse fatto scelte diverse. Ma sappiamo cosa era capitato in Olanda, dove la presa di posizione forte dei vescovi aveva scatenato una reazione durissima. Bisogna avere una visione internazionale per cogliere la complessità del momento. Resta il fatto che ormai, grazie alle testimonianze raccolte soprattutto negli ultimi anni, si accetta l'idea che la Chiesa nel suo complesso si sia impegnata per salvare molti ebrei, ma si continua - da più parti - a contestare i Papi per l'eccessiva prudenza sul piano ufficiale, istituzionale. Il problema è ricostruire non solo che cosa è stato fatto, ma per quali ragioni. Il silenzio di Pio XII era per salvare se stesso o per salvare gli altri? In realtà Pio XII ha usato gli strumenti diplomatici che aveva a disposizione, forte anche della sua precedente esperienza in Germania, ma ha dato la priorità alla salvezza delle persone. Ora noi vorremmo risposte politiche, ma in un regime totalitario probabilmente non sarebbero servite se non a inasprire il clima. Quello che poteva fare era salvare le persone, e quello ha fatto. Proprio una decina di giorni fa ho parlato nuovamente con le suore del monastero dei Ss. Quattro Coronati, qui a Roma, e ho chiesto se sarebbe stato possibile per loro aprire il convento a chi cercava rifugio, in mancanza di una dispensa dall'alto. Essendo un monastero di clausura, non sarebbe stato possibile. L'hanno potuto fare perché c'è stato l'ordine del Papa, come ci sono state molte altre sue iniziative. Il silenzio "ufficiale" è stata una scelta molto meditata, per noi oggi difficile da capire, ma non è il tempo per giudicare.