Agorà

Le storie. E la chiamano follia. Vite da manicomio

PIERO DEL GIUDICE domenica 24 luglio 2016

C’è in libreria una piccola messe di libri che trovano ispirazione nella questione psichiatrica. La affrontano nella sua dimensione istituzionale e storica, oppure partendo dal disagio e dalla cura snodano storie, romanzano sulla linea accidentata del confine tra normalità e anomalia, tra ordine che si dà – negli uomini e nelle cose – e follia. È un romanzo allora che segue tracce – una foto, un’avara cartella clinica, testimonianze – di bambine e bambini reclusi in manicomi quello di Simona Vinci La prima verità( Einaudi, pp. 400, euro 20). Titolo da Ghiannis Ritsos: «È di nuovo la prima verità, il mio ultimo desiderio». Piccole storie di bambini reclusi che diventano adulti nei manicomi e prima di tutto in quello dell’isola greca di Leros, sito dei più tristi e disperati della umana separazione, vicenda insulare e di repressione, archetipo insulare della reclusione nella storia recente della psichiatria, lager per migliaia di vite, luogo di ogni vessazione. 

 

Sarà liberato dai lunghi ed energici interventi guidati dalle équipes triestinebasagliane – sotto l’ombrello della Cee – in tre anni di duro lavoro (1990-1993). Prima base militare italiana nel Dodecaneso, insieme manicomio per le «eccedenze » dei manicomi continentali greci e prigione politica dell’opposizione democratica nella Grecia dei colonnelli (giunta militare dopo il colpo di Stato del 1967 e sino al 1974). Nel romanzo della Vinci, forte di passaggi drammatici, le due reclusioni – della repressione politica e della follia – si intrecciano in uno spazio confinario e danno vita allo snodo emotivo centrale. Anche il titolo del libro di Massimo Cirri – non romanzo, ma ricerca in forma di epica narrazione – Un’altra parte del mondo (Feltrinelli, pp. 350, euro 18) sembra una citazione. L’autore di questa impresa di letture monumentali – diari, lettere, biografie, fotografie – parla così in chiusura: «Mi sono molto appassionato alla storia di Aldo Togliatti e poi, grazie a lui, alle molte altre storie che la incrociano».

 

 

Libro, allora, almeno per una sua parte, scritto indagando non la «breve vita felice», ma la lunga, e in sua considerevole parte infelice, vita di Aldo (1925-2011) figlio di Palmiro Togliatti e di Rita Montagnana, rivoluzionaria, come il marito, «di professione». Una vita quella di Aldo investita frontal- mente dalla Storia: rifugiato con i genitori in Unione Sovietica, in collegio a Ivanovo come altri figli di clandestini, esuli e rifugiati – dal figlio di Tito, Žarko, al figlio di Longo, Gino, al figlio di Mao – , lì lasciato dai genitori combattenti nella guerra civile spagnola (1937-39) – a loro indirizza tenere lettere in francese –, stretto poi nella ridotta di Kujbyšev (1941-43) quando Mosca viene evacuata per l’avanzata tedesca e i carri arma- ti alle porte… È la parte migliore del libro questa dell’intreccio con la Storia grande e i protagonisti di questa storia: Longo e Teresa Noce, i Kulaki (i Kolchoz, i Solchoz) e la repressione dei Kulaki, l’Hotel Lux – funzionari di partito alla concierge e microspie al Lux , il carcere nazifascista e i processi staliniani, Giuseppe Di Vittorio, Dolores Ibarruri, Massimo Caprara e tutto il firmamento di donne e uomini che si muove e lotta in Europa tra nazifascismo e sovietismo nella tempesta, nello sturm del secolo – non a caso un autore d’elezione del Cirri è Vasilij Grossman e in Vita e destino le centinaia di pagine sull’assedio di Stalingrado. Nostri padri e padri dei padri che Cirri – alla ricerca di un profilo credibile della vita del giovane Togliatti – incontra, uomini e donne nel mito, da cui è irresistibilmente attratto. E quei cambi di passo («Domenico, quello che ha preso il posto della mamma di Gino Longo nella 'Profintern' – Internazionale sindacale rossa – e veniva a trovarci a Ivanovo e Monino, è stato arrestato in Francia: carcere e poi lager, Buchenwald. Non ci facciamo mai mancare niente in queste famiglie comuniste… ») che segnano il tempo nel fluviale libro di Cirri tagliato in stile colloquiale quasi gergo – cambiando la voce narrante, con una tecnica narrativa «a cannocchiale rovesciato» dalla macrostoria al dettaglio delle vite comuni. 

 

Quella dunque di Aldo, giovane di grandi letture, di bisogni affettivi normali, di buoni rapporti con il padre e la madre, di enorme sensibilità. E tuttavia «timido », aggettivo con cui le numerose e folte testimonianze unanimemente lo definiscono. Declina il libro di Cirri declinando la vita di Aldo, tornato in Italia, separati i genitori, morto il padre e morta la madre nel 1979, sino al ricovero – sarà consecutivo per 30 anni e 10 mesi, sino alla morte – nella clinica psichiatrica privata di villa Igea a Modena. Era la copia perfetta del padre, occhiali da miope, tabagista, parlava da solo. È passato tra noi in punta di piedi, fatte salve le attenzioni della stampa scandalistica «un uomo ai margini, al centro di qualsiasi cosa non vuole proprio starci». Sbatti il matto in prima pagina di Pier Maria Furlan (Donzelli, pp. 436, euro 32) si fonda su un’ampia ricerca sui giornali italiani – da metà secolo all’approvazione della legge 180/1978 – assertiva del fatto che più si è parlato del complesso fenomeno di ciò che chiamiamo 'follia' e meglio, per la conoscenza e la cura, è stato. L’analisi si è svolta sulle pagine di La Stampa, Gazzetta del Popolo, Espresso, Unità, Corriere della sera, in vario grado e con vario taglio impegnati nella questione psichiatrica. Ne viene un libro denso e documentato – attraverso una lunga drammatica cronaca – sulla storia concreta e sulla vicenda istituzionale della liberazione dalla reclusione manicomiale e sino al riconoscimento della cittadinanza della crisi.