Fisica. Al Cern il futuro è ad alta luminosità
L’Atlas del Cern di Ginevra, uno dei rilevatori che osservano e studiano i prodotti delle collisioni delle particelle
Esattamente 10 anni fa, il 10 settembre 2008, al Cern di Ginevra veniva acceso ufficialmente per la prima volta l’Lhc ( Large Hadron Collider). Da allora, al suo interno, vengono accelerati protoni (le particelle di carica positiva che costituiscono i nuclei degli atomi) e ioni (atomi a cui è stato tolto un elettrone) fino a più del 99 per cento della velocità della luce, al fine di farli scontrare con un’energia che negli ultimi anni ha raggiunto di 13 teraelettronvolt (l’unità di misura dell’energia che viene guadagnata o persa da un elettrone che si muove nel vuoto ed equivale a 1.000 miliardi di elettronvolt). Tutto questo avviene a 100 metri di profondità dalla superficie terrestre in un tunnel sotterraneo circolare lungo 27 chilometri, situato al confine tra Francia e Svizzera. Durante questa prima decade di lavori, lo scopo era quello di studiare alcune problematiche del mondo subatomico, ossia di quelle forze e particelle che governano il mondo invisibile di cui è costituito l’Universo intero. Nel 2012 l’Lhc ha avuto il massimo della sua notorietà quando si è rilevato per la prima volta il bosone di Higgs che era stato teorizzato nel 1964, la particelle associata al «campo di Higgs», che secondo la teoria permea l’Universo intero conferendo la massa alle particelle elementari. Da allora vi sono state altre scoperte, forse meno eclatanti della prima, ma che hanno aiutato i fisici a capire il mondo subatomico. Tra queste ad esempio, la conferma della particella Xi, una nuova luce sui «monopoli magnetici » e indizi dell’esistenza di altre particelle subatomiche, scoperte che richiederebbero lunghi approfondimenti per descrivere cosa significano. Ma negli ultimi anni si è fatta una profonda riflessione per capire se questa «macchina» potesse essere ancor più migliorata per raggiungere nuove mete e i lavori hanno portato a voler realizzare un nuovo progetto che sarà il più grande nel mondo della fisica dei prossimi 10 anni: la costruzione dell’High Luminosity Lhc, chiamato anche HiLumi Lhc e la cui prima pietra è stata posta a metà giugno. Al termine dei lavori l’Lhc sarà molto più «luminoso» rispetto ad oggi, un aggettivo che sta a indicare il numero di collisioni tra particelle che possono avvenire per unità di superficie in un dato intervallo di tempo. Oggi l’Lhc è in grado di produrre fino a un miliardo di collisioni tra protoni al secondo, quando HiLumi Lhc sarà pronto, presumibilmente entro il 2026, la macchina aumenterà questa «luminosità» da 5 a 7 volte. Spiega Fernando Ferroni, presidente dell’Inf: «È iniziata una nuova fase di questa spettacolare macchina. Presto si avranno molti più “eventi” di scontri tra particelle e questo permetterà di esplorare le proprietà del bosone di Higgs in profondità e scoprire, qualora la natura le abbia previste, nuove particelle». Una macchina più potente richiederà anche rilevatori di quel che avviene al suo interno molto più precisi. Ed è per questo che anche i grandi rilevatori di scontri tra particelle collocati lungo l’anello del Lhc nei punti di collisione, dovranno essere potenziati in vista delle nuove prestazioni della macchina. Questo gigantesco lavoro vede l’Italia in prima fila e Lucio Rossi come project manager di HiLumi Lhc: «Per ottenere le elevate prestazioni previste non è sufficiente migliorare la macchina, è necessario che anche gli esperimenti che raccolgono i dati siano potenziati. Per osservare qualcosa, infatti, non basta fare luce, bisogna che anche gli occhi siano efficienti, altrimenti è come quando ti puntano una luce intensa dritto in faccia: rimani abbagliato, non vedi più nulla. Stiamo quindi lavorando a un sostanziale potenziamento sia dell’acceleratore sia dei rivelatori». I rilevatori che osservano e studiano i prodotti delle collisioni sono macchine gigantesche i cui nomi sono Atlas, Cms, Alice e Lhcb, e i più piccoli Totem e Lhcf. «Un altro punto di forza di questo progetto sono i magneti basati su una nuova tecnologia superconduttiva – continua Ferroni – che permetterà, tra l’altro, di avere ricadute in nuove applicazioni nel campo della medicina nella risonanza per immagini». I «magneti» di cui parla Ferroni, sono delle gigantesche «calamite» che creano un campo magnetico molto intenso necessario a mantenere in orbita i protoni con la velocità prevista senza che vadano a sbattere contro le pareti della macchina prima del loro scontro reciproco. Dal 2026 i fisici saranno in grado di entrare nel cuore di fenomeni fisici molto rari e raccogliere misure più accurate di quelle dei nostri giorni. E così se Lhc ha permesso di scoprire la reale esistenza del bosone di Higgs, il progetto HiLumi Lhc contribuirà a chiarire le proprietà di quella particella in modo più accurato e descrivere così con maggiori dettagli come viene prodotta, come si trasforma e interagisce con altre particelle. Inoltre, saranno messi alla prova scenari che vanno al di là del Modello Standard (l’attuale ipotesi che descrive l’insieme delle caratteristiche e delle forze che regolano le interazioni delle particelle che costituiscono la natura nel suo insieme), tra cui, per esempio, la supersimmetria (Susy), le teorie con extradimensioni, la struttura dei quark (le particelle che, al momento, sembrano essere le più piccole in assoluto) e molto altro ancora.