Filosofia. Riscoprire Augusto Del Noce, interprete acuto della secolarizzazione
Augusto Del Noce nella sua casa nel 1987
Solo qualche settimana addietro, la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi ha dato luogo a perplessità e sconcerto per la messinscena allestita. Ne sono seguite numerose reazioni oscillanti tra l’emotivo e il moralistico che a fatica potrebbero dimostrarsi capaci di coglierne il significato. Forse perché difettano di uno sguardo diverso, in grado di incastonare l’accaduto su un altro piano. E se le scenografie olimpiche non fossero che epifenomeni dell’epoca della secolarizzazione che, passo dopo passo, è giunta alla sua fase profana, legata all’affermarsi della “società opulenta”, ancorata al culto della scienza e della tecnologia e alla ricerca del benessere individuale? Per riconoscere questa filiazione, occorrerebbe adottare una “interpretazione transpolitica” o “interpretazione filosofica della storia contemporanea”. Almeno così penserebbe probabilmente oggi uno dei grandi filosofi cattolici del secolo scorso, Augusto Del Noce (1910-1989). A lui si devono l’elaborazione degli attrezzi teorici e la ricostruzione delle vicende che da Marx conducono alla fase profana dell’epoca della secolarizzazione, come la definisce.
Del Noce era persuaso che la storia, «senza la chiave filosofica contemporanea, non si intende; e la reciproca è vera perché senza approfondimento della storia contemporanea non si può fare filosofia». Così scrive in una lettera del 1984 indirizzata a Ernst Nolte, lo storico tedesco con cui intrattenne uno scambio epistolare trentennale ora ripubblicato in Dove va la storia contemporanea. Augusto Del Noce e l’interpretazione transpolitica di Francesco Perfetti (Aragno, pagine 220, euro 30,00). È lo stesso Perfetti a evidenziarlo nel volume che prende in esame, oltre ai rapporti tra il pensatore cattolico e lo storico tedesco, anche quelli con Ugo Spirito e Rousseau, oltre a raccogliere alcuni inediti, tra cui la trascrizione di un dibattito tra il filosofo cattolico, Renzo De Felice e James A. Gregor. La novità del pensiero delnociano deriva dall’«approccio allo studio della filosofia contemporanea – scrive Perfetti –, l’idea cioè di un parallelismo tra storia culturale e storia politica, che si traduce nella convinzione che, per comprendere davvero gli avvenimenti storici, sia necessaria una riflessione filosofica sulla storia accanto a una ricostruzione dei fatti sulla base dei documenti».
Del Noce partiva dal riconoscimento della novità epocale introdotta dal pensiero di Marx. Concependo, la sua, come filosofia della praxis, il Solitario di Treviri non separava teoria e pratica, ma cercava le condizioni di possibilità di realizzazione della rivoluzione foriera del comunismo. Per questo, secondo il pensatore torinese, il marxismo doveva ritenersi inseparabile dal suo esito storico. E sempre per questo non si potrebbe comprendere la storia contemporanea senza assumere il ruolo che la filosofia ha giocato nel condizionare l’intrecciarsi degli eventi degli ultimi secoli. Saremmo, già con Marx, a pieno titolo nell’epoca della secolarizzazione, che esprime «l’inveramento religioso del pensiero moderno o, per dir meglio, di quella direzione del pensiero moderno che trova nell’ateismo la sua rigorosa conclusione», come precisa Del Noce, nel 1970, nell’introduzione a L’epoca della secolarizzazione, da poco riportato nelle librerie da Gangemi (pagine 476, euro 44,00) e integrato da altri saggi di difficile reperibilità che corroborano la sua ricostruzione storico-filosofica. Un’epoca della secolarizzazione, quella del marxismo, ancora però nella sua «fase sacrale», animata da religioni politiche proiettate verso le magnifiche sorti e progressive dell’avvenire e intenzionate a modificare la storia attraverso la filosofia. Nel momento in cui si sospende il momento rivoluzionario, centrale nel marxismo, la secolarizzazione, per Del Noce, accede alla fase profana. Imbevuta di illuminismo ateo e di ideali borghesi, essa si incarna in pulsioni individuali e consumi di massa e, concentrata completamente nel presente, si affida esclusivamente alle aspettative offerte dal crescente benessere economico, agli agi prodotti dalla tecnica retta dallo scientismo e ai piaceri promessi dalla visione libertina.
Ecco qui la «società opulenta», come la chiama, o del benessere. Ierofante di questo passaggio, per Del Noce, sarebbe stato Antonio Gramsci che, nel tentativo di riscrivere il materialismo storico alla luce dell’attualismo gentiliano, riconosce l’influenza della sovrastruttura (letteratura, folklore, religione) sulla struttura economica. Da questa intuizione sarebbe prosperata una riforma intellettuale e morale che, subordinando l’aspirazione rivoluzionaria agli ideali illuministi e libertini della borghesia laicista, avrebbe diffuso tra le classi sociali, in maniera inattesa, una concezione secolarizzata e immanentista della vita. Da lì si giunse a quel «suicidio della rivoluzione », come recita il titolo del libro forse più perspicuo e più bello di Del Noce, che aprì le porte alla società permissiva. In essa «l’ideale è visto nella liberazione dall’autorità, dal regno della forza e della necessità. Ci pare invece di dover dire che il rifiuto dell’autorità, intesa in senso metafisico- religioso, conduca all’instaurarsi di una forma assoluta di “potere”, cosicché alla contrapposizione autorità-libertà si sostituisce la contrapposizione autorità-potere, dal carattere decisamente oppressivo» precisa Del Noce nel lemma Autorità, redatto nel 1975 per L’Enciclopedia del Novecento e riproposto ora da Treccani Libri (pagine 90, euro 10,00). « L’eclissi dell’idea di autorità – continua il filosofo cattolico – è tra i tratti essenziali del mondo contemporaneo: ne è anzi, certamente, il tratto più immediatamente percepibile » ammonisce. Ma associandola a repressione e violenza, il tempo presente ne dimentica il significato originario, legato al crescere e prosperare, e «la fa coincidere, al contrario di ciò che l’etimo esprime, con ciò che arresta la crescita, che vi si oppone», scordando così che « nell’uomo si realizza l’humanitas, quando un principio di natura non empirica lo libera dallo stato di soggezione e lo porta al fine che è suo, di essere razionale e morale».