Lirica. Beatrice Venezi: io, Mascagni e la mia bacchetta rosa che dà fastidio
Il direttore d'orchestra rivelazione Beatrice Venezi che terrà a battesimo il Festival Mascagni
Chissà se Pietro Mascagni avrebbe mai immaginato che una donna, per di più giovane e di popolare charme, sarebbe salita sul podio per dirigere le sue partiture. Lui che nutriva un fascino particolare per il gentil sesso e che all’inizio del secolo scorso si era conquistato la fama di divo e di influencer dell’universo femminile. Scherzi del destino. Eppure, a 130 anni dalla prima del suo più celebre capolavoro, Cavalleria Rusticana, sarà Beatrice Venezi a tenere a battesimo il numero zero del Festival Mascagni che la sua città natale, Livorno, gli dedica e che è promosso dall’amministrazione comunale con la Fondazione Teatro “Goldoni”. «Ma non chiamatemi direttrice d’orchestra», mette le mani avanti la becchetta d’origine lucchese che frequenta i palcoscenici di mezzo mondo (meno quelli italiani), che il popolo della Rete adora e che Forbes ha scelto come uno dei cento giovani under 30 leader del futuro. Perché niente declinazione al femminile della sua professione? «Vorrei che si parlasse della bravura di un direttore, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, giovane o avanti con gli anni. Questa è la vera parità, non il ricorso a termini che sottolineano il genere». Venezi guiderà l’Orchestra della Toscana nel concerto di gala venerdì 11 settembre alle 21.15 nella Terrazza Mascagni che sarà l’evento principale della rassegna ideata dal direttore artistico Marco Voleri, nonostante le restrizioni legate alla pandemia. Sul palco il soprano Amarilli Nizza, il mezzosoprano Sonia Ganassi e il tenore Angelo Villari. A loro fianco l’attore Luca Zingaretti. «Sarà una serata in cui la musica di Mascagni si alternerà con quella dei suoi contemporanei come Catalani, Puccini, Cilea o Leoncavallo. Tutto ciò per mettere in evidenza l’originalità e la ricchezza della produzione mascagnana».
Un genio da riscoprire?
Sicuramente. Di solito il pubblico ma anche i teatri si fermano a Cavalleria o all’Amico Fritz. Talvolta è possibile ascoltare dal vivo Guglielmo Ratcliff o Iris. Poi basta. Dimenticata, ad esempio la sinfonia delle Maschere, tratta dall’omonima opera, che è un “unicum” mascagnano sia per il linguaggio musicale, sia per la tematica ludica: una perla che proporremo nel gala. E poi come non ricordare i suoi lavori di carattere sacro ma anche la spinta che lo portò a mettersi a servizio del cinema con, ad esempio, Rapsodia satanica, colonna sonora che è un vero splendore.
C’è quindi bisogno di un Festival su Mascagni?
Direi di sì. Il maestro va ritenuto il massimo esponente del verismo in musica con tutta la sua carica innovativa. E forse è stato dimenticato perché le sue partiture non sono così orecchiabili. Rispetto a Puccini, suo amico-nemico, ha uno stile meno accattivante per lo spettatore, dietro cui si cela una ricerca dalla quale scaturisce una vibrante resa drammaturgica.
Il compositore livornese Pietro Mascagni (1863-1945) - Archivio
Lei è lucchese. Ha inciso il suo primo album dedicato ai lavori sinfonici di Puccini, My journey. Ora c’è Mascagni. Privilegia i conterranei?
Un po’ di sano campanilismo toscano. Ma non potrei mai cimentarmi con un compositore pisano... Battute cattive a parte, mi sento di dover portare nel mondo il nostro patrimonio musicale, magari rileggendolo con una chiave nuova oppure proponendo pagine meno conosciute. E Mascagni potrebbe essere al centro di uno dei miei prossimi progetti discografici.
Lei intende “democraticizzare” la musica alta, ossia renderla pop, popolare. Non rischia di snaturarla?
La musica che oggi definiamo classica nasce come espressione comunitaria e ha sempre mantenuto un chiaro appiglio con la quotidianità. Poi è stata rinchiusa in determinati circuiti elitari: questo la snatura, non certo la volontà di riportarla in mezzo alla gente. E oggi più che mai abbiamo bisogno di bellezza e di valori autentici.
Ha scelto di essere presente sui social in maniera costante. Perché?
È un ulteriore modo per normalizzare la musica classica che da molti viene percepita come distante. Inoltre voglio che la vita del musicista classico, spesso visto alla stregua di un eremita o di un dannato del pentagramma, appaia nella sua ordinarietà. Anche questo può essere utile per allargare la platea che frequenta teatri e sale da concerto.
Perché è ancora un caso un direttore d’orchestra donna?
È vero, fa scalpore. Però noto un grande interesse da parte del pubblico: è un ottimo segnale. Tuttavia nell’ambiente musicale non manca il fastidio di fronte al cambiamento, al rinnovamento. Ecco, quindi, attacchi e cattiverie che confermano la persistenza di un pensiero retrogrado.
Non si ritiene una donna capace di guidare una formazione complessa?
Anche il tema della leadership si affaccia e prevale un approccio superato che riassumerei nell’espressione “tenere in pugno”. Invece, secondo me, oggi occorre definire un obiettivo comune e far sì che un gruppo lo raggiunga insieme. È una prospettiva completamente diversa.
Il direttore d'orchestra rivelazione Beatrice Venezi - Ufficio Stampa
Lei rifiuta di indossare il frac sul podio. Preferisce vestiti sgargianti.
In un frangente storico dove l’immagine è messaggio, la scelta di un abito che ti mette a proprio agio dice la determinazione di una donna che non desidera conformasi alle aspettative di un mondo maschilista e, direi, machista.
Nel 2019 è arrivata la nomina vaticana a membro della consulta femminile del Pontificio Consiglio della cultura.
È stato un grande onore. Siamo un gruppo di donne di estrazioni, età, tradizioni molto variegate. Stiamo organizzando una serie di seminari che dovevano essere in presenza ma che il Covid ci ha costretto a realizzare via web durante i quali proporremo uno sguardo femminile su alcune tematiche.
Quale rapporto fra Chiesa e cultura?
La Madre Chiesa è culla della cultura, compresa quella musicale. Perciò non apprezzo quando le liturgie sono accompagnate dalle chitarre, magari persino stonate. La Chiesa può offrire proposte di ben più elevata qualità che aiutano ad aprirsi al mistero e all’assoluto. Poi vanno riscoperte le radici cristiane dell’Europa: sono un faro che dobbiamo avere sempre presente per vivere il il nostro tempo e guardare al futuro con saggezza e lungimiranza.