Sanremo. Nel diario del Festival un alfabeto di pregi e tanti errori
Fiorello e Amadeus artefici del Festival di Sanremo 2021, segnato dal Covid
Se non ci fossero state di mezzo le piattaforme spaziali dei social dominanti e le dirette tv fiume (esondante, fino alle 2.30 del mattino) potremmo anche dire che questa edizione «unica», e si spera irripetibile (causa “guerra del Covid”) del Festival di Sanremo 2021, ha creato un bel ponte tra il passato e il presente. Il passato che riaffiora con la musica rock e il presente che è in mano ai Måneskin, ultimi testimoni di quel genere musicale che anche il loro amico, e duettante, Manuel Agnelli con gli Afterhours aveva provato a imporre sul palco sanremese, ma senza riuscirci. Loro, invece i quattro elfi rock romani che gridano al Paese, «Siamo fuori di testa, ma diversi da loro», ce l’hanno fatta. È forse un’alba nuova nel panorama scarno di talenti del cantar leggero, meglio un «chiaro di luna», traduzione dal danese di Måneskin. Molto più nebuloso il futuro della direzione artistica e della conduzione del prossimo Sanremo. Alle dimissioni choc di Amadeus – date a mezzogiorno prima della serata finale – la Rai a caldo aveva risposto da matrigna più che da mamma, lasciando cadere la scelta emotiva di un Amadeus apparso confuso e infelice, per tanti motivi legati all’andamento del Festival, e non solo... Poi domenica mattina l’ad dell’azienda di viale Mazzini, Fabrizio Salini, ha cominciato un pressing per la riconferma degli “Amarello” (Amadeus e Fiorello). I due gemelli diversi, con un pizzico di spavalderia prima che la musica cominciasse avevano avanzato la candidatura: «faremo un Sanremo ter». Un proclama – fatto in diretta a “Domenica In” il 28 febbraio – che sapeva di sfida da andare a vincere quasi certamente – complice anche il coprifuoco che costringe gli italiani davanti alla tv – e anche per una sorta di risarcimento per la generosa disponibilità data a fare questo Festival a tutti i costi in un marzo ancora da “zona rossa”. Poi in corso d’opera, complice stanchezza fisica e creativa, i punti di share persi per la strada (10 ad ogni serata con recupero sabato sera) e qualche schiaffetto di troppo, reciproco, la coppia Ama&Fiore è andata in tilt. Il Festival dell’amicizia ha lasciato il posto alla festa della lussuria ostentata, e in un’atmosfera da caos calmo si è inserito lo strano pressing di Rai1 per un ipotetico “terzo atto”. Amadeus per ora ringrazia, e anche a nome di Fiorello, rimanda al mittente un diplomatico «se c’è l’idea si procede. Ne parliamo, vediamo...». Chiarissimo.
Il ritorno sul palco dell’Ariston di Michele Bravi, ha ispirato questo “vocabolario” del 71° Festival che porta lo stesso titolo del bel brano sanremese (2017) del 26enne cantante umbro: Il diario degli errori.
ARISTON Vuoto, per la prima volta dopo 71 Festival. Fiorello c’ha provato a dialogare con le poltrone, ma l’unico che può farlo è il padrone del Teatro, Walter Vacchino, che, senza timore di passare per pazzo ha confessato: «È dal 1977 che parlo con le mie “poltrone intelligenti”».
BAND È stato il Festival dei nomi esotici e senza fine delle band. Passi gli Extraliscio, il danese «chiaro di luna» Måneskin e il politicamente corretto de La rappresentante di lista o il già noto Lo Stato sociale. Ma Coma_Cose no, è troppo. Trattino basso a parte, incubo di tutte le tastiere accreditate, nessuno si è domandato cosa significhi? «Coma è una provocazione specchio dei tempi, Cose», invece, non vuol dire nulla, l’abbiamo messo perché ci stava bene», parola di Fausto e Francesca, i Coma_Cose.
COLETTA Narrazione e perturbamento. Stefano Coletta si conferma il direttore più colto e comunicativo di Rai 1 dai tempi di Marconi. «Ho studiato tanto, ho trent’anni di spettacolo alle spalle», ha rimarcato nella cinque giorni sanremese. Ma allora, in caso di “Amarello 3” perché non pensare a un Coletta terzo coconduttore... Meditate gente, meditate.
D’ORAZIO Amadeus e Fiorello, fino all’alba hanno omaggiato dall’alluce all’illice, dal gorilla al pitone, ma alla fine si sono dimenticati di Stefano D’Orazio. Il batterista, morto il 20 novembre scorso, su quel palco aveva anche trionfato al Festival (1990) assieme ai suoi fratelli Pooh. Vinsero con Uomini soli e noi così ci siamo sentiti vedendo D’Orazio dimenticato, caduto dalla scaletta degli omaggi doverosi.
ELODIE La rivelazione, come coconduttrice e anche come voce extragara. Cinque momenti musicali di Elodie, al posto dei cinque quadri di Achille Lauro (poi ne parliamo) sarebbero stati sicuramente più graditi anche dal pubblico. E poi, la sua Andromedagiustifica forse la frase colettiana «è stato un Sanremo epico»?
FEDEZ Parte del successo dei Måneskin lo si deve alla rivolta popolare al televoto contro la potente ditta social “Ferragnez” (Ferragni-Fedez). La moglie del rapper, Chiara Feerragni, ha fatto il suo lavoro di influencer per portare al primo posto il marito e Francesca Michielin, e il popolo dei giovani ha fatto il suo hackeraggio legalizzato incoronando la rockband. Quindi, Zitti e buoni.
GAUDIANO Cronaca di una vittoria annunciata nelle Nuove Proposte, almeno per noi di Avvenire. La sua Polvere da sparo però non fa rumore: troppo silenzio attorno a una sezione giovani che va ripensata e soprattutto valorizzata.
HIT Sarà interessante vedere, da qui a un mese, quanti di questi 26 brani sanremesi diventeranno delle hit. Nelle ultime edizioni, passata la sbornia degli ascolti della settimana festivaliera il destino delle canzoni è stato l’inevitabile oblio. Ma Colapesce- Dimartino con Musica leggerissima si candidano già a prossimo tormentone estivo.
IRAMA Ringraziamo Irama per aver reso ancora più unico questo Festival al tempo del colera virus. La “Vad”, “Vittoria a distanza”, non c’è stata, ma le sue esibizioni registrate, oltre a fare giurisprudenza sono già un capitolo di storia della canzone italiana.
LINDO Assenza più acuta presenza quella del mistico rock Giovanni Lindo Ferretti. L’ex leader dei CCCP e dei CSI è stato il più presente nella serata dei duetti. E che Manuel Agnelli possa conoscere Amandoti ci sta, mentre ha fatto un certo effetto sentirla suonare e cantare dai Måneskin. Splendida, ma incompresa, l’altra cover lindoferrettiana Del mondo, eseguita da Max Gazzè e Daniele Silvestri.
MANESKIN Il trionfo del rock e della meglio gioventù che la suona (80 anni in quattro). Proclamati vincitori dal pubblico giovane di Sanremo, collegato in massa da casa via tablet e cellulare, più che via cavo, come invece i loro genitori divanati davanti alla tv. Storica anche la presenza di una bassista nella band, Victoria De Angelis, sua anche l’idea del nome Måneskin, in quanto figlia di mamma danese.
NUMERI Più numeri dati, rispetto a quelli visti sul palco, da parte della Rai social club che festeggia l’edizione più multimediale della storia: 120% in più di pubblico giovanile (tra i 14-24 anni), 5,4 milioni di interazioni (60% via Twitter), 1 milione alla notizia della vittoria dei Måneskin. In cassa 38 milioni di euro di raccolta pubblicitaria (uno più del 2020), ma a noi la cifra che più impressiona sono i 5.300 tamponi fatti dagli addetti ai lavori di Sanremo (9 i positivi). Soldidi Mahmood l’abbiamo risentita, ma la cover giusta sarebbe stata la morandiana “Banane e tamponi”.
ORIETTA Sanremo non è una passeggiata di salute per nessuno, ma Orietta Berti a 77 anni l’ha affrontato da usignolo svolazzante. Per stare al passo con i tempi l’Orietta nazionale è diventata anche virale in Rete quando ha detto di voler «duettare con “Ermal Metal” e i “Naziskin”». Gaffe? Oppure sue trovate comiche, data anche la vicinanza settimanale con il direttore di “Novella Bella” Nino Frassica?
PALLOTTINO La grande assente, Paola Pallottino. Ricordare i 50 anni di 4 marzo ’43 ( Gesubambino), la canzone simbolo di Lucio Dalla senza nemmeno nominare l’autrice del testo è stata una clamorosa dimenticanza. Tanto più che la sera del terzo posto e della cosiddetta “vittoria morale” della canzone in quel lontano 1971, a Paola Pallottino venne anche assegnato il premio per il miglior testo da una speciale commissione presieduta da Mario Soldati. Da Bologna la Pallottino “ringrazia” sentitamente.
QUADRI Il tallone d’Achille del Festival è lui, Lauro. Chiamare “quadri” le esibizioni di un post- sorcino è un insulto all’arte vera. Sul «Personaggio» (vox populi da sondaggio lo definisce così, e non artista) abbiamo detto e scritto fin troppo, scusateci, ma verrebbe da chiedere, citando Marco Masini: Achille, perché lo fai?
RANUNCOLI La presenza di questi splendidi fiori che Sanremo esporta in tutta Europa ha reso colorata e meno grigia una sala stampa del Casinò bella e spettrale, fatta di panelli in plexiglass a dividere le postazioni dei giornalisti “sopravvissuti”, passati da 1.400 (nel 2020) ad appena sessanta presenti.
SPINE Fiorello, anche quando rende al 50%, come in questo Festival, rimane il miglior showman italiano, anche perché, siamo onesti, gioca a porta vuota da anni. Però la corona di spine di Gesù per giocare a fare il “gggiovane” maledetto con Achille Lauro, fa intervenire anche gli esorcisti. Rifiorisci vecchio Fiore, così non va.
TENCO Quando hanno fatto ricantare Renga, per problemi di audio, abbiamo temuto che anche Barbara Palombelli chiedesse di ripetere il suo monologo per ridire: «Pensate che Luigi Tenco, proprio qui, giocando con una pistola ha trovato la morte...». La famiglia del cantautore, morto a Sanremo nel 1967, ha risposto alla Palombelli: «Ci è sembrato strumentale e irrispettoso dei valori umani ed artistici del nostro amato Luigi». Solidali.
ULTIMO A volte chiamarsi Ultimo è sinonimo di cantante di successo. Chi è arrivato ultimo a Sanremo poi è diventato una rockstar, vedi Vasco Rossi. L’ultimo classificato di Sanremo 2021 è Random, ma nel suo caso, giacca a parte che rimandava a un quadro di Pollock, l’arte canora difficilmente in futuro lo vedrà primeggiare. Quel nome, Random, sa davvero di cantante un po’ «per caso». Felici di essere smentiti.
VANONI A 86 anni la vera eroina, la temeraria del Festival dell’era Covid, è stata Ornella Vanoni. Molti suoi illustri e più giovani colleghi per paura dei contagi non se la sono sentita di affacciarsi all’Ariston, Ornella sì, e ha emozionato specie quando ha ricordato a dovere Luigi Tenco con una struggente interpretazione di Mi sono innamorato di te.
WILLIE Bisogna essere sotto effetto Peyote, caro Willie, per insultare, gratuitamente, i colleghi Renga e Ermal Meta. C’era piaciuta la sua Mai dire mai e pensavamo che Willie Peyote fosse l’antirap dal pensiero positivo, mentre invece lo “stile” è quello di un piccolissimo Eminem della Barriera torinese.
ZLATAN «Il fallimento non è il contrario, ma una parte del successo», unica frase e fase di gioco in cui Zlatan il terribile, condannato dagli autori a fare l’Ibrahimovic-Celentano, è stato se stesso al Festival. Se la sua presenza è servita, come ha detto, a donare 250mila euro in «charity», allora concediamogli il bis. Applausi per Ibra!