L'INTERVISTA. Ferlaino: «Io, Maradona e il Napoli di nuovo grande»
«Ad essere precisi, due coppa Italia, la prima la vincemmo nel 1976, sette anni dopo che avevo rilevato la società da Achille Lauro. Lui era un carismatico, capace di radunare 100mila napoletani a piazza Plebiscito per un comizio elettorale. Io ho sempre evitato la politica. De Laurentiis somiglia a Lauro? Andiamo avanti, su...». No, piuttosto andiamo indietro, a quando fece l’affare-Napoli. «Il calcio che ho vissuto io era un business al contrario. Dal botteghino e con gli abbonamenti, allora uniche fonti di guadagno, incassavamo sui 25 miliardi di vecchie lire, ma per pagare gli stipendi ai calciatori e le spese di gestione tiravo fuori 35 miliardi a stagione. Fate voi i conti…».
A leggerla così sembra la trama di miseria e nobiltà. «Era un calcio più povero, però era un mondo ancora ricco di umanità, di lealtà e anche più pulito ». Obiezione Ingegnere: ma come più pulito, se nel 1980 scoppia il primo scandalo del Calcioscommesse? «Nulla rispetto alle organizzazioni internazionali che stanno dietro all’ultima Scommessopoli. Purtroppo anche allora era stata la malavita napoletana a mettere in piedi quel traffico di partite truccate. Io sono sempre stato per un calcio valoriale e ho pagato con continue minacce da parte della camorra... Paura? Certo, ma ho sempre risposto con il coraggio delle mie azioni».
Un temerario Ferlaino che l’estate del 1984 riuscì a strappare alla concorrenza di mezzo mondo il «sì» di Diego Armando Maradona, portato sotto il Vesuvio per la cifra record di 13,5 miliardi di lire. Preso praticamente per tutto “l’oro di Napoli” e così ci fu chi parlò di “schiaffo alla miseria popolare”. «Maradona fu l’investimento di una società privata e non un sacrificio da lacrime e sangue a carico dell’ente pubblico, il quale oggi come allora, non provvede ai bisogni di una città in cui manca tutto...», ribatte Ferlaino. Ma a quel suo Napoli, in campo non mancava proprio niente. «Per trent’anni mi sono occupato della società 24 ore su 24 e in prima persona, perché non mi fidavo di nessuno… No vabbè, massima stima per ottimi collaboratori come Italo Allodi e Luciano Moggi.
Moggi era l’anima nera del nostro calcio? Io conosco solo il Moggi di Napoli, dirigente bravo e di successo, anche perché facevo tutto io...- ridacchia - . Per me fare il presidente voleva dire metterci sempre e comunque la faccia». Dall’album dei ricordi riappare il volto radioso e commosso dell’Ingegnere che esulta per il primo storico scudetto del 1987. Una festa epica con tanto di minicrociera del Golfo, a bordo di una nave in cui c’erano solo il presidente e la squadra. «L’unico “straniero” era Massimo Troisi (l’aveva portato Ciro Ferrara) che è stato l’ultimo grande esempio di napoletanità...».
L’anno seguente, era previsto un bis annunciato e invece il Milan vinse in rimonta al San Paolo (3-2) e completò la rincorsa con il sorpasso tricolore. Una sconfitta che ancora brucia e che ha generato il sospetto, mai sopito, che in quel crollo improvviso ci fosse la mano criminale della malavita. «È il sospetto che hanno avuto tutti e naturalmente anch’io… Però mi sono consolato con lo scudetto del ’90, quando eravamo noi a rincorrere il Milan e poi l’abbiamo superato. Mi piace pensare che nel calcio come nella vita, i ruoli a volte si invertono e che in fondo successo e fallimento camminano sempre a braccetto sopra a un filo sottile». Filosofia dell’uomo che ha creduto che «le vittorie del Napoli fossero un riscatto sociale per città» e del presidente di «un club del Sud che per la prima volta poteva lottare alla pari e addirittura sconfiggere i grandi potentati del calcio del Nord… Quando il Napoli ha cominciato a vincere a Torino contro la Juventus, sono arrivati anche gli scudetti».
Quando però la luce luminosa del genio di Maradona si è spenta, è iniziato il lento declino, con tanto di scheletri nel ventre di Napoli: dal doping a ai guai fiscali. «Delle pompette con l’urina “pulita” che i compagni prestavano a Maradona per farla franca all’antidoping l’ho saputo dopo… Un presidente di calcio è come il marito a cui la moglie fa le corna, è sempre l’ultimo a venire a conoscenza dei fattacci. Il doping l’ho scoperto nel ’91, quando Diego fu trovato positivo. L’evasione dei 40 milioni di euro? Nasce da un vecchio contenzioso su un contratto per i diritti di immagine che facemmo stipulare a Maradona, Careca e Alemao: quest’ultimi due firmarono le carte del ricorso, Diego no. Ecco come si ritrova ancora con quella faccenda tutta aperta, quanto assurda, come certe reazioni…».
Un finale di partita che ha incrinato i rapporti tra il padre patron e il suo figliol prodigo. «Cosa prova Maradona per me? Mi vuole bene un giorno sì e l’altro no, ma Diego è fatto così, è un eterno scugnizzo. Io invece gli sarò sempre grato per tutto quello che ha fatto per il Napoli. C’è stato un momento che l’ho “imprigionato” e pur di tenerlo ho rinunciato alle vagonate di miliardi che mi offriva il Marsiglia di Tapie. Come potevo lasciare andare un genio del genere? Andato via Diego è stata dura...». Ma vent’anni dopo l’epopea maradoniana, il Napoli è tornato ai vertici e il popolo sogna con la squadra di Rafa Benitez: «Grande tecnico e napoletano nell’anima, a differenza di Mazzarri che comunque ha fatto bene». Una squadra che sta stregando tutti, ma che Ferlaino segue solo alla tv: «Perché la partita si vede meglio in poltrona, a casa. Al San Paolo ci sono tornato una sola volta, l’8 ottobre scorso, per l’intitolazione della sala stampa al compianto Carlo Iuliano, dirigente e addetto alle pubbliche relazioni del mio Napoli».
Domani sera dunque, solito rito davanti alla tv per uno Juventus-Napoli che gli ricorda: «Il duello tutto genio tra Platini e Maradona e quel gran signore di Giampiero Boniperti con il quale condividevamo l’abitudine di lasciare la tribuna alla fine del primo tempo. Per me era una scaramanzia crociana, della serie: non è vero, ma ci credo. La fede? L’ho trovata anche in campo, nella profonda religiosità di Alemao». Quel Napoli per Ferlaino rimane una fede. Di questo di Higuain e Hamsik spera «che batta la Juve e nonostante la concorrenza che è aumentata, riesca a conquistare lo scudetto. Quanto ci vorrà perché questo Napoli vinca tanto quanto il mio? Ah, dovete chiederlo a De Laurentiis. Andiamo avanti su…».