Storia. Così Federico II e Al-Malik governavano il mondo costruendo la pace
L'incontro tra Federico II e Al-Malik in una miniatura per la "Nova Cronica" di Giovanni Villani (1348)
Le Marche celebrano Federico II di Svevia ad Ancona (11-14 aprile) e Jesi (9-11 maggio) conl primo festival di storia dedicato alla figura di Federico, curato da Fulvio Delle Donne e dal titolo: “Stupor Mundi. Cercare la pace e stupire il mondo”. Questa prima edizione propone lezioni di docenti universitari come Franco Cardini, Agostino Paravicini Bagliani, Umberto Longo, Amedeo Feniello, Alessandro Vanoli, Laura Minervini, Annick Peters-Custot, Oleg Voskoboynikov, Antonio Musarra. Qui anticipiamo in sintesi la lezione di Marina Montesano; programma completo su www.festival-stupormundi.it.
Nel 1229, Al-Malik al-Kamil governava come sultano un vasto territorio che andava dall’Egitto alla Siria, e includeva dunque la Terra Santa. La sua dinastia, detta ayyubide, aveva conosciuto una straordinaria ascesa grazie a suo zio, Salah ad-Din Yusuf ibn Ayyub, per gli occidentali Saladino, generale curdo al servizio dei governanti zengidi di Mosul. Egli aveva creato il sultanato ayyubide nel 1171 grazie alla conquista dell’Egitto, riportato all’islam sunnita dopo la lunga parentesi del califfato fatimide sciita.
Fu un buon governo, quello degli ayyubidi, che mantennero una forte infrastruttura militare e politica, in grado di resistere alle minacce esterne, tra cui le invasioni crociate e le incursioni mongole. Stabilirono relazioni diplomatiche con gli Stati vicini e si impegnarono in alleanze e trattati per salvaguardare i loro territori. Allo stesso tempo, il periodo fu testimone di significativi progressi culturali e intellettuali. Al-Kamil sponsorizzò numerosi studiosi, poeti e artisti, contribuendo alla fioritura delle attività intellettuali e artistiche durante il suo regno. Egli attirava presso la sua corte del Cairo studiosi provenienti da varie parti del mondo islamico. Fornì loro risorse, tra cui biblioteche e stipendi, per condurre ricerche e studi. Questi studiosi contribuirono al progresso in campi come la teologia, la legge, la filosofia, la medicina e l'astronomia. Inoltre, egli sosteneva iniziative di traduzione, in particolare dal greco e da altre lingue, all'arabo. Uno sforzo atto a facilitare la trasmissione del sapere dalle antiche civiltà al mondo islamico, favorendone la crescita intellettuale e l'innovazione. Sotto di lui, il Cairo divenne un centro di attività letteraria e poetica, oltre a sponsorizzare la costruzione di moschee, madrase, palazzi e altri progetti architettonici. La corte di Al-Kamil era nota per il suo carattere cosmopolita e accoglieva studiosi e artisti provenienti da contesti culturali diversi. Questa atmosfera di scambio culturale favoriva la tolleranza e la comprensione tra le diverse comunità religiose ed etniche del suo regno.
Sull’altra sponda del Mediterraneo, in Italia meridionale, contemporaneamente al sultanato di Al-Kamil, regnava Federico II, re di Sicilia a soli quattro anni, nel 1198, e dal 1220 incoronato imperatore. Il lettore avrà riconosciuto, nello specchio del sultanato ayyubbide, molti dei caratteri di fondo del regno di Federico. La sua corte era un centro d’irradiazione di novità e di sperimentazioni culturali. La scuola poetica siciliana era sì debitrice della tradizione provenzale dei trovatori, ma a quell’influenza aveva unito i caratteri della tradizione lirica araba, sviluppata nell’isola dalla dominazione islamica e poi anche in epoca normanna. Lo stesso Federico II e i suoi figli Enzo e Manfredi poetarono, insieme a figure di spicco quali Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, Cielo d'Alcamo, Jacopo da Bologna.
Presso la curia federiciana convennero studiosi tra i più notevoli del tempo, come il filosofo e astrologo Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele; l’arabo cristiano Teodoro; l’enciclopedista ebreo Juda ben Salomon Cohen. Il sovrano ordinò la fondazione dello Studium napoletano di diritto e curò la scuola medica salernitana. Continuò la tradizione normanna di edificare castelli, spesso aggiungendo nuove strutture alle precedenti, ma edificò dal nulla il capolavoro di Castel del Monte. Come tutti gli aristocratici del suo tempo era amante della caccia, ma Federico stesso fu autore di un celebre trattato di falconeria, il De arte venandi cum avibus, nel quale immise il frutto della sua straordinaria capacità di osservazione.
Insomma, Al Kamil e Federico II avevano molto in comune fra loro, ed è per questo che il loro incontro durante quella che siamo soliti chiamare “sesta crociata” diede vita a qualcosa di nuovo: invece di combattere, i due sovrani si accordarono per negoziare lo status di Gerusalemme senza spargimento di sangue. Federico II andò all’incontro in una posizione particolare; poiché non si decideva a partire per la spedizione, Gregorio IX l’aveva scomunicato, e i suoi nemici in Italia avevano invaso il regno di Sicilia. Anche la pace con il sultano non piacque: si sarebbe preferita la guerra, invece del Trattato di Giaffa che nel 1229 poneva fine alle ostilità e permetteva ai cristiani di riprendere il controllo di Gerusalemme, acquisito dai crociati con una strage nel 1099 e perso per opera del Saladino nel 1187. Il trattato garantiva ai cristiani l'accesso ai luoghi santi di Gerusalemme, compresa la chiesa del Santo Sepolcro, il rilascio dei prigionieri e un passaggio sicuro ai pellegrini. In cambio Federico non proseguiva nella guerra. Sia chiaro: nessuno dei due era un idealista; entrambi avevano dimostrato di saper tenere saldamente il potere, anche con il pugno di ferro. Nel 1225, Federico aveva contrattato un'alleanza matrimoniale con Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme: ne avrebbe sposato la figlia ed erede Isabella II. Dopo aver negoziato il trattato di Giaffa con il sultano, Federico si recò a Gerusalemme per affermare la sua pretesa al trono. Il suo matrimonio con Isabella II e il suo status di consorte fornirono la base legale e politica per la sua incoronazione come re di Gerusalemme. Dunque, l’interesse politico entrò certamente nel patto fra i due, che non vanno scambiati per “pacifisti”, termine che all’epoca non avrebbe avuto senso; entrambi, però, considerarono che l’assenza di guerra, per una questione che si poteva risolvere altrimenti, fosse una buona mossa. In fondo, trattative e paci non si stipulano forse fra nemici?