Dantedì. Fede e ragione: è l'eredità di Dante
Henry James Holiday, “Dante Alighieri”
Tra Aristotele e Paolo di Tarso con la mediazione di Tommaso d’Aquino: il rapporto virtuoso di Fides e Ratio innerva tutta l’opera dantesca e traccia la strada per la riflessione contemporanea Se nell’umanesimo cristiano contemporaneo volessimo scegliere due encicliche papali che circoscrivono il rapporto Ragione-Fede, potremmo indicare l’alfa nella Fides et Ratio (1998) di Giovanni Paolo II e l’omega nella Lumen Fidei (2013) di Francesco, collocando al loro interno la riflessione di Benedetto XVI, fin da Fede e futuro (I ed. tedesca 1970). Quanto codesti riferimenti ci introducano al pensiero di Dante è dimostrato dall’enciclica Candor Lucis aeternae (2021)di papa Bergoglio. Il contesto temporale in cui matura la weltanschauung di Dante poeta-filosofo coincide col decennio successivo alla morte di Beatrice: è l’inizio di un percorso trasformante l’Aversio in Conversio, che approderà, col Paradiso, all’“invasamento sapienziale del Poeta teologus” (I. Baldelli 1978), Dante lo racconta così: « Io che cercava di consolarme, trovai non solamente a le mie lagrime rimedio, ma vocaboli d’autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene (…) la filosofia (…) E imaginava lei fatta come una donna gentile (…). E da questo imaginare cominciai ad andare là dov’ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti» . ( Conv II , xii, 5-7). Pertanto, nella cornice del razionalismo aristotelico, commentato da Tommaso d’Aquino, è possibile inquadrare il rapporto fede- ragione: «Quelle operazioni che sono proprie de l’anima razionale, dove la divina luce più speditamente raggia […] Ella [la ragione] è utile a tutte le genti, dicendo che l’aspetto suo aiuta la nostra fede, la quale più che tutte l’altre cose è utile a tutta l’umana generazione». ( Conv III, vii, 815). « Da ciò consegue che alla beatitudine terrena si giunge per phylosophica documenta […] mentre alla beatitudine celeste si giunge per documenta spiritualia » ( Mon III, xvi, 8). Nello stesso decennio 1290-1300 Dante “attraversa” la sua rivoluzione spirituale, costruendo una prospettiva cristologica, “immagine dell’uomo nella visione di Dio” ( Candor Lucis aeternae, 6). Nella Commedia il percorso intellettuale procede parallelamente a quello spirituale, il primo guidato da Virgilio-Ragione, il secondo da Beatrice-Teologia, fino alla contemplatio Dei di san Bernardo- Fede. Il mediatore, in codesto percorso, è san Paolo, evocato alle soglie dell’Inferno: « Io non Enea io non Paulo sono» ( Inf II, 32), poiché la discesa di Cristo agli Inferi era stato argomento dibattuto da Tommaso ( Summa Theol. III, q.52, 1-8), tanto quanto la Visio Pauli ( Disp. De Veritate – 1 Qu.13, art.2 ), nota a Dante come la Lettera (2Cor 12, 2-4), in cui Paolo allude al suo rapimento in Cielo. Nella conversio di Paolo Dante “legge” la metafora della sua esistenza: la mente umana folgorata dalla Mente divina. Il punto di partenza del tragitto Aristotele-Paolo è la selva oscura, in cui Virgilio-Ragione, persuaso da Beatrice, accetta di “salvare” Dante. Sulle tracce di Aristotele, gli illustrerà l’ordinamento morale dell’Inferno: « Non ti rimembra di quelle parole / con le quai la tua Etica pertratta/ le tre disposizion che ‘l ciel vole? (…) Filosofia, mi disse, a chi la ‘ntende, / nota (…) / come natura lo suo corso prende dal divino ‘ntelletto e da sua arte». ( Inf XI, 16-66 e 97-100). Successivamente, nell’ordinamento morale del Purgatorio, il razionalismo aristotelico cederà il passo alla teologia dell’Amore: « L’amor del bene, scemo / del suo dover, quiritta si ristora» ( Purg XVII, 85-86), poiché «matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer la infinita via / che tiene una sustanza in tre persone » ( Purg III, 34 36). Seguendo codesta direzione, il richiamo a Paolo torna nell’esame teologico, in cui ratio e fides si intrecciano, davanti a san Pietro, emblema della fede: « Scribit autem Matheus, cum Iesus interrogasset discipulos: “Quem me esse dicitis?”, Petrus ante omnes respondisse: “Tu es Cristus filius Dei vivi”» ( Mon III, 910). Dante sceglie lo schema della disputatio scolastica, affinché emerga con chiarezza il nesso fede-ragione: «Come ’l verace stilo / ne scrisse, padre, del tuo caro frate [san Paolo] (…) fede è sustanza di cose sperate/ e argomento de le non parventi» ( Par XXIV, 61-65). Fonte dell’assioma è ancora Paolo ( Hebr., 11,1), ma sustanza è anche tecnicismo aristotelico, la categoria prima, è Dio, in cui Dante crede «e a tal creder non ho io pur prove / fisice e metafisice, ma dalmi / anche la verità che quinci piove / per Moisè, per profeti e per salmi, / per l’Evangelio e per voi che scriveste /(…) e credo in tre persone etterne, e queste / credo una essenza sì una e sì trina» ( Par XXIV, 133-140). Negli ultimi canti del Paradiso, la Fede si congiunge, in mistica comunione, con la Ragione, impedendo ogni umana distinzione. Quando ciò avviene Dante può “vedere” Dio e, come san Paolo (At XXII, 6), ne è folgorato: «Come subito lampo che discetti / li spiriti visivi, sì che priva / da l’atto l’occhio di più forti obietti, / così mi circunfulse luce viva, / e lasciommi fasciato di tal velo / del suo fulgor, che nulla m’appariva ». ( Par XXX, 46-51). Al suo fianco c’è san Bernardo, che gli illustra la struttura cristologica dell’Empireo ( Par XXXII, 109-138): da una parte i Credenti in Cristo venturo, dall’altra i Credenti in Cristo venuto. Alla fine del viaggio la ragione umana si arrende alla Visio Domini, eppure, anche allora, Dante riconosce nei «tre giri / di tre colori e d’una contenenza » le sembianze dell’Uomo-Dio: «Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume reflesso, / (…) dentro da sé, del suo colore stesso / mi parve pinta de la nostra effige» ( Par XXXIII, 127131). La prospettiva cristologica si manifesta così nello stretto legame tra Fede e Ragione: «Solo in Cristo è la soluzione (…) è lui la “verità che tanto ci sublima” (Par XXII,42). (…) Con la fede, l’uomo dona il suo assenso a tale testimonianza divina. Ciò significa che riconosce pienamente e integralmente la verità di quanto rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. Questa verità (…) spinge la ragione ad aprirsi ad essa e ad accoglierne il senso profondo» (Giovanni Paolo II, Fides et Ratio).