Laureata in teologia, insegna matematica: come conciliare queste due "anime" apparentemente così lontane fra loro? Judith Povilus risponde senza esitazione: «Mi trovo bene in ambedue i campi: nessuna schizofrenia. Andando ai fondamenti, hanno molto da dirsi reciprocamente. Il vincitore del Premio Wolf della matematica, Ennio De Giorgi, diceva che ogni ramo del sapere può essere per la matematica fonte d’ispirazione e viceversa. Metodo di ricerca e oggetto dello studio sono diversissimi, ma la verità è una, come lo è l’anima di chi la cerca sinceramente». Nel 1968 si è laureata in matematica nella sua Chicago, successivamente ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense. «Sono stata la prima donna a laurearmi lì, almeno così mi hanno detto», si schermisce. Ora è impegnata come docente di logica e fondamenti della matematica all’Istituto universitario Sophia nella cittadella di Loppiano, vicino a Firenze. Da quasi cinquant’anni è membro del movimento dei Focolari e si dichiara «seguace di Chiara Lubich, donna ben conosciuta nella Chiesa cattolica (e non solo) per l’opera che ha fondato, e per il carisma dell’unità di cui è portatrice. La ricchissima esperienza mistica che ne stava alla base e che negli ultimi decenni della sua vita aveva condiviso sistematicamente con un gruppo interdisciplinare di studiosi, con lo scopo di enucleare nei vari campi la dottrina che ne sgorgasse, ha profondamente influito su di me».
A suo parere, le donne hanno lo spazio che meriterebbero per le loro competenze nel mondo delle discipline scientifiche e teologiche?«Mi sembra che cambi da luogo a luogo. A mio avviso, negli Stati Uniti e in molti Paesi europei (soprattutto del Nord) le donne hanno dimostrato la loro competenza nelle discipline scientifiche e, in alcuni casi, anche in quelle teologiche. In Italia le cose vanno più lentamente; in particolare, fino a poco tempo fa il contributo femminile nella teologia era molto ridotto e a volte sembrava quasi "indesiderato". Peccato, perché un approccio "al femminile" (come da un altro verso anche l’approccio di culture non occidentali) potrebbe contribuire molto ad arricchire la teologia».
Lei ha scritto il saggio "Più in alto, più in dentro: spunti sul concetto matematico di infinito": la logica e la ricerca filosofica possono sfiorare la fede?«Come Giovanni Paolo II ha scritto nell’enciclica
Fides et Ratio, anche se ci sono diverse forme e livelli di verità, essi non possono contraddirsi, perché la verità è una. Fede e ragione sono intimamente legate. La logica, interrogandosi sui limiti della conoscenza, e la ricerca matematico-filosofica sulla relazionalità alla base del mondo creato, possono trarre ispirazione dalla natura di Dio amore e dal mistero della trinità. Il saggio da lei citato va dall’infinito matematico a considerazioni teologiche e mistiche. Mi ha sorpreso, durante un convegno internazionale sull’ "Infinito", sentirlo apprezzato proprio nel suo riferimento mistico».
In quali autori si dispiega la relazione tra matematica e mistica?«La mistica fa assaporare con i sensi dell’anima delle realtà sovra-razionali (ma non irrazionali), come quella della Trinità. Nello studio dei suoi fondamenti la matematica - non solo nel senso di strumento per fare i calcoli - ci porta alla soglia del mistero, "dal di sotto", per così dire. Già Cusano, nel tardo Medioevo, fa un notevole tentativo in questo senso nel libro
La dotta ignoranza: è cosciente che non potremo mai conoscere pienamente in modo razionale il mistero della trinità. Tuttavia è convinto che la matematica (scienza di somma astrazione) può essere un aiuto per avvicinarsi con la ragione a tale mistero, anzi la vede come "la" via per eccellenza. Ma anche il grande teologo Agostino, a cui non sono mancate intuizioni mistiche, sulla scia di Platone considera sapienza e numero intimamente congiunti, anzi come "una sola e medesima cosa". Non dimentichiamo che Platone è arrivato alla sua intuizione dell’Uno come sommo bene e fondamento della verità, partendo da concetti matematici. Venendo ai nostri tempi, accenno alla mistica e filosofa Simone Weil, sorella di un noto matematico che l’ha fatta penetrare nei fondamenti del suo campo; per lei la contemplazione dei principi primi della matematica, in particolare delle contraddizioni che ivi si presentano, "strappa via" dal mondo e attira verso la luce».
Ha compiuto una ricerca storica sulla connessione fra matematica e sapienza cristiana: può sintetizzarne alcuni aspetti?«Se per sapienza intendiamo il vedere le cose per quanto possibile con lo sguardo di Dio, proiettando poi questo sguardo sul mondo, direi che il mistero trinitario e il modo di relazionarsi alla Trinità stanno al cuore del discorso. Durante la storia grandi teologi come Bonaventura e Tommaso d’Aquino, e pensatori come Cusano, non esitano a riflettere sul tema da vari punti di vista. In seguito c’è un apparente scissione fra matematica e sapienza, ma argomenti come l’infinito matematico e il "continuum" portano matematici come Cantor e Gödel a profonde riflessioni che sfociano in Dio».
Da cosmopolita, ha insegnato negli Stati Uniti dalla fine degli anni Sessanta, ha studiato il tedesco e il giapponese, ha viaggiato molto: secondo lei le donne credenti hanno voce nelle Chiese locali?«La mia impressione, senz’altro parziale, è che la situazione dei laici nelle Chiese locali varia molto da luogo a luogo per numerosi fattori, storici e sociali. Negli Stati Uniti - per quanto ho constatato - il ruolo dei laici, uomini e donne, si va confermando e consolidando. In Giappone, anche per la struttura stessa della società che si basa su principi di confucianesimo, i laici sono tuttora piuttosto sottomessi, è difficile per loro stessi concepire un ruolo più ampio. In Italia direi che c’è ancora molta strada da fare, ma comunque si può notare in molti luoghi un’apertura da parte della gerarchia e l’impegno da parte dei laici, frutto senza dubbio del Concilio e di una nuova presa di coscienza».
Suggerimenti per valorizzare ulteriormente le donne credenti nel mondo ecclesiale, accademico e no?«Nel mondo ecclesiale dominato dagli uomini è auspicabile che le donne abbiano un ruolo più rilevante e riconosciuto anche per il contributo tipico che possano portare: sottolineando l’importanza della vita e dell’amore scambievole, fonte di ogni ispirazione. Anche nella sfera accademica ci può essere un contributo tipicamente femminile. Mi sembra che spesso le donne vedano il nesso relazionale prima dei particolari e partano da intuizioni profonde per arrivare successivamente a un’analisi rigorosa. Per arricchirsi di questo contributo gli uomini devono essere aperti a un altro modo di ragionare, senza pretendere che la teologia delle donne sia una copia della propria. Fuori dal mondo accademico ci sono tanti segni di una maggiore valorizzazione della donna nella sua specificità, non ultimo l’introduzione di donne in posizione di responsabilità e, recentemente, persino alla guida di un dicastero. Tutto sommamente da incoraggiare».