Il reportage. Il destino di Rio segnato dalle favelas
C’è una canzone di Gilberto Gil, il grande nero bahiano che è stato ministro della cultura di Lula che parla della «circular espresso dois dois dois dois que parte direita de Bon Succeso pra depois», il 222, l’autobus che portava dalla periferia favelada di Rio fino al centro. Prendo il suo sostituto, il 550 che parte da Largo Machado nel quartiere di Laranjeiras, affollato ma centrale, e va verso il Morro do Alemao, La Rupe del Tedesco, una favela di 300 mila persone che si estende a Sud della città.
Sono con due ragazze che ci abitano, Jassira, un nome indio e Patricia che lavorano entrambe nei servizi sociali. E con un architetto italiano che si è trasferito qui per le Olimpiadi, ma che conosce la città in ogni suo angolo più o meno gradevole. Con Francesco Santoro abbiamo girato la cidade maravilhosa (un’altra canzone di Gilberto Gil) e per un novizio come me è una vera iniziazione. Qui un pensiero tropicale determinato da due geni, un paesaggista di origine tedesca, Roberto Burle Marx e un architetto amico di Le Corbusier, il grande Oscar Niemeyer, ha partorito negli anni 50 una città affacciata su una Baia spettacolare e frastagliata di rupi scoscese popolate dalla foresta tropicale. La genialità è stata quella di utilizzare l’incredibile sito naturale accrescendone l’effetto con un’opera titanica di paesaggismo, disegnando spiagge e golfi, un aeroporto sul mare e un lungomare pavimentato come se fosse un immenso tappeto. Burle Marx porta direttamente dalla foresta alberi spettacolari, inventa una cornice di parchi e boulevard.
Tutto questo avviene in pieno boom economico, eppure anche allora la città era per metà favela, dal nome di una pianta invasiva che si trova nel nord del Brasile. È dagli anni ’20 che gli schiavi liberati e le masse povere del nord-est si spostano a Rio e vi si installano proprio su quei morros , su quelle incredibili scoscese emergenze tanto conosciute al pubblico mondiale perché su una di queste, il Corcovado, sorge l’immensa statua del Cristo a braccia aperte. Oggi con le Olimpiadi alle porte Rio è un contrappunto violento di luoghi magnifici e di disperate bidonvilles arrampicate nei posti da cui si gode il paesaggio migliore della città. Peccato che le favelas siano anche il luogo del dominio dei narcos o delle milizie costituite da ex poliziotti che riescono a essere ancora peggio.
Rio oggi conta una cifra incerta di 5 milioni di abitanti e una buona metà sono favelados , con una 'mistura' che salta all’occhio anche di un novizio come me. Perfino la ricchissima Leblon, il quartiere più chic della città che guarda verso la spiaggia di Ipanema, è gravato alle spalle dall’incredibile Vidigal, una delle favelas più arrampicate, con una vista mozzafiato. Chi abita a Leblon sa che deve stare attento a due tipi di irruzione: quello della criminalità, ma anche dei grandi macachi che vivono tra gli alberi della foresta. Se venite a Rio può non capitarvi nulla, ma il senso di pericolosità è diffuso dappertutto, con i tassisti che sbarrano i finestrini e i tanti racconti dei residenti. D’altro canto uno dei meriti di Lula era stato quel riuscire a ridistribuire un po’ della ricchezza del Paese tirando fuori dalla miseria quaranta milioni di persone. È terribile pensare che adesso, per inaccortezza o per colpa di Djilma e del suo partito tutto questo venga rimangiato non solo da una destra emergente, ma da una reale crisi economica. I lavori per le Olimpiadi vanno a rilento, l’estensione della rete dei tram si è fermata, non ci sono più soldi davvero. Così anche i progetti per riabilitare le favelas sembrano arrestarsi.
Con Francesco e le due ragazze arriviamo alle soglie della favela del 'Morro do Alemao'. Qui un architetto argentino, Jorge Mario Jaregui ha progettato una funivia che collega i punti più alti delle varie favelas che costituiscono l’immensa periferia a sud della città. Un’iniziativa volta a spezzare l’isolamento del 'Morro do Alemao' proprio perché la densità con cui qui si è costruito fa dell’insediamento un labirinto inaccessibile e chiuso in sé. Ogni metro quadro è occupato da muri di laterizio e coperture di lamiera. La funivia è un servizio rapido per i residenti e un segno che questo posto non è separato dal resto della città. Mentre sorvoliamo la favela l’impressione che la vera Rio sia questa ne cancella ogni altra. Così anche l’idea che la povertà sia un destino endemico, per quanto come in tutti i posti simili del mondo la gente riesca a vivere e a resistere. Ma qui come in altre favelas, quella di Marè che ho visitato qualche giorno fa, immensa e circondata dal puzzo di un immenso canale che la divide dal resto di Rio, si spara e si è in un mondo a parte. Rispetto alla cidade maravilhosa che ci accoglie al ritorno, nel suo centro liberty degradatissimo, pieno di gente durante il giorno e pericoloso di notte.
Eppure come in un sogno tropicale qui si balla il forrò per strada, il ballo nordestino dei minatori e si canta nei boticos, nei bar dove ci si riunisce informalmente e alla fine si suona un magnifico choro, la musica allegra e lamentosa, ('choro' significa pianto) e il samba solitario dei vecchietti. Viene una grande rabbia e un grande senso di bellezza ferita, forse sta tutta qui la poetica che come europei capiamo appena, quella della saudade , un rammarico rivolto non al passato ma al futuro, un futuro che non arriverà.