Festivaletteratura. Erika Fatland nelle «piaghe emotive» dell'ex Urss
La scrittrice e antropologa norvegese Erika Fatland a Mantova
In Ucraina c’è chi ha compiuto un doppio esodo. Come una collaboratrice dell’antropologa e scrittrice norvegese Erika Fatland, che ieri a Mantova ha parlato dei temi legati ai suoi libri nell’incontro Circumnavigando il vecchio impero. «La sua è una storia forte – spiega –. Da Donetsk, dove di fatto si era instaurata una dittatura e il suo lavoro di aiuto ai giornalisti era diventato pericoloso, è andata a Odessa. A febbraio, dopo la seconda invasione russa, è stata costretta a fuggire di nuovo». Fatland manca dal 2018 dalla Russia, quando ha seguito le elezioni presidenziali e ha fatto un lungo viaggio in treno da Mosca a Vladivostok, andando nelle regioni del Caucaso e in Cecenia, e dall’Ucraina dal 2016. Ma conosce a fondo le popolazioni di tutto l’ex impero sovietico, che ha raccontato in libri come Sovietistan e La frontiera (entrambi editi in Italia da Marsilio).
Lei ha parlato delle «piaghe emotive » lasciate dal precedente conflitto. Nelle popolazioni dell’Ucraina e della Russia c’è una divisione così insanabile? O è solo la propaganda?
Nel mio primo soggiorno di studio a Odessa nel 2007 avevo visto in Ucraina una società divisa. Tra l’Oriente più vicino alla Russia anche dal punto di vista ideologico e la parte occidentale che partecipava più allo spirito di rivoluzione. L’ultima volta invece ho trovato una società più unita, compattata dalla guerra, dal comune nemico russo.
Come viene vissuta la situazione attuale?
Le persone sono molto colpite. Ma non vedo nessuna volontà ucraina di arrendersi, di negoziare, perché le atrocità commesse dalla Russia sono state troppe.
In Russia l’appoggio a Putin è così incondizionato o c’è dissenso?
Molti sono in disaccordo con Putin, soprattutto i giovani. Per questo hanno lasciato il Paese. Ma, pur non avendo statistiche alla mano, la maggioranza lo sostiene. Anche se buona parte della popolazione è fondamentalmente apatica. Non ne vuole sapere nulla della guerra e pensa di non avere alcuna responsabilità. Lo stesso accadeva nel 1999 quando Putin prese il potere, invase la Cecenia e capì il potere dato dal gestire gli organi di informazione.
Quanto pesano eventi storici come l’Holodomor (lo sterminio per fame degli ucraini perpetrato da Stalin), il nazismo, Chernobyl?
Il ricordo dell’Holodomor e, soprattutto, di Chernobyl ha fatto sì che nel 1991 il 90% degli ucraini si sia dichiarato per l’indipendenza dall’Urss. Anzi, credo proprio che Chernobyl e l’indipendenza ucraina abbiano segnato l’inizio della fine dell’Urss. Perché Gorbacëv poteva ancora fare i conti con la perdita dei Paesi baltici, ma la perdita dell’Ucraina fu il passo decisivo. Questi fatti hanno formato l’identità nazionale. A Chernobyl sono stata due volte e ci sono molte persone che ancora soffrono per le conseguenze delle radiazioni. Quello che è terrificante è che rischiamo un’altra Chernobyl a causa della guerra. Non parlo di guerra nucleare, ma proprio di un incidente nucleare.
E il fattore religioso che fattore gioca?
Non ho lavorato su questi temi. Ma ho visitato delle comunità di Vecchi credenti in Siberia, molto conservatori e sostenitori di Putin. Del quale non posso sapere quanto sia credente. Ma il suo partecipare ai principali riti viene apprezzato soprattutto dagli anziani.
Lei ha girato tutti gli “stan” dell’Asia centrale e tutti gli Stati confinanti con la Russia: quanto timore c’è del nuovo imperialismo?
Sicuramente il Paese più a rischio è il Kazakistan. Ha la frontiera più lunga e una popolazione piccola. Inoltre il 20% di essa è di origine russa e vive vicino al confine. Dal governo non ci sono state dichiarazioni di particolare timore, ma hanno iniziato ad allettare alcuni gruppi etnici con incentivi economici, in modo che si trasferiscano e si mischino con la popolazione russa. Dobbiamo anche ricordare che, dopo l’invasione dell’Ucraina, Putin ha dichiarato che il Kazakistan non è neppure un Paese. La stessa dichiarazione fatta per l’Ucraina prima di invaderla. Non ho percepito timore nella popolazione, ma di sicuro nei russi c’è il sentimento di far parte del grande Stato russo, di ricreare la grande patria russa.
Situazioni simili. Altri casi?
La Georgia. Anche lì il 20% del territorio è sotto il controllo russo, pur essendo uno Stato indipendente. I Paesi baltici, infine, fanno parte della Nato e dell’Ue: ciò nondimeno la popolazione percepisce la loro piccolezza a confronto della Russia. E c’è comunque paura, così come in Polonia e in Finlandia.
Come si evolverà il ruolo di un altro grande vicino: la Cina?
Dopo le sanzioni del 2104 la Russia ha guardato ad Est. E quindi intensificato i rapporti con la Cina. I due leader Xi Jinping e Putin hanno celebrato insieme il compleanno. La settimana scorsa sono iniziate esercitazioni militari congiunte. Ma la loro relazione non può essere definita ben equilibrata. La Cina è molto più forte e non vede la Russia con un partner commerciale prioritario rispetto a Usa e Ue. Ma la Russia può offrire risorse. Come la terra. La Cina ha la popolazione, la Russia la terra. La Cina, infine, ha rivolto la sua attenzione all’Artico e in questo la Russia può essere un partner, ad esempio nella costruzione dei rompighiaccio necessari ad arrivare in certe zone. Per la Cina avere una Russia debole non può che essere un vantaggio.
In questo le attuali sanzioni possono danneggiare Putin o colpiscono solo la popolazione?
In generale le sanzioni funzionano nel lungo termine. Di sicuro la Russia mai ha esportato così tanto gas e petrolio e a prezzi così alti. E questo è un vantaggio economico. Però c’è un progressivo isolamento dovuto, ad esempio a questioni come la mancanza di pezzi di ricambio per gli aerei. Le sanzioni funzioneranno, ma forse troppo lentamente a causa della dipendenza energetica occidentale.