La Vie en rose olimpica. Fate e spade azzurre: il bello delle donne per niente fragili
Alberta Santuccio (a destra) durante la finale della spada a squadre femminile vinta dalle azzurre
Professioniste dello sport, donne forti. Brave e cattive. Sciolte, sicure, per niente fragili, a volte un po’ narcise. Sono fatte così le azzurre de la Vie en rose olimpica. Édith Piaf non c’entra: c’è un made in Italy in questi Giochi che suona benissimo da solo. Volteggio e trave, ma anche cappa e spada: gioco di squadra, podi che valgono. L’argento della ginnastica artistica l’altra sera è stato storico, l’oro della scherma straordinario, soprattutto perché arrivato battendo le francesi e un palazzetto bollente che soffiava contro. Sai che soddisfazione.
Ce ne accorgiamo, purtroppo, solo una volta ogni quattro anni. Che bello se invece fossimo capaci di dare spazio anche lontano dai Giochi alle piccole fate azzurre: le chiamano così, anche se qui c’è più volontà che magìa. Spazio alle 50 sfumature di rischio, alla nuova quota cento. A Manila, Giorgia, Elisa, Alice, Angela. Per accorgerci che ci sono picchi di talento meravigliosi: di stile e di coraggio. Con le nostre ragazze, donne, atlete, campionesse, sempre pronte a buttarsi, a confrontarsi, ad andare controvento. E’ l’Italia femmina di Manila Esposito, napoletana di Boscotrecase,17 anni, in assoluto la più giovane di tutte le azzurre che il Coni ha portato a Parigi. Perfetta nel doppio avvitamento del volteggio, molto meno nel corpo libero. « Ho avuto paura che la mia prova lì compromettesse tutto, per fortuna non è stato così». Da piccolissima volevano farle fare la ballerina classica. « Ma alle punte mi sono sempre opposta: stavo seduta a terra e mi rifiutavo di fare lezione. L’ho vinta io: la ginnastica invece mi piaceva, a 5 anni ero già in palestra. A 8 facevo già tre ore di scuola e 6 di allenamento, tutti i giorni. E sono sempre stata felice di farlo».
Idee chiare, volontà di ferro. « Abbiamo dato la nostra adolescenza per essere qui», ripetono in coro le altre fate, Giorgia Villa, Elisa Iorio, Alice Damato e Angela Andreoli. Corpo libero, la vita invece per niente. Poi arriva una medaglia a dare un senso a tutto o quasi, 96 anni dopo la prima in questa disciplina. Sono fatine con le rughe un po’ feroci sugli zigomi: gesso sulle mani, corpi che si piegano, menti che si flettono. Cuore di ferro, piccole donne. Impossibile capire quanto costa atterrare con un piede solo su una trave larga 10 centimetri dopo un salto mortale. L’altra sera nella Bercy Arena sfilavano chignon spettinati dalle emozioni, mascara un po’ colanti, mini ventilatori per fissare il trucco da bambola sconvolto dai fremiti di una gara bellissima. «Ci metteremo un po’ a realizzare cosa abbiamo fatto», sospirava Manila. « Io alle parallele mi sento libera», sussurrava Elisa. Nessuna ha sorriso prima della fine, mai. Concentrate, cattive, con un solo pensiero in testa.
Meglio prendere nota: la ragazza italiana nello sport è cambiata, vuole e pretende, non si accontenta. È femminile, ma aggressiva, è bambina, ma decisa. Sa aspettare, programmare, uccidere sportivamente. Inchiodare avversarie e stress non è più un problema. Poi torna a casa, ad occuparsi di sé, della sua vita, magari anche a divertirsi. E a sognare la prossima Olimpiade. A cadere, a rialzarsi, a vincere. A essere storia e coscienza, anche scanzonata, di un'Italia, fatta di sorelle diverse, dai caratteri opposti magari, ma unite nel destreggiarsi tra i pregiudizi. E nella volontà di lasciarsi il mondo dietro, di staccarlo e surclassarlo. Come hanno fatto le ragazze della spada, che vincono all’ultima stoccata contro la Francia. Rossella Fiamingo, Alberta Santuccio, Giulia Rizzi e Mara Navarria: segnamoceli questi nomi perché hanno infilzato quattro avversarie e ottomila spettatori ostili e urlanti dentro un Grand Palais che tremava a ogni punto. Il loro è un oro che abbraccia, che spazza via i venti malsani di disunità d’Italia, un capolavoro davvero di squadra. Due siciliane e due friulane. Non più solo figlie, fidanzate, mogli. Corpi tatuati, come la volontà. Muscoli da prestazione, ma anche da copertina. Piercing e social, vezzi della modernità. Pochi lamenti e rimorsi, perché il segreto per vincere è quello di imparare a perdere.
Alberta Santuccio è quella che ha piazzato la stoccata della vittoria contro la Mallo Breton: «Eravamo solo io e lei. Non pensavo, attaccavo. Mi sono isolata per accendere la luce, il tifo contro mi ha caricata. Abbiamo vinto perché siamo state unite, sempre. Abbiamo un motto tutto nostro, preso da una canzone di Tiziano Ferro. Lo urliamo prima di ogni assalto: “nella buona e nella cattiva sorte, noi tireremo fino alla morte”. Soltanto adesso penso ai sacrifici che ho fatto, alle tante uscite la sera a cui ho rinunciato. Ma ne è valsa la pena. Cosa farò ora? Penserò a organizzare il mio matrimonio. Finalmente ».
Ecco. Sono donne in guardia, con il rimmel sotto la maschera e le unghie lunghe. Sono ragazze, mamme, signore. Lo sport al femminile è sempre più visibile in Italia, soprattutto perché è il primo a tagliare il traguardo. Tutte diverse ma uguali nel cercare soddisfazione. Gloria, fama, futuro. E capacità di dire basta. Come ha fatto Maria Navarria, che ha già annunciato il ritiro. Ha 39 anni e una famiglia, un figlio piccolo da crescere, ma non farà la casalinga. «Sì, chiudo qui. Sono laureata in Scienze motorie, ho preso un master in Economia alla Sapienza e un altro in Comunicazione. Sono curiosa, qualcosa mi inventerò. Ho pensato al mio bambino, spero che il mio esempio serva a motivare chi pensa che dopo una certa età non si possa più vincere». Forti, coraggiose, donne anche da copertina, e magari da calendario. Che male c’è?
Rossella Fiamingo è fidanzata con Gregorio Paltrinieri: più che della sua medaglia, si parla di questo. Il sito di un grande quotidiano italiano ieri titolava così per raccontala: “è grande amica di Elodie e di Diletta Leotta”. Ecco perché una medaglia d’oro a volte non basta. Ecco perché loro sono diventate grandi, ma noi forse non cresceremo mai.