Agorà

Itinerari. Fascinosi e indiscreti, i racconti dell'Archivio di Stato di Napoli

Annamaria Barbato Ricci martedì 9 agosto 2022

Sala Filangieri

E' la grotta di Alì Babà delle storie non solo del Mezzogiorno, ma, per certi intrecci, del mondo. L’Archivio di Stato di Napoli, situato nell’immenso edificio quattrocentesco di quel che fu il monastero benedettino dei Santi Severino e Sossio, sta cambiando pelle: non solo custode di documenti e riserva di caccia di studiosi e ricercatori, oppure di laureandi in cerca del documento inedito da inserire nella tesi, ma casa delle storie aperta al pubblico, con le sue sale museali e gli spazi coltivati, polmone verde alle spalle del duomo partenopeo. «Certo, di documenti preziosi e sorprendenti ne abbiamo tantissimi - afferma Candida Carrino, direttrice da tre anni di questa ultracentenaria istituzione - e, scavando scavando, ne emergono sempre di nuovi. I nostri scaffali, se messi l’uno dietro l’altro, raggiungono la lunghezza lineare di 70 km, in una struttura di 24 mila metri quadrati e 400 stanze. E poi i chiostri, i giardini… un patrimonio tutto da scoprire per i turisti, ma anche per i napoletani stessi. Fino a oggi siamo stati per i cittadini una monade accessibile solo ai cosiddetti 'topi d’archivio', uno dei tanti palazzi maestosi di cui è ricca la città, da ammirare solo dall’esterno. Invece, vogliamo che ci conoscano e godano della gioia del nostro Chiostro del Platano, una pianta che la tradizione vuole sia stata piantata da san Benedetto in persona; dei giardini il cui restauro avverrà con i fondi del Pnrr; i documenti d’inestimabile valore mostrati nelle bacheche. Un esempio? Il quattrocentesco Codice di santa Marta, proveniente dall’omonima chiesetta, che contiene gli stemmi e i blasoni delle famiglie del regno aragonese».

La passione che Candida Carrino applica nel suo lavoro emerge da questa valanga di informazioni. Ed è ottimisticamente contagiosa quando narra come l’intero complesso, al momento per metà nascosto al suo interno da reti e impalcature, a fine anno sarà completamente rivelato. Una vera festa per un luogo che risorge a nuova vita. La dottoressa Carrino ha messo in ser-È bo per noi le fotocopie di documenti interessantissimi: c’è il processo a Sandro Pertini, prigioniero dal 1935 nella colonia di confino di Ponza, imputato d’insubordinazione e portato dinanzi al tribunale di Napoli il 17 giugno 1937. Le dichiarazioni rese dall’allora «dottore e avvocato», come viene qualificato nel documento, ricordano il Pertini ormai libero e presidente della Repubblica. Quasi risuona nella mente la sua voce dignitosa e ferma. E, ancora di più, emoziona vedere su carta la sua firma, sinuosa: due volte Sandro, una Alessandro. Chissà, forse un piccolo atto di ribellione anche quello.

Chiostro del Platano - Archivio di Stato di Napoli

Questo documento citato è solo la punta dell’iceberg: la disponibilità della direttrice ha fatto trovare, impilate sulla sua scrivania in plexiglass, una pila di riproduzioni di documenti preziosi o semplicemente curiosi. Una scrivania che parla di lei perché si pone in simbiosi, nella sua rigorosa modernità, con i mobili ottocenteschi, così consueti nelle famiglie aristocratiche partenopee. Su uno scaffale campeggia il teschio di un presunto dei d’Avalos, di stirpe principesca. Perché, in un archivio come questo, non c’è un limite definito fra la vita e la morte: i documenti e le testimonianze rendono eterna e importante ogni persona di cui si conservi la memoria. E così si va a zig zag fra i secoli, fra documenti ufficiali e notazioni della quotidianità. Ecco spuntare una petizione di anni più vicini a noi, da parte di persone, volutamente velate dall’anonimato, le quali si rivolgono al prefetto di Napoli, Sergio Spasiano per segnalargli che la morsa dell’usura strangola la povera gente con tassi del 40% alla settimana. Cosa sarà avvenuto dopo? Fu l’epoca di un sindacato Lauro durato pochi mesi. Giusto davanti al suo studio, poi, una lastra di marmo reca scolpita la sintesi di un contratto di compravendita di un ameno casale, risalente al VII o VIII secolo, in un latino quasi italiano; un predecessore del Placito Capuano, quello che a scuola ci insegnavano fosse il primo documento in volgare italiano, che però risale già all’anno 960. Il pensiero vola al compianto Luca Serianni. Con un ulteriore balzo a tempi tardo rinascimentali, entriamo nella sala rettangolare splendidamente affrescata dal pittore di origine greca Belisario Corenzio, che visse fra fine ’500 e metà ’600, di cui proprio recentemente son stati riscoperti anche gli affreschi che ne completano la decorazione sui due lati 'corti', fin’ora nascosti dietro a degli scaffali. Il focus di questa sala, però, sono i tanti faldoni contenenti il catasto onciario coevo, una specie di Agenzia delle entrate ante litteram, che garantiva le finanze del Regno.

Candida Carrino - Archivio di Stato di Napoli

Volendo, potremmo fare i conti in tasca a tutti i contribuenti appena appena abbienti del reame governato dagli spagnoli. Ammiriamo, intorno al Chiostro del Platano, un corridoio coperto che lo circonda, dove il pittore Antonio Solario, detto lo Zingaro, creò in epoca rinascimentale un ciclo di affreschi, il più completo della città, raffigurante episodi della vita di San Benedetto. È ancora leggibile, ma assai precario: «Ci piacerebbe - auspica Candida Carrino - che uno o più mecenati ci aiutassero a salvare tutto questo dal degrado». I Tesori del grande Archivio e l’aggettivo grande è ben meritato giacché è il maggiore in Italia, per numero di documenti conservati ed estensione ed è in buona posizione nella classifica mondiale sono innumerevoli: conserva, ad esempio, 83 archivi privati delle famiglie nobili o della ricca borghesia imprenditoriale o operante nelle libere professioni; i numerosi archivi dei monasteri soppressi, a partire dall’età murattiana e che i Borbone, ritornati sul trono non ripristinarono, continuando a destinarli a usi civici (scuole, università, ospedali, caserme); una biblioteca ricca di 39 mila volumi. E, se poi siete golosi, come ci rivela la direttrice, qui sono custodite le ricette originali dei dolci tipici dei monasteri femminili campani; le Santa Rosa del convento di Conca dei Marini, sulla Costiera Amalfitana; due leccornie del periodo natalizio come il 'Divino Amore' e la 'Sapienza' dei monasteri omonimi; le fragranti sfogliatelle delle monache di San Gregorio Armeno... Solo a scriverne, sarò ingrassata di tre chili!