Storia. Roberto Farinacci, il consenso a mezzo stampa
Roberto Farinacci alle Colonie Padane
Si faccia un articolo di fondo. Bastava trovare questa annotazione sulla scrivania in redazione perché s’ingranasse la marcia e ripartisse la potente macchina del consenso, che tornava a far girare il suo rombante motore e le rotative. Non c’era Internet, non c’era la televisione, qualcuno aveva le prime radio. Ma c’erano i giornali, più potenti che mai in assenza di altri mass media. E soprattutto c’erano, prorompenti, le ideologie. Fuoco alle polveri. Cominciavano a capirlo in molti agli albori del Novecento, anche se l’abbecedario non era ancora diventato familiare a tutti e la fruizione di giornali e riviste era appannaggio soprattutto della borghesia e del clero. A capirlo perfettamente fu il fascismo, fin dalla prima ora. Dell’abilità di Benito Mussolini a maneggiare la carta stampata tutti sanno, fin da quando nel novembre del 1914, lasciato l’Avanti! , fondò Il Popolo d’Italia per dare fiato alle trombe di quella frangia di socialisti favorevoli all’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Ma non tutti sanno che, non meno del Duce, un abilissimo agitatore di giornali fu quello che gli storici definirono “la suocera del regime”, il futuro ras di Cremona Roberto Farinacci.
Sulla sua perfetta e oliata macchina del consenso è in corso fino a fine settembre a Cremona, presso la Biblioteca Statale, la mostra Si faccia un articolo di fondo... “Il Regime Fascista”, Farinacci e il Ventennio a Cremona. Un esemplare spaccato di storia d’Italia, ma ancor più una sorta di “manuale” pratico di costruzione e mantenimento del potere attraverso il sapiente uso di ogni sorta di cassa di risonanza, a partire proprio dalla carta stampata, nella fattispecie il quotidiano cremonese e anche nazionale Il Regime Fascista , creatura del gerarca cremonese, strategico strumento politico utilizzato con veemenza e senza scrupoli per condizionare e orientare l’opinione pubblica, difendere le posizioni della sua parte politica, difendersi dalle tante accuse che gli venivano mosse, ma anche per criticare l’operato di molti gerarchi e persino dello stesso Duce. Le prove generali di spregiudicato uso della carta stampata, Farinacci aveva cominciato a farle nel 1915 con il periodico interventista La Squilla (nato anche in contrasto e opposizione al socialismo riformista del cremonese Leonida Bissolati) e con La Voce del popolo sovrano a cui seguirono, dopo la fine vittoriosa (benché “mutilata”) della Grande Guerra e all’indomani della costituzione dei Fasci di combattimento in piazza San Sepolcro a Milano, La Voce del Fascismo cremonese e soprattutto Cremona Nuova, trasformatosi in quotidiano agli inizi del fatidico 1922 quando, a ottobre, con la marcia su Roma, Mussolini e il fascismo andarono al potere. Fu allora che, inesorabilmente, venne messo il bavaglio via via a tutti gli altri protagonisti della scena cremonese che vedeva in prima linea personaggi di rilievo non soltanto locali ma nazionali come il sindacalista “bianco” Guido Miglioli, animatore del movimentismo politico di stampo cattolico e difensore dei diritti dei contadini. Fumo negli occhi, al pari dei sindacati “rossi”, per quel potere agrario che, in particolare nella Valle Padana, era il principale sostenitore e finanziatore dello squadrismo fascista, vedendo minacciati i propri privilegi dall’ondata di scioperi e dalla diffusione del bolscevismo, dopo quelle operaie anche nelle masse contadine.
In tutto questo complesso e rischioso scenario sociale fu gioco facile per un agitatore e abile manipolatore del linguaggio come Farinacci trovare le chiavi per accattivarsi il popolo attraverso l’orientamento dell’opinione pubblica “a mezzo stampa” e pigiando l’acceleratore sulla macchina del consenso. Così Cremona Nuova ( nome anche della Società editrice fucina del ventennale potere farinacciano) diventò nel 1926 Il Regime Fascista , complice il periodo (poco più di un anno) in cui Farinacci ricoprì la carica di segretario nazionale del Partito nazionale fascista. Dopo Il Popolo d’Italia era il quotidiano di regime più diffuso e autorevole. A dirigerlo lo stesso Farinacci, forte di una redazione fedele alle sue proverbiali “veline” (con cui dava istruzioni sui fondi per il giornale), a partire dal cremasco Renzo Bacchetta, redattore e segretario del ras nonché grande appassionato di liuteria, tanto da essere tra gli artefici dell’istituzione della Scuola di Liuteria a Cremona. E proprio i violini, valorizzandone l’eccellenza con manifestazioni ad hoc, furono un altro strumento (come l’istituzione delle Colonie Padane per i giovani cremonesi in vacanza sul Po) per far risuonare ulteriore consenso politico e sociale e fare di Farinacci una sorta di sovrano assoluto dell’inespugnabile e strategico feudo cremonese. «Portatemi a Cremona e fatemi processare dai miei concittadini» implorò il gerarca quando fu catturato a Vimercate il 27 aprile del ’45. Sperava che un po’ di quel consenso estorto, ma anche conquistato, gli sarebbe stato in parte “restituito”. Il processo fu invece sommario, come la fucilazione. La macchina del consenso aveva fatto marcia indietro, investendolo.