Agorà

Intervista. Fare musica, un balsamo senza età

Chiara Bertoglio giovedì 21 luglio 2016
La musica fa bene. Lo sapevano gli antichi, che avevano codificato gli effetti, veri o presunti, della musica sull’essere umano nella sua unità di corpo e di spirito; lo dimostrano sempre nuovi studi, che evidenziano i benefici della pratica musicale sotto moltissimi aspetti (neurologici, motori, cognitivi, relazionali…); ne è conscio, in maniera più o meno esplicita, chiunque abbia sperimentato il godimento e la serenità, la gioia e la capacità di unire che la musica può regalare a chi la crea, a chi la ascolta ed a chi la esegue. Recentemente, uno studio realizzato in Australia ha portato alla luce un aspetto finora trascurato della musica, rivelando come non solo non sia praticamente mai troppo tardi, nella vita, per iniziare a suonare uno strumento musicale, ma come anzi la pratica musicale in età non più verde possa migliorare notevolmente la qualità di vita nella terza età. Jennifer MacRitchie, docente di Music Perception and Cognition all’Istituto Marcs della Western Sydney University di Australia, ha realizzato questo studio innovativo avvalendosi della propria doppia formazione sul piano musicale e su quello ingegneristico, in particolare utilizzando la tecnologia di “motion capture” per studiare i movimenti del corpo nell’esecuzione musicale. In che modo si è avvicinata al suo particolare ambito di ricerca?«Le mie ricerche precedenti avevano esaminato i movimenti delle dita di alcuni pianisti esperti durante la loro esecuzione, notando che tali movimenti erano caratterizzati da una estrema accuratezza spaziale e temporale. Osservando che le stesse caratteristiche si ritrovavano anche fra i musicisti dilettanti, seppur non allo stesso livello, e che tali abilità si potevano spesso trasferire ad altre attività compiute con le mani (come digitare su una tastiera di computer), fui condotta a chiedermi se la capacità di suonare il pianoforte potesse aiutare le persone anziane. Gli anziani spesso sperimentano un declino nelle abilità sia cognitive sia di quella motricità fine di cui abbiamo bisogno per attività quotidiane come scrivere, affettare del cibo, lavare o vestirci. Volevo verificare se, tramite l’apprendimento del pianoforte, alcune delle abilità apprese si potessero trasferire in una miglior esecuzione di tali attività quotidiane, aiutando gli anziani a mantenere l’autosufficienza». Quali sono gli effetti più impressionanti del far musica sul benessere umano?«La musica viene usata in numerosi contesti di benessere o riabilitazione. Per esempio, è dimostrato che pazienti colpiti da ictus possono mantenere la funzionalità della mano se eseguono esercizi pianistici. Si ritiene che ciò sia dovuto al feedback uditivo che otteniamo quando abbassiamo i tasti del pianoforte: la scansione temporale dei suoni ci aiuta a ridurre gli errori di movimento. La musica può tuttavia essere efficace anche per anziani in salute. Osserviamo che questi mostrano miglioramenti nelle abilità cognitive dopo brevi periodi di studio del pianoforte, nonché un miglioramento nell’umore generale e nella loro percezione della propria qualità di vita».In che modo la musica interagisce con l’apprendimento in generale? E cosa si intende esattamente con “abilità cognitive”?«L’aspetto affascinante del far musica è la quantità di attività di cui il cervello si avvale per far suonare uno strumento musicale. Spesso vi è uno spartito davanti a noi, di cui dobbiamo “scannerizzare” visivamente le informazioni, in modo che il cervello le traduca in segnali inviati alle mani, alle braccia ed alle dita (ed al sistema respiratorio per gli strumenti a fiato). Quindi controlliamo costantemente i segnali sonori che vengono prodotti, e, nell’arco di millisecondi, utilizziamo questo feedback per calibrare il processo per suonare la prossima nota, quella successiva e così via. Le abilità cognitive che utilizziamo qui (scansione visuale, controllo motorio, attenzione suddivisa) pongono in uso molte aree diverse del cervello simultaneamente: ecco perché suonare uno strumento musicale è un allenamento cerebrale».Qual è l’età giusta per iniziare a suonare? Non dovrebbe essere il prima possibile?«Sì, alcuni studi suggeriscono che se l’istruzione musicale di un bambino inizia prima dell’età critica dei sette anni si avranno i massimi benefici. Tuttavia, non sempre si aggiunge che se si è persa l’occasione quando si è giovani, ciò non significa che non si possano avere i benefici del suonare uno strumento se si inizia a settant’anni». Ma per quali motivi un anziano dovrebbe affrontare la sfida complessa di imparare a suonare?«Il cervello che invecchia è plastico. Ciò significa che può sempre apprendere cose nuove: l’età è solo un numero! Se si inizia un’attività nuova, specialmente una che, come il far musica, coinvolge un gran numero di abilità, si pone in esercizio il cervello e ciò aiuta ad arginare il declino che viviamo con l’età. Vi è un gran numero di risorse che possono aiutare gli anziani: vi sono tutorial online, e gli spartiti delle canzoni famose sono sempre più disponibili. Si può acquistare uno strumento con spesa piuttosto ridotta, o affittarlo…».Gli anziani ammettono spesso che “avrebbero voluto” imparare la musica: quanto spesso questo rimpianto si trasforma in azione? C’è spesso bisogno di incoraggiamento dall’esterno?«Quando le persone sentono parlare della nostra ricerca, questa è spesso la prima cosa che dicono: “Avrei sempre voluto suonare la chitarra o il pianoforte, ma non ne ho avuto la possibilità”". Troppo spesso, le persone la considerano un’opportunità perduta, e credono di non poter mai più cominciare. La nostra ricerca è importante poiché mostra che non è mai troppo tardi».Come avete realizzato questa ricerca?«Al momento stiamo studiando un gruppo di adulti ultrasessantacinquenni, a Sydney, che non hanno esperienza musicale pregressa e stanno imparando a suonare il pianoforte con lezioni di gruppo di un’ora per periodi di sei-dodici settimane. Misurando aspetti delle loro abilità motorie tramite test standardizzati ed esercizi visual-motori al computer, siamo in grado di monitorare come le loro abilità motorie si sviluppano in questo periodo». Quali sono i risultati più interessanti ed inattesi?«La ricerca è ancora in corso, ma i partecipanti che hanno completato il corso di pianoforte si dicono molto sorpresi di quanto siano riusciti ad imparare e di quanto abbiano dato loro soddisfazione».La pratica musicale da parte degli anziani è utile “solo” sul piano organico e cognitivo o ha altri effetti positivi osservabili?«In realtà, il concetto di formazione permanente e la ricerca che esamina i risultati di varie attività di apprendimento nella terza età mostrano che gli anziani possono sperimentare benefici sia dal punto di vista sociale (farsi nuovi amici, condividere qualcosa con gli altri) sia da quello personale (soddisfazione nell’aver raggiunto un obiettivo e nell’aver acquisito nuove abilità). Sarebbe bellissimo se la terza età non fosse più vista come la discesa finale da un presunto culmine della maturità, ma come un nuovo atto della vita che apre delle nuove opportunità. Dovremmo dare agli anziani la possibilità di svilupparsi in modi che non avevano mai immaginato prima. Attività come cantare in coro o suonare il pianoforte possono offrire tale possibilità: che si sia autosufficienti, o in casa di riposo, il terzo atto della vita dovrebbe essere musicale».