Cinema. Luchini: «I miei film? Lettere d'amore al potere dell'arte di sorprendere»
È da molti anni ormai un’icona del cinema francese, protagonista di drammi e commedie, pluripremiato in patria e nel mondo, capace di rendere indimenticabili i suoi personaggi eccentrici e a volte arroganti, intellettualmente snob, spesso disincantati, annoiati, ma sempre aperti a un sincero stupore. Parliamo di Fabrice Luchini, premiato al Biografilm Festival di Bologna con il Celebration of Lives Award, dedicato ai grandi narratori che con le loro opere e la loro vita hanno lasciato un segno profondo nella storia contemporanea.
Al festival l’attore ha presentato due film Alice e il sindaco di Nicolas Pariser, distribuito nei prossimi mesi da Movies Inspired/Bim e Chi l’ha scritto? Il mistero di Henri Pick di Rémi Bezançon, prossimamente nelle sale con I Wonder, che confermano la passione dell’attore per uomini in crisi, ma protagonisti di una improvvisa rinascita, come ha dimostrato anche nel recente Parlami di te. Questa volta il riscatto nasce proprio dai libri, testi letterari e filosofici, capaci di aprire gli occhi e la mente, spingendo chi legge e riflette e a riconsiderare i valori ai quali gli esseri umani non possono rinunciare.
In Alice e il sindaco Luchini interpreta il primo cittadino di Lione, Paul Théraneau che, dopo aver attraversato per trent’anni il mondo della politica, sente di essere sprofondato in un vuoto esistenziale e di essere completamente a corto di idee. Per superare l’empasse, decide di assumere una giovane e brillante filosofa destinata a distruggere tutte le sue certezze e a regalargli nuove prospettive.
Raffinata riflessione sulla pigrizia della politica, i rischi del populismo, il ruolo della cultura e degli intellettuali nella società, la sfiducia nella democrazia, il film celebra il potere della parola, della scrittura e della lettura. La passione letteraria emerge prepotente anche nel film di Bezançon, tratto dal romanzo di David Foenkinos, che comincia quando Delphine, giovane editrice legata a un romanziere senza successo, trova in una piccola biblioteca della Bretagna una sezione dedicata ai manoscritti rifiutati, dove scova un vero e proprio capolavoro, Le ultime ore di una storia d’amore, firmato da un certo Henri Pick. Ma l’autore è un semplice pizzaiolo locale morto due anni prima e quando il romanzo viene presentato in tv come un vero e proprio caso letterario, il critico Jean-Michel Rouche non ci sta e, sospettando che dietro ci sia un’operazione di marketing, comincia a indagare sulla vera identità del nuovo genio delle lettere.
Quando Bezançon, arrivato anche lui a Bologna per presentare il film, ricorda che il protagonista del suo film è l’attore più letterario di Francia, Luchini si paragona a Roberto Benigni quando prende in mano dei testi importantissimi e li legge in tv o in teatro. «Non esiste un interprete come Fabrice capace di improvvisare l’imitazione di un brano di Marguerite Duras», commenta il regista, che aggiunge: «Oggi in Francia si legge davvero molto poco, viviamo in una società fondata sulle immagini e i giovani sono molto più attratti da Netflix che dai libri».
«Quando ho accettato di interpretare Jean-Michel Rouche - dice l'attore - volevo restituire tutta la credibilità possibile a un critico che è talmente innamorato dalla letteratura da non accettare che questa diventi un mero fenomeno commerciale. Il film è una lettera d’amore ai grandi libri. Mentre il sindaco Paul Théraneau è un uomo che ha perso tutte le sue motivazioni, ma rinascerà grazie alla filosofia in un film decisamente più austero e intellettuale, ricco di dialoghi e spunti di riflessione».
E a proposito della critica Luchini commenta: «Non ci sarà mai una soluzione al problema del rapporto tra l’artigiano e il commentatore. Se il critico è benevolo, l’artigiano lo ama, se è cattivo, lo odia. L’ideale sarebbe non leggere affatto le critiche, ma non è possibile. I critici troppo generosi sono inutili come quelli troppo malevoli, io ho avuto la fortuna invece di poter contare sui commenti costruttivi di due persone che mi hanno molto aiutato nel mio percorso teatrale. Non accadrà mai che chi raggiunge un certo successo economico venga amato dalla critica, mentre è più facile che lo sia un autore intellettuale e un po’ rompiscatole».
Figlio di immigrati italiani, Luchini ama molto il nostro paese e afferma: «Non ho nessun titolo per dare giudizi politici su paesi che non conosco così da vicino, ma posso dire che nonostante tutto l’Italia resiste e non ha perso la sua bellezza, l’eleganza, la gioia di vivere. Speriamo che l’arte, la grande arte, ci aiuti ad alleviare il fardello che ci stiamo portando addosso in questi tempi».