Intervista. Ezio Bosso: «La bellezza della fragilità»
Ezio Bosso dirigerà l'Orchestra e il Coro del Teatro Comunale di Bologna a favore dei terremotati
In meno di un anno il boom al Festival di Sanremo, un tour trionfale visto da 90mila persone, ora la nomina a Direttore ospite principale del Comunale di Bologna. Maestro, ma a lei, chi la ferma?». «Mi fermano i gradini». Se non fosse uno dei più grandi musicisti contemporanei, Ezio Bosso con i suoi tempi comici naturali potrebbe essere un attore brillante. Autoironia e profondità gli fanno affrontare con un sorriso anche la ricerca di un punto più basso del marciapiede per entrare al Teatro Comunale di Bologna con la carrozzina. Sono le due del pomeriggio e fuori c’è gente in coda dalle nove del mattino per assistere alle prove aperte del concerto a favore dei terremotati del Centro Italia che terrà domani sera, giovedì 22, al Comunale nella doppia veste di direttore e solista al pianoforte, alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro. In scaletta, brani di Barber, Paert, Mozart, Mendelsshon e dello stesso Bosso. E venerdì 23 dicembre, alle ore 21.15 andrà in onda in prima visione assoluta su Sky Arte HD (canali 120 e 400 di Sky) e alle 23.00 su Sky Uno Ezio Bosso - Concerto speciale «The 12th Room» dal Teatro Sociale di Gualtieri di Reggio Emilia. Senza contare che è appena uscita per Sony l’antologia ...And the things that remain, due cd e un dvd che raccolgono le sue creazioni e interpretazioni dal 2004 (sotto un estratto, il video di Unconditioned - Following, a Bird nella nuova versione per violoncello e pianoforte).
Le prove dei concerti aperte al pubblico sono una innovazione fortemente voluta dal maestro torinese, che ha casa anche a Bologna e Londra: «La musica è di tutti» è il suo slogan. Al Coro e Orchestra del Comunale semplicemente spiega prima di iniziare: «Non so cosa voglia dire fare il direttore ospite principale, ma so che qualunque cosa la faremo insieme». E per tre ore filate lascia con il fiato sospeso ragazzi barbuti, bambini, signori vestiti da ufficio e studentesse che cercano di fotografarlo di nascosto, tutti travolti dall’energia del direttore che si spende al di là dei limiti fisici e riesce a far toccare all’ensemble vette altissime di spiritualità. Al potente Agnus Dei di Barber, segue un lungo silenzio, molti gli occhi lucidi...
Maestro Bosso, quanto è importante il contatto con il pubblico?
«La gente ha voglia di partecipare, i teatri devono essere aperti, noi musicisti dobbiamo scendere dal piedistallo. Dobbiamo toglierci la tuta da Superman e far vedere che sbagliamo e quanto è bello sbagliare e poi imparare da quell’errore e migliorare. Quanto è bello non essere i migliori ma migliorare se stessi per far migliorare gli altri. È uno dei compiti di noi musicisti».
Come è nato questo concerto speciale a favore dei terremotati?
«I concerti sono sempre speciali, Questo è stato voluto fortemente dall’Orchestra e dal Coro del Comunale, che sono venuti da me. Io gli sono vicino anche in questo momento difficile per il teatro, con i rischi di forte precarietà. L’Orchestra e il Coro sono una comunità utile alla comunità e che si muove da comunità per un’altra che sta soffrendo. Dedichiamo il concerto alle vittime del terremoto perché tendiamo troppo spesso a dimenticare. Io non credo tanto ai concerti di solidarietà: la solidarieta è nei gesti, non tanto negli oboli. La musica serve anche a inviare messaggi, ha il potere di farci ricordare la storia e farci andare avanti».
Lei ha fatto anche un importante lavoro di riscrittura per l’occasione, dai brani sacri alle composizioni personali.
«Nella speranza di ricostruirci dentro, non soltanto i palazzi dunque, abbiamo messo assieme un programma condiviso con i gruppi artistici del teatro. Apro unendo il celebre Adagio per Archi di Samuel Barber, utilizzato da Toscanini per ricordare le vittime della Grande Guerra, con la riscrittura corale che il compositore statunitense fece aggiungendovi il testo dell’Agnus Dei [sopra, il video] . Una preghiera bellissima, in una lingua meravigliosa come il latino, che finisce con una frase che mi tocca profondamente: “Tu che sei capace di donare pace”. Segue un Sanctus che ho affidato al Coro, ricostruendo in forma di corale per coro, archi e pianoforte il Preludio in Mi minore BWW 855 di Johann Sebastian Bach. Suono Bach tutti i giorni, e attraverso di lui mi rapporto al divino. La prima parte del concerto sembra quasi una Messa (sorride, ndr).
D’altronde questo è anche un concerto prenatalizio. Cosa è il Natale per lei?
«Il Natale è una cosa bella che spesso dimentichiamo, come tutte le cose belle. Natale è una di quelle feste che un po’ tutti sentono di qualunque religione siano, è impressionante. È contagioso perché si basa sul riunirsi, non sul celebrare, ma sul festeggiare. È una festa che parla di nascere. Io ho dedicato un brano al “sesto respiro”, all’ultimo respiro, quello che continua a vagare dopo la morte e attraverso cui continuiamo ad esistere. Nascere invece è il primo respiro. Quest’anno festeggerò alla grande il Natale, perché negli ultimi anni non ho potuto farlo: nella mia casa di Bologna ho fatto un grande albero, un presepe e farò una festa con tutti gli amici».
E con Gesù lei come si rapporta?
«Gesù mi sta molto simpatico e sono convinto che i principi della cristianità siano universali. Se non ci fosse stato Gesù non ci sarebbe stata la frase “Donarsi agli altri”».
Il dono e la fratellanza sono anche concetti che lei ribadirà con la musica stasera.
«Lo dice lo stesso brano Fratres di Arvo Pärt. Ho fatto una piccola cosa iconoclasta, gli ho aggiunto un testo. La musica mi aiuta a studiare, a scoprire cose e a tirarmi le orecchie per quanto sono ignorante. Così ho scoperto un inno di Pascoli dedicato ai caduti, Corda fratres, che parla di fratellanza. Dice che per quanto differenti siamo, siamo uniti da una sola faccia, la faccia dei fratelli. La fratellanza è il ricordarsi di essere fratelli, il riconoscersi nell’altro non solo comprenderlo e tollerarlo. Oggi bisognerebbe riconoscere che i problemi che ci sono nelle terre martoriate dalla guerra sono anche i nostri. Ai ricordi dopo un bombardamento di un veterano di guerra che ho conosciuto è anche ispirata la mia composizione Split, postcards from far way».
Il dolore, la forza di uscirne, la bellezza della fragilità si ritrovano spesso nei suoi brani...
«I miei brani parlano di eventi, umanità, esperienze, ricostruzioni. E anche di me, come Rain, in your black eyesche esprime in musica tutte le piogge che ci possono arrivare. Ma parla di me e di noi anche il mio amico Mendelssohn di cui eseguirò un capolavoro assoluto, la Sinfonia n 4 “Italiana”, dove esprime tutto l’amore per come vive la gente del nostro Paese. Ci ricorda che la bellezza è fragile e va protetta. Le cose belle sono fragili e tendiamo a dimenticarcene».
Nel suo ultimo album, lei invece parla di quello che lei vuole lasciare.
«Le cose che restano, si intitola. Io non ho la risposta, ma è una domanda che mi faccio e che bisogna farsi. Ma sono le cose che ti trovano. Io sono fortunato innanzitutto perché ho la musica che mi fa stare bene e che ci aiuta tutti a trascendere, a capire meglio l’altro, a non avere paura. E poi perché mi sono accorto che anche noi siamo qualcosa che resta nell’amore di qualcun altro. È una catena, e quel che resta è la vita».